DIFETTI (MA ANCHE UN PASSO AVANTI) NEL DIBATTITO SUL LAVORO IN SENO AL PD

SULLE POLITICHE DEL LAVORO IN SENO AL PARTITO DEMOCRATICO QUALCHE VOLTA NON RIUSCIAMO A INDIVIDUARE IN MODO CHIARO I PUNTI DEL DISSENSO, E NEPPURE LE STESSE PROPOSTE DEL PD – FORSE PERÒ NELL’ULTIMO INTERVENTO DEL CAPOGRUPPO PD ALLA CAMERA C’È UN SEGNALE DI NOVITÀ: NON VA LASCIATO CADERE

 Editoriale per la Newsletter n. 168, 26 settembre 2011, in risposta a un editoriale pubblicato il 22 settembre su Europa da Cesare Damiano, capogruppo Pd nella Commissione Lavoro della Camera dei Deputati

Il dibattito in corso su Europa in materia di politica del lavoro per un verso mostra quanto sia difficile, nella discussione interna al Partito democratico sulle politiche del lavoro, mettere a fuoco l’oggetto stesso dei dissensi; quindi quanto sia vischiosa questa discussione, quanto immobili le posizioni. Per altro verso, alcuni passaggi della discussione pongono in evidenza delle vere e proprie contraddizioni nella posizione dei dirigenti che “dettano la linea”. Questa volta, però, a ben vedere si osserva un piccolo passo avanti, anche se compiuto – per così dire – un po’ troppo in sordina.

    1. Difficoltà di mettere a fuoco i dissensi.  A un articolo di Nicola Rossi e mio del 15 settembre Sergio D’antoni aveva risposto martedì scorso criticando il progetto Flexsecurity per due aspetti che non corrispondono al suo contenuto: non è vero che questo progetto “toglie protezioni a chi oggi è garantito”, perché esso si applica soltanto ai rapporti di lavoro che si costituiscono da qui in avanti; e non è vero che questo progetto “appiattisce tutto il mondo del lavoro imponendo un unico contratto di lavoro per tutti”, perché esso lascia in vita tutti i tipi legali di lavoro oggi previsti, limitandosi a prevedere una disciplina universale del licenziamento, applicabile a tutti i rapporti caratterizzati dalla dipendenza economica del lavoratore dall’azienda. Mercoledì dunque ho replicato a Sergio D’Antoni, sempre su Europa, cercando di superare questi due equivoci. Ma le stesse cose le avevo scritte, in tutte le salse, almeno altre cento volte. Come può un dibattito progredire, se gli interlocutori non si ascoltano a vicenda?
     A quest’ultimo mio articolo giovedì, sempre su Europa, replica Cesare Damiano con un editoriale intitolato Perché Ichino non convince. Ci si potrebbe attendere che, superati i due falsi problemi evidenziati nel mio articolo immediatamente precedente, il capogruppo Pd della Commissione Lavoro della Camera affronti finalmente i veri punti del dissenso sul progetto Flexsecurity. Invece i primi due terzi del suo articolo parlano di tutt’altro: polemizzano con il Governo e il centrodestra per la mancanza di una politica industriale e per i contenuti recessivi delle ultime manovre finanziarie. Quando, finalmente, ben oltre la metà dell’articolo, Damiano arriva a parlare del progetto Flexsecurity, la sola cosa che egli dice al riguardo è che “questa proposta non è condivisibile”. Nel seguito dell’articolo non si trova una sola parola che riguardi i contenuti del progetto circa la nuova disciplina del licenziamento o il meccanismo delineato per garantire sicurezza economica e professionale al lavoratore nel passaggio dal vecchio posto al nuovo. Così, il lettore resta con l’interrogativo: che cosa di quella proposta non è condivisibile, e perché? E ritorna la domanda: a che cosa serve un dibattito nel quale un interlocutore si limita a dire che gli argomenti dell’altro non lo convincono, senza mettere a fuoco i punti di dissenso e contro-argomentare?

     2. Vischiosità della discussione. –  L’articolo di Cesare Damiano riprende quindi subito a parlar d’altro, affermando che “ciò che servirebbe è la semplificazione delle numerose tipologie contrattuali a disposizione delle imprese: un vero e proprio supermercato dei lavori”. In particolare, ad avviso di Damiano, un punto essenziale della riforma auspicabile dovrebbe consistere nella soppressione del “contratto a chiamata” e dello staff leasing. Ora, quello del “lavoro a chiamata” è il contratto con il quale, da tempo immemorabile, vengono assunti i camerieri per i banchetti, o le hostess per i congressi; le persone coinvolte con qualche frequenza in questo tipo di contratto in Italia sono poche migliaia; sono questi i rapporti che l’ex-ministro del Lavoro intende vietare? Quanto allo staff leasing, esso consiste in una forma di organizzazione del lavoro che prevede rapporti di lavoro a tempo indeterminato, protetti dall’articolo 18 dello Statuto e da tutte le altre norme del nostro diritto del lavoro; anche di questo tipo contrattuale, attualmente, in Italia si contano poche migliaia di casi. Tornare a vietare lo staff leasing non può dunque avere nulla a che fare con la soluzione del problema del precariato permanente, che riguarda milioni di lavoratori italiani privati non solo dell’articolo 18, ma anche della maggior parte delle altre protezioni. Poiché questa cosa è stata detta e scritta da molte persone oltre che da me una infinità di volte in questi ultimi anni, Damiano dovrebbe farsi carico di replicare: indicare dove sta il nostro errore, confutare l’argomento. Altrimenti, a che cosa serve discutere? 

     3. Una contraddizione tra Cesare Damiano e Sergio D’Antoni . L’ex-ministro del Lavoro, come si è appena visto, auspica “la semplificazione delle numerose tipologie contrattuali a disposizione delle imprese: un vero e proprio supermercato dei lavori”. L’ex-segretario della Cisl, invece, nel suo articolo di martedì scorso aveva imputato al mio progetto di appiattire il mondo del lavoro imponendo un “contratto unico”. L’uomo della strada, a questo punto, non capisce più quale sia la linea del Pd: la pluralità dei tipi contrattuali va conservata o no?

     4. Il passo avanti. – Cesare Damiano sembra dare una risposta a quest’ultimo interrogativo, indicando un altro cardine della riforma auspicabile nell’istituzione di un “Contratto unico di inserimento formativo”, della durata massima di tre anni, destinato a costituire un canale universale di accesso al lavoro a tempo indeterminato: “un periodo di apprendistato o di  prova anche lungo (tre anni) … In questa logica possono allora essere definiti contratti a ‘tutela progressiva'”. Di questa apertura a un “contratto a tutela progressiva” nel corso dell’assemblea programmatica di Genova del giugno scorso dedicata al tema del lavoro non era stato fatto alcun accenno: le uniche due proposte di intervento normativo menzionate in quell’occasione erano state la parificazione dei contributi previdenziali per il lavoro “parasubordinato” rispetto al lavoro subordinato e la riforma dell’apprendistato (sulla quale si è registrato ultimamente l’accordo sindacale, con successivo suo recepimento in legge). Benissimo. Ma perché questa importante novità nella linea del partito viene tenuta quasi nascosta?

     5. Invito a un dibattito più aperto. – I frequentatori di questo sito sanno quanto quelle due proposte uscite dall’assemblea di Genova mi fossero parse insufficienti, di fronte al drammatico e colossale problema del dualismo del nostro mercato del lavoro. E’ un fatto molto positivo, dunque, che finalmente si faccia qualche passo avanti su questo terreno. Ma allora, per favore, discutiamo apertamente di quale possa e debba essere la disciplina di questo “contratto unico a tutela progressiva” e di quale spazio intendiamo attribuirgli nel tessuto produttivo del nostro Paese. È evidente a tutti che questa proposta ha una valenza diversissima a seconda che, per esempio, il “contratto unico di inserimento” di cui parla Cesare Damiano sia destinato soltanto a sostituire gli attuali contratti di apprendistato e “di inserimento”, oppure a sostituire anche i contratti a termine e di lavoro a progetto, oppure ancora a sostituire qualsiasi contratto di lavoro dipendente. Forse è il caso di riconvocare una conferenza programmatica per chiarirci le idee su questo punto.

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