IL MIO PROGETTO, PUR NON ESSENDO APPROVATO DALL’ATTUALE DIREZIONE DEL PD, È STATO FIRMATO DALLA MAGGIORANZA DEI SENATORI DEMOCRATICI, TRA CUI DUE VICEPRESIDENTI DEL SENATO, E FATTO PROPRIO DA UDC, API, FLI, E ITALIA FUTURA – CI SONO TUTTE LE PREMESSE PERCHÉ POSSA COSTITUIRE LA BASE DI UNA INTESA BI-PARTISAN
Intervista a cura di Filippo Caleri pubblicata su il Tempo il 30 ottobre 2011
Di licenziamenti flessibili si parla da anni in Italia senza nessuna riforma. Cosa blocca l’arrivo di nuove norme per cambiare e rendere il mercato più efficiente?
È una materia complessa e delicata. Anche solo parlarne è ansiogeno. Finché si parla genericamente di un intervento legislativo, si scatenano tutte le paure. Per questo è politicamente essenziale aprire la discussione sulla base di un progetto preciso, nero su bianco, il cui equilibrio sia stato messo a punto attraverso incontri politico-sindacali e seminari universitari in ogni parte d’Italia. Questo è quello che è avvenuto prima e dopo la presentazione del mio disegno di legge n. 1873, che ora il premier ha dichiarato di voler fare proprio.
Sull’articolo 18 dello Statutio del lavoratori il Paese si è bloccato per un anno e mezzo. Ora la necessità di assicurare all’Ue un piano che flessibilizzi il mercato del lavoro non rischia di bloccare nuovamente il Paese?
Questo mio disegno di legge, pur non essendo stato fatto proprio dal Pd, è stato presentato, insieme a me, da altri 54 senatori del Pd, tra i quali due vicepresidenti del Senato: la maggioranza del nostro gruppo. È stato fatto poi esplicitamente proprio dall’Udc, dall’Api e da Futuro e Libertà. E il 10 novembre scorso una mozione di Francesco Rutelli che impegna il Governo a varare una riforma modellata proprio su questo disegno di legge è stata approvata dal Senato a larghissima maggioranza: 455 voti contro 24 contrari e astenuti.
Ci illustra i punti di forza della sua proposta che prevede un indennizzo fino a 3 anni di salario per chi viene licenziato?
Si tratta di un codice del lavoro semplificato, composto di 70 articoli molto chiari e facilmente traducibili in inglese, suscettibili di applicarsi a tutta l’area del lavoro sostanzialmente dipendente. Così si supera il dualismo fra protetti e non protetti nel mercato del lavoro. L’idea è che, in partenza, questo nuovo “diritto del lavoro unico”, per la parte relativa ai licenziamenti si applichi soltanto ai rapporti di lavoro nuovi, che si costituiranno da qui in avanti.
E che cosa prevede, in concreto?
Tutti a tempo indeterminato – tranne, ovviamente, i casi classici di contratto a termine, per punte stagionali, sostituzioni temporanee, ecc. – a tutti le protezioni essenziali, in particolare contro le discriminazioni, ma nessuno inamovibile. E a chi perde il posto una garanzia robusta di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione, di continuità del reddito e di investimento sulla sua professionalità. Per maggiori dettagli devo rinviare al testo del disegno di legge n. 1873/2009 e al mio sito, www.pietroichino.it.
Si parla della legge Biagi non completata,ovvero alla flessibilità si doveva affiancare un sistema di tutele per chi resta senza lavoro (indennità di disoccupazione e altro). Pensa che riusciremo a diventare un paese con una legislazione completa sul tema?
Con questo nuovo codice del lavoro lo diventeremmo.
Il tema del lavoro scivola sempre sulla politica. La lettera alla Ue ha ottenuto un primo risultato: ricompattare un fronte sindacale che si era sfilacciato. Come pensa che si riuscirà a superare divisioni e steccati ideologici sul tema del lavoro?
Finché sul tavolo ci sono proposte generiche, talvolta minacciose nella loro formulazione – come quella dei “licenziamenti facili” – capisco l’alzata di scudi dei sindacati. Ma qui la cosa è molto diversa: si parla, innanzitutto, di una riforma della materia destinata ad applicarsi soltanto ai rapporti di lavoro che si costituiranno da qui in avanti. Chi oggi ha un rapporto di lavoro stabile conserverà la vecchia protezione. Si parla, poi, di varare un nuovo codice del lavoro semplificato capace finalmente di applicarsi a tutti, voltando pagina rispetto al regime attuale di vero e proprio apartheid fra protetti e non protetti. Opporsi a questo progetto da parte di grandi confederazioni come Cgil, Cisl e Uil che si proclamano non corporative, significherebbe mettersi contro le nuove generazioni.