RISPOSTE ALLE DOMANDE E OBIEZIONI SUL PROGETTO FLEXSECURITY
Intervista a cura di Ferdinando Cotugno pubblicata su Vanity Fair il 5 novembre 2011
Perché i giovani di oggi rischiano di essere precari a vita?
In parte perché ormai da quindici anni l’Italia non cresce, non crea nuovi posti di lavoro. In parte perché il nostro diritto del lavoro sembra fatto apposta per generare questo regime di feroce apartheid fra lavoratori protetti e non protetti.
A questo tema lei ha dedicato il libro che esce in questi giorni nelle librerie. Qual è la “grande riforma” a cui accenna il sottotitolo del libro, che può dare stabilità e sicurezza a chi vuole costruire una famiglia, fare un figlio, comprare casa?
Un nuovo codice del lavoro semplificato, ispirato al modello della flexsecurity scandinava: tutti a tempo indeterminato, a tutti le protezioni essenziali, nessuno inamovibile. E a chi perde il posto una robusta garanzia di continuità del reddito e di investimento sulla sua professionalità.
Cosa ci guadagna un giovane lavoratore dalla flexsecurity?
Di non essere più relegato in serie B o in serie C, cioè nei bad jobs; di poter competere ad armi pari con chi lo ha preceduto per qualsiasi mansione o funzione.
Quali sono le misure per favorire l’accesso al credito per i giovani lavoratori?
Il giorno in cui tutti i nuovi assunti saranno a tempo indeterminato – tranne ovviamente i casi classici di contratto a termine, per lavori stagionali o per sostituzioni temporanee – le banche non avranno alcun motivo per negare il mutuo ai più giovani. Come accade in tutti i Paesi più civili del nostro, dove non c’è un articolo 18 che copre soltanto metà dei lavoratori dipendenti e condanna l’altra metà ai “lavori atipici”.
A che serve proporre che tutti i contratti siano a tempo “indeterminato”, se il lavoratore può essere licenziato per esigenze aziendali indipendenti dalla sua volontà?
La sicurezza economica e professionale oggi non si può più garantire con l’ingessatura del posto di lavoro, con il regime di job property. Va garantita con una assistenza robusta al lavoratore nel passaggio dalla vecchia occupazione alla nuova. D’altra parte, proprio il costo di questa garanzia costituisce per l’impresa un disincentivo al licenziamento, quindi un fattore di stabilità del rapporto.
Il periodo di passaggio da un lavoro all’altro (la parte security della flex-security) sarebbe retribuito? In che percentuale rispetto all’ultimo stipendio?
Secondo il progetto descritto nel mio libro, l’impresa che licenzia è obbligata a stipulare con il lavoratore un “contratto di ricollocazione” che gli garantisca un trattamento complementare di disoccupazione: il reddito per il primo anno deve essere pari al 90 per cento dell’ultima retribuzione. Se la disoccupazione si protrae, il trattamento scende all’80 per cento e poi, nel terzo anno, al 70.
Un costo molto alto per l’impresa.
No, perché per il primo anno l’Inps copre già gran parte del trattamento (l’80 per cento nel settore industriale). D’altra parte, è bene che l’impresa sia fortemente incentivata a fare un buon investimento sui servizi di outplacement e di riqualificazione mirata, in modo che il lavoratore sia ricollocato al più presto.
E se il lavoratore non collabora?
L’impresa può sciogliere il contratto di ricollocazione.
In questo modo, però, si accolla alle imprese un costo aggiuntivo, oggi non previsto.
Questo costo è ampiamente compensato dall’esenzione dal controllo giudiziale sul motivo economico od organizzativo del licenziamento. Il regime oggi vigente comporta per le imprese un ritardo da due a quattro anni nell’aggiustamento degli organici, che comporta un costo molto rilevante, anche se non contabilizzato come tale nei bilanci.
Il periodo di passaggio da un lavoro all’altro andrebbe anche a contribuire all’accumulo della pensione?
Sì: oltre al trattamento complementare di disoccupazione, il progetto prevede che il lavoratore abbia diritto a una indennità di preavviso pari a una mensilità per anno di anzianità di servizio, fino a un massimo di 12, che comporta la contribuzione previdenziale per lo stesso periodo.
Quali sono gli strumenti a sostegno di formazione e riqualificazione professionale?
Il progetto prevede che li scelga l’impresa, perché essa è fortemente interessata a scegliere i servizi migliori, per ridurre al minimo il periodo di disoccupazione.
Un altro costo per l’impresa.
No: il costo dei servizi di outplacement e di riqualificazione professionale può e deve essere coperto dalle Regioni, anche con i contributi del Fondo Sociale Europeo, che oggi in Italia vengono in larga parte spesi malissimo o addirittura non utilizzati.