IL TEMA DEL LIBRO “NON SOLTANTO È ALL’ORDINE DEL GIORNO DI UN ASPRO DIBATTITO POLITICO-ECONOMICO ATTUALE, MA INCARNA PERFETTAMENTE, E CON VISTOSA TEMPESTIVITÀ, LO SCONTRO IN ATTO NELLA SINISTRA ITALIANA SULLA COMPLICATISSIMA QUESTIONE-LAVORO”
Recensione del mio libro Inchiesta sul lavoro a cura di Nando Santonastaso, pubblicata sul quotidiano il Mattino di Napoli il 4 dicembre 2011
Il meno arrabbiato dei suoi nemici di sinistra (che non sono pochi) gli ha dato dell’eretico. Ma c’è stato anche chi di fronte all’ipotesi che pure era trapelata, che fosse lui il nuovo ministro del Welfare ha parlato di «scandalo». Lui, Pietro Ichino, 62 anni, giuslavorista, senatore Pd costretto a vivere con la scorta perché minacciato dalla Brigate Rosse, non si scompone. E con quel sorriso un po’ sardonico sembra quasi invitare anche i denigratori a non rifiutare il confronto riformista proposto da Inchiesta sul lavoro, la sua ultima fatica letteraria edita da Mondadori. Non solo perché il tema è a dir poco all’ordine del giorno del dibattito politico-economico (non a caso il sottotitolo recita Perché non dobbiamo avere paura di una grande riforma), ma anche perché incarna perfettamente – e con vistosa tempestività – lo scontro in atto nella sinistra italiana sulla grande e complicatissima questione-lavoro.
Da una parte i sostenitori dei contratti collettivi nazionali come massima tutela dell’occupazione, dei salari come variabile indipendente, della centralità della piazza e delle sue proteste, e in fondo anche della nostalgia per il modello della grande fabbrica fordista; dall’altro chi cerca di costruire una sinistra più moderna e laica, meno disposta allo sciopero generale ma non per questo disposta a fare sconti sui diritti.
Ichino affida a un immaginario ispettore-intervistatore il ruolo di rappresentare tutti i dubbi e le perplessità della sinistra nostalgica rispetto alle sue«picconature». E a lui stesso, l’eretico riformista che non si sente schiavo dell’appartenenza al partito (anche se ha ammesso che se fosse rimasto solo nella Cgil, senza candidarsi al Parlamento, sarebbe potuto diventare un ottimo segretario generale), il ruolo dell’«imputato» che si difende. Ne esce un libro anche ironico, nel quale emerge con evidenza il nocciolo vero della questione e dei mal di pancia della sinistra. Quella che l’autore definisce l’apartheid tra i lavoratori che hanno diritti consolidari e protetti (9,5 milioni) e quelli (11 milioni) che pur svolgendo analoghe mansioni continuano a restare nel limbo della precarietà. È ad essi che l’autore pensa quando rimprovera al suo interlocutore la miopia esplosa con lo scoppio della crisi del 2008. È sempre ad essi che indirettamente si rivolge proponendo quel modello di flexsecurity (flessibilità più sicurezza) per i nuovi rapporti di lavoro che è già stato abbondantemente analizzato dallo stesso Ichino in interviste e contributi e che rilancia il modello danese: nel quale chi esce dal lavoro ha garanzie solide per poterci tornare, al più tardi nel giro di pochi mesi. Il diritto di licenziare, che è strettamente connesso alla proposta, non è più per Ichino un tabù: il presupposto è che nessuno è inamovibile anche se lo stesso autore, di fronte alle perplessità del suo intervistatore, ammette che quel modello dovrebbe iniziare ad essere sperimentato in dimensioni regionali (più simili alla Danimarca).
Dicono che questa proposta sia vicina alle corde del nuovo governo e del ministro Fornero, che non a caso a Ichino è graditissima. Di sicuro il professore (Ichino) non ha paura di confrontarsi restando, però,uomo di sinistra. E non è una contraddizione.