MA È CURIOSO CHE LA FIAT DOPO ESSERE STATA DENTRO CONFINDUSTRIA PER TUTTI GLI ANNI PASSATI, QUANDO HANNO PREVALSO LE SCELTE PIÙ CONSERVATRICI, NE ESCA ORA CHE NELL’ASSOCIAZIONE PREVALGONO LE SCELTE PIÙ INNOVATIVE
Lettera pervenuta il 10 ottobre 2011 – Segue la mia risposta
Caro Professore,
leggo sempre con attenzione i suoi articoli che trovo sempre interessanti. Frequentemente mi trovo allineato alle sue conclusioni ma questa volta no.
Sono un HR Manager, quel che un tempo era il famoso Direttore del Personale simbolo di autorità ed autoritarismo, di una grande multinazionale USA metalmeccanica e le assicuro che da questa prospettiva i problemi hanno decisamente una piega diversa da quella normativa e metodologica che leggo negli articoli dei quotidiani italiani che trattano la materia.
Gli investitori stranieri continuano a non capire i bizantinismi del nostro sistema e cercano certezze e semplificazioni che possano consentire pianificazioni o progettualità. Quando tento di spiegare ad uno straniero il beneficio derivante da un accordo come quello interconfederale dello scorso Giugno e poi quello di un articolo (l’8) di una manovra correttiva di bilancio, faccio molta fatica a convincerli che essi costituiscono un passo in avanti del nostro sistema di relazioni industriali e, più generalmente, giuslavoristico. É evidente in ogni caso che esso è comunque un passo troppo modesto e timido rispetto a quello che le multinazionali investitrici ed i loro manager si aspettano.
Certo se osserviamo il fenomeno da un’ottica totalmente italica, l’aver costretto tutti i sindacati ad una regola di rappresentatività è cosa importante dopo anni di litigiosità come è importante l’aver ottenuto un teorico depotenziamento dei sistemi centralisti troppo lontano dal business per essere realmente propositivi, ma purtroppo l’economia ed i mercati in genere pur comprendendo non possono adeguarsi a rallentamenti e surplasse delle politiche le quali possono essere degne del miglior Maspes, un corridore da pista degli anni 50 che come paragone calza a pennello.
C’è troppa politica, troppo compromesso politico in queste norme che alla fine per un professionista non interessato alla loro esegesi si traducono in faragginosità, complessità, inapplicabilità.
Alla Marcegaglia la Fiat, ma Le assicuro anche moltissimi imprenditori e manager che non accompagnano il loro business alle prebende della politica, imputa il non voler adottare un vero salto qualitativo nello sviluppo della normativa del lavoro e nel rapporto con il sindacalismo italiano: anzi a molti di noi la Marcegaglia pare essere collaterale a questo sistema che esiste proprio in quanto suoi attori principali, Confindustria e sindacato, trovano l’unica linfa vitale in questa sistema negoziale colloso ed incerto.
Le Aziende, quelle che competono nell’arena mondiale non vogliono la morte del sistema giuslavoristico italiano, vogliono solo che accanto ad un processo negoziale con controparte ci siano delle regole certe, magari anche più onerose, che disciplinino gli istituti più importanti del diritto del lavoro. Vogliono quella semplicità e quella chiarezza che la politica non riesce ad offrire al fine di processi d’investimento onerosi e sui quali lavorare per un ritorno.
Può darsi pertanto che a stretta norma Fiat abbia fatto male a lasciare Confindustria: in termini aziendali no perchè queste norme non soddisfano le esigenze minime di visibilità e governance. Ed una multinazionale non può essere costretta in un paese ma deve produrre e generare profitto dove ci sono le condizioni; ma prima di ogni decisione deve mettere in atto tutte le azioni, anche di rottura, per ritrovare un corretto equilibrio gestionale.
Compito della politica di primo e secondo livello crearne le condizioni; compito delle aziende generare beneficio collettivo all’interno di questo frame. Ma diritto di queste ultime anche di reclamare un’arena competitiva ed efficace.
Mi scusi la franchezza del linguaggio e la ringrazio per avermi letto.
Saluti carissimi.
Lorenzo Giachetti
Fin dal 2009 ho presentato una proposta di drastica semplificazione del nostro diritto sindacale (d.d.l. n. 1872/2009) e del nostro diritto del rapporto individuale di lavoro (d.d.l. n. 1873/2009: 2000 pagine di legislazione di fonte nazionale ridotte a 70 articoli semplici e traducibili in inglese), che va esattamente nella direzione indicata in questo messaggio. In particolare, se fosse stato approvato ed emanato come legge dello Stato il d.d.l. n. 1872, la vicenda degli accordi Fiat del 2010 si sarebbe svolta in modo molto più sereno, senza scontri e senza strappi, essendo chiari prerogative e ruoli rispettivi della coalizione sindacale maggioritaria e di quella minoritaria.
Ora, in mancanza di meglio, mi sembra che il combinato disposto dell’accordo interconfederale del 28 giugno e dell’articolo 8 del decreto di Ferragosto – pur suscettibile anche di un uso difettoso o eccessivo – per la parte buona vada nella direzione del mio disegno di legge n. 1872/2009; e non comprendo perché la Fiat, che è rimasta dentro Confindustria fino a ieri (anche nel 2009, quando Confindustria firmò il timidissimo accordo con Cisl e Uil che creava più problemi di quanti non ne risolvesse), ne esca proprio nel momento in cui la confederazione degli industriali compie una svolta significativa. Mi sembra che così Fiat rischi di indebolire questa svolta, incoraggiando, su entrambi i versanti del sistema delle relazioni industriali, la parte che si oppone al cambiamento. E osservo che l’uscita dal sistema interconfederale, invece che aumentare la libertà contrattuale della Fiat, paradossalmente la riduce, perché al di fuori di quel sistema non si dà alcuna delle possibilità di contrattazione aziendale in deroga previste dall’articolo 8 del decreto di Ferragosto. (p.i.)