IL RIFORMISTA: FLEXSECURITY CONTRO APARTHEID

IL RISPARMIO DERIVANTE DALL’ELIMINAZIONE DEL RITARDO SISTEMATICO NELL’AGGIUSTAMENTO INDUSTRIALE COPRE ABBONDANTEMENTE I COSTI DEL SUPERAMENTO DEL DUALISMO FRA PROTETTI E NON PROTETTI NEL MERCATO DEL LAVORO

Intervista a cura di Edoardo Petti pubblicata su Il Riformista il 3 novembre 2011

Come risponde a chi le obietta che il progetto flexsecurity costa troppo alle imprese?
Il costo è molto inferiore a quel che sembra; e comunque è ampiamente compensato dall’esenzione dal controllo giudiziale sul motivo economico od organizzativo del licenziamento. Il regime che è in vigore oggi comporta per le imprese un ritardo da due a quattro anni nell’aggiustamento degli organici: un costo molto rilevante, anche se non è contabilizzato come tale nei bilanci.

Qual è invece il costo del contratto di ricollocazione, secondo il suo progetto?
Una indennità di licenziamento pari a una mensilità per ogni anno di anzianità di servizio del lavoratore. A questa si aggiunge il trattamento complementare di disoccupazione: il reddito garantito al lavoratore per il primo anno deve essere pari al 90 per cento dell’ultima retribuzione. Se la disoccupazione si protrae, il trattamento scende all’80 per cento e poi, nel terzo anno, al 70.

Non le sembra un costo molto alto per l’impresa?
No, perché per il primo anno l’Inps copre già gran parte del trattamento (l’80 per cento nel settore industriale). E già oggi in Italia otto lavoratori su dieci che perdono il posto lo ritrovano entro l’anno. D’altra parte, è bene che l’impresa sia fortemente incentivata a fare un buon investimento sui servizi di outplacement e di riqualificazione mirata, in modo che il lavoratore sia ricollocato al più presto.

A Suo parere la lettera del Governo all’Europa in tema di lavoro e licenziamenti costituisce un punto di partenza costruttivo per arrivare all’obiettivo di una nuova rete di assicurazione e protezione sociale?
No: su questo punto quella lettera è stata assolutamente troppo generica.
Su questa materia, per sua natura estremamente ansiogena, occorre invece essere molto precisi nell’indicazione di che cosa ci si propone di fare.

Ma il Presidente del Consiglio ha poi corretto l’errore facendo proprio il suo progetto.
É vero. Ma è il ministro del Lavoro che, anche dopo quella dichiarazione del premier, si è mantenuto molto reticente e vago.

Vi sono i margini per aprire una discussione sincera e aperta in Parlamento su questo tema?
Ci sarebbero se ci fosse un Governo. Ma non sembra essere questo il caso, in questo momento. Come si fa ad avviare una discussione aperta con un Governo nel quale il premier litiga con il ministro dell’Economia e fornisce indicazioni programmatiche che il ministro del Lavoro è riluttante a seguire?

Pensa a un’iniziativa specifica in questa direzione, per coinvolgere e chiamare a scelte concrete partiti politici e opinione pubblica, oltre ai progetti di legge da Lei presentati e agli interventi sugli organi di stampa?
Sono due anni che lavoro per la promozione di questo progetto. La settimana prossima uscirà nelle librerie un mio libro destinato a spiegarlo e discuterlo in tutti i dettagli. Per presentare il libro ho già un calendario fitto di incontri fino alla primavera prossima. Più di questo non posso fare.

Un fronte sensibile su queste tematiche è senza dubbio quello sindacale. Come pensa di convincere le confederazioni, e soprattutto la Cgil di oggi, della bontà della Sua proposta?
La Uil, per bocca del suo segretario generale Luigi Angeletti, ha già dichiarato di condividere il mio progetto integralmente. Confido che, magari con qualche distinguo, anche la Cisl lo farà nei giorni prossimi. Nella Cgil invece ci sono solo alcuni dirigenti che lo condividono. Ma confido che il consenso si allargherà anche in questo sindacato, che è poi il mio da più di quarant’anni.

Su quale idea-forza lei punta per persuadere i suoi militanti e iscritti?
Il progetto non tocca chi ha già un lavoro stabile: riguarda soltanto i nuovi rapporti di lavoro che si costituiranno da qui in avanti. E per questi disegna un diritto del lavoro davvero applicabile a tutti, ispirato ai migliori modelli nord-europei. Opporvisi significa condannare ancora per anni le nuove generazioni di lavoratori a rimanere nelle condizioni attuali di vero e proprio apartheid ai loro danni.

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