LA SCOGLIERA DEI MERCATI

NELLA SITUAZIONE IN CUI CI SIAMO CACCIATI, NON ABBIAMO ALTRA SCELTA CHE AFFIDARCI A MINISTRI I QUALI POSSANO FARE TUTTO CIÓ CHE, IN SITUAZIONI NORMALI, “I POLITICI SANNO CHE DEVONO FARE, MA NON FANNO PERCHÉ NON SAPREBBERO POI COME ESSERE RIELETTI”

Articolo di Tito Boeri pubblicato su la Repubblica il 12 novembre 2011

Sono stati loro, i mercati finanziari, molto più dell’opposizione, a decretare la fine del governo Berlusconi. Eppure molti elettori e non pochi politici, soprattutto a sinistra, continuano a vederli come il fumo negli occhi.
Spuntano immancabilmente sui blog e in quasi tutti i dibattiti pubblici i post-it sugli “gnomi di Zurigo”, sui banchieri che dietro le quinte muovono le marionette di tutto il pianeta, condannando alla rovina interi Paesi. Meglio partire dal chiedersi cosa muove i mercati finanziari, prima ancora che chi li muove. Serve a capire come possiamo riguadagnare quei gradi di libertà nella gestione della politica economica che la crisi del debito ci sta inesorabilmente togliendo. È una questione di scelta e di democrazia.
I mercati finanziari non sono mai stati così attenti alle vicende politiche come in questa crisi. I rendimenti dei nostri titoli di Stato, lo spread fra Italia e Germania e ancora di più quello fra titoli di Stato spagnoli e italiani, hanno reagito a quasi ogni sollecitazione, punendoci tempestivamente per ogni errore commesso dal nostro governo. Ce lo dicono studi approfonditi basati su rilevazioni con Google news. Anche le borse hanno seguito, passo dopo passo, gli eventi politici, hanno punito i tentennamenti e gioito di fronte ad annunci di soluzioni, magari per poi ravvedersi di lì a poco una volta scoperto che si trattava solo di annunci. In passato i mercati finanziari reagivano quasi solo alle notizie economiche, alle statistiche sull’occupazione e l’inflazione, o ai risultati societari.
Quando è in atto una crisi del debito pubblico, l’incertezza viene proprio dalla politica, da chi ha in mano i centri di spesa. Non c’ è dunque in questa attenzione alla politica alcun disegno preordinato. Gli investitori vogliono proteggersi, tutelarsi contro il rischio di eventi negativi. Lo spread è come un premio assicurativo, tanto più alto quanto meno credibili sono gli impegni presi dalla controparte. Pensate al vostro comportamento quando state acquistando un bene che deve durare nel tempo, ad esempio un cellulare. La prima cosa che fate è chiedere una garanzia. E se il venditore non è in grado di offrirvela o la sua garanzia non vi appare credibile (ad esempio perché l’azienda che produce i cellulari rischia il fallimento), voi non comprerete il cellulare o potreste convincervi a comprarlo solo a prezzi molto scontati.
I mercati finanziari chiedono risposte rapide e visibili. La rapidità è richiesta perché è un segnale di sollecitudine e determinazione nel porre riparo ad eventuali errori: Berlusconi è stato un grande procrastinatore e la sua arte dilatoria è stata percepita come un segnale della volontà di non affrontare i problemi del nostro Paese. La visibilità è dovuta al fatto che queste risposte devono essere percepite da milioni di individui. Metà dei nostri titoli di Stato è in mano a persone che vivono in giro per il mondo e che certo non conoscono il comma ter dell’articolo 1-quinquies del maxiemendamento e che ben difficilmente si metteranno, come i burocrati di Bruxelles, a leggere meticolosamente i 39 punti della lettera d’intenti del nostro governo. Guardano ai macro fatti, alle grandi riforme, ai cambiamenti di governo e alla qualità delle persone che hanno in mano le leve di comando.
Affidarsi a governi guidati da tecnocrati serve proprio per rassicurare i mercati. Fa capire a chi ci guarda da lontano che siamo disposti a scelte difficili, impopolari, pur di mantenere gli impegni presi al cospetto degli investitori. Perché i tecnocrati non devono farsi rieleggere, possono permettersi di fare quelle cose che “tutti i politici sanno che devono fare, ma non fanno perché non saprebbero poi come essere rieletti” (la citazione è di uno dei più navigati politici europei, Jean-Claude Juncker). Questo doversi affidare a persone che non si presteranno al giudizio degli elettori, come Monti in Italia o Papademos in Grecia, non può che apparire ai cittadini greci e italiani come una diminuzione della democrazia, dell´accountability dei governi. Eppure in condizioni come quella in cui ci troviamo è un passaggio inevitabile. Serve a permetterci di esercitare un controllo democratico su scelte effettive, che altrimenti non sarebbero più alla nostra portata.
Il fatto è che siamo vicini a punti di non ritorno nella crisi del debito. Il nostro Paese è in grado di reggere anche per un paio d’anni con tassi di interesse sui nostri titoli di Stato attorno al 7 per cento. Paghiamo questi tassi solo sui titoli di nuova emissione e nei prossimi due anni dovremo emettere titoli per circa un quarto del nostro debito. Partendo da un costo medio del debito del 4,3 per cento, il tasso medio salirebbe alla fine di questo periodo al 5 per cento, con un aggravio di circa 10 miliardi in più. Non poco, ma è legittimo pensare che si possa trovare spazio per 10 miliardi in un bilancio pubblico 70 volte superiore a questa cifra. Il problema però è che ci sono soglie critiche oltre le quali è molto difficile tornare indietro. Quando mercoledì i rendimenti dei nostri titoli di Stato sono arrivati al 7,5 per cento, alcuni intermediari finanziari, come la società anglo-inglese Lch, hanno cominciato ad imporre costi molto alti alle banche che utilizzano i nostri titoli di Stato come garanzie nel prendere prestiti, scatenando vendite massicce dei nostri titoli di Stato. Questo ha portato in pochi minuti ad un aumento fino a 100 punti dello spread. È come se stessimo camminando con scarpe senza para sui bordi delle scogliere di Mohen in giornate di pioggia. La caduta può essere verticale perché gli investitori esteri, che oggi detengono circa la metà dei nostri titoli di Stato, riducono in questi casi immediatamente l’esposizione verso il nostro Paese spostandosi verso lidi ritenuti più sicuri. Le banche italiane, sin qui grandi acquirenti dei nostri Btp, sono spinte anch’esse a ridurre fortemente la loro esposizione per non abbassare ulteriormente i loro requisiti di capitale, ora che i titoli in loro possesso vengono valutati alle condizioni di mercato. Tra i compratori rimangono così solo la Banca centrale europea (che ha ormai acquisito quasi 100 miliardi di nostri titoli) e le famiglie italiane. Incidentalmente, davvero fuori luogo sono gli inviti al patriottismo di banchieri che stanno piazzando titoli di Stato presso le famiglie italiane come in passato avevano loro venduto senza scrupoli titoli argentini, titoli tossici o azioni e obbligazioni Cirio o Parlamalat.
Si chiama proprio cliff risk, rischio di cadere dalla scogliera. Se questo avviene rimane ben poco poi da governare. E si ha la forma peggiore di macelleria sociale che si possa immaginare: milioni di posti di lavoro distrutti, risparmi di una vita ridotti a ben poco, povertà estrema senza avere paracaduti di sorta. Forse vale allora la pena di fare qualche passo indietro per il tempo strettamente necessario a rassicurare i mercati e ad allontanarci dal precipizio. Andando subito alle urne, tra l’altro, non ci sarebbe la riduzione dei parlamentari e dei loro compensi, l’abolizione dei consigli provinciali e l’agglomerazione dei piccoli Comuni. Il sospetto è che alcuni politici che oggi invocano le elezioni subito vogliano solo difendere i loro privilegi.

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