SCAMBIO TRA L’ECONOMISTA DEL LAVORO E IL PROFESSORE ISCRITTO ALLA CGIL SUL PROBLEMA DEL RECLUTAMENTO DEL PERSONALE INSEGNANTE
Messaggi inviati nel periodo tra il 14 e il 21 settembre 2011, a seguito della pubblicazione sul Sole 24 Ore dell’articolo di Andra Ichino La scuola precaria e i toxic teachers, il 13 settembre 2011
PRIMO MESSAGGIO
Caro Andrea,
sono un docente iscritto alla FLC Cgil. Ci siamo conosciuti alcuni mesi fa durante un seminario sulla valutazione. L’argomento della valutazione mi interessa e seguo sempre i tuoi interventi su il Sole 24 ore. L’articolo “Scuola precaria e senza merito” di lunedì scorso mi ha stimolato a scriverti. Mi ha fatto riflettere. Dico subito che, pur ritenendo importante introdurre la cultura e la pratica della valutazione, non sono d’accordo con il tuo approccio al problema, soprattutto con riferimento al precariato. Da qui alcune riflessioni.
Penso che si debba partire da come si sono formate le graduatorie ad esaurimento dei precari. Mi pare che la tua ricostruzione non corrisponde alla realtà storica.
Il precariato, secondo la mia ricostruzione, corrisponde alla differenza che i governi succedutisi negli ultimi 30 anni hanno sempre voluto perpetuare tra l’organico a tempo indeterminato e i posti effettivi di insegnamento: i posti reali (sia docenti che ATA) sono sempre risultati e anche adesso risultano notevolmente superiori rispetto al numero dei docenti con contratto a tempo indeterminato.
Il mantenimento di questa differenza ha sempre rappresentato per lo Stato la possibilità di tenere bassi i costi retributivi attraverso il blocco al livello iniziale dello stipendio e in molti casi tramite l’eliminazione delle mensilità estive per un numero significativo di lavoratori.
Il precariato non è una perversa invenzione dei sindacati che trarrebbero da questo fenomeno potere e rappresentanza ma è la scelta vecchia dello Stato di fare risparmi su una fetta consistente di lavoratori per le ragioni prima presentate. Il sindacato interviene su un fenomeno che non vorrebbe esistesse. É un fenomeno strutturale che ha garantito non solo la soluzione a situazioni marginali, supplenze brevi o insegnamenti per una porzione di cattedra, ma ha permesso lo stesso funzionamento normale della scuola. Sembra un ossimoro ma la precarietà ha costituito, purtroppo, la garanzia della normalità della scuola.
Molti degli studenti bravi che hanno scelto a suo tempo di fare gli insegnanti sono lì, nel precariato, hanno superato più prove abilitanti o hanno dimostrato di essere pronti per l’insegnamento e spesso non hanno vinto il concorso (molti hanno partecipato ai concorsi di 10 e 15 anni fa e li hanno superati pur non vincendoli) perché i posti a disposizione erano nettamente inferiori a quelli di cui il sistema scolastico aveva effettivamente bisogno. Restava loro il “privilegio” di andare a ingrossare le graduatorie permanenti dalle quali l’amministrazione attingeva per procurarsi il risparmio pagando poco e parzialmente una parte del personale.
Il precariato e i sindacati che lo rappresentano non costituiscono quindi l’ostacolo alla qualificazione della scuola. I precari sono insegnanti, hanno lavorato continuativamente per 5/10/15 anni, hanno le competenze e le conoscenze che questa scuola e questa università è in grado di dare a coloro che intendono andare a svolgere l’attività di insegnante. Non mi pare che rappresentino un tappo ai bravi studenti che vorrebbero fare il mestiere di insegnante ma sono dissuasi da questa massa di assistiti e “nullafacenti” come direbbe il ministro.
Tutti i giovani studenti hanno dei tappi davanti al loro futuro lavorativo, hanno davanti a sé altri lavoratori più o meno precari. Ma sono questi lavoratori la causa del buco nero nel futuro dei giovani? Credo che le cause siano altre. É la crisi, la mancanza di lavoro, è la diminuzione del valore e del ruolo del lavoro che purtroppo si stanno affermando.
Il precariato, una volta eliminato quello attuale, non si riprodurrà solo se lo Stato sarà in grado di programmare di volta in volta il fabbisogno delle risorse professionale in modo tale che questo sia corrispondente ai bisogni reali.
Questa che ho fatto è un’analisi fuorviante, da sindacalista conservatore? Oppure è molto realistica e soprattutto si preoccupa di non fare danni con l’anticipazione e l’inopportunità ora di alcune proposte che al momento non mi paiono strategicamente centrali e di facile attuazione.
Non credo neppure che il giudizio del preside (sai che spesso anche questa figura ha avuto un percorso da precario docente e poi da preside “precario” per diventare poi dirigente a tempo indeterminato?) o la chiamata diretta potrebbero risolvere il problema della qualità del lavoro nella scuola. Credo che questo presunto rimedio potrebbe aggravare la situazione. (Dovrei sviluppare questo aspetto, ma rischierei di spostare il ragionamento altrove. Caso mai in un’altra interlocuzione).
Penso che la scuola, la scuola pubblica e di massa (è di questa che parliamo?) abbia bisogno di riprendere il senso della propria missione, abbia bisogno di cure (l’immagine riportata dai giornali dei bambini che si portano le sedie da casa è inquietante), di attenzione e di risorse (i dati dell’OCSE, usciti in questi giorni, sono significativi) impari a divenire comunità, si comporti secondo la cultura e la pratica della rendicontazione sociale (potrebbe costituire l’obiettivo dei prossimi anni dell’autonomia scolastica e anche la ricerca scientifica potrebbe dare una mano), e da qui alimenti una cultura condivisa della valutazione di sistema, di istituto ed individuale. E lo dico non per spostare il problema. Penso anch’io che la valutazione sia una cosa importante da introdurre quanto prima nella scuola. Una scuola che non valuta e non si valuta è abbandonata alla valutazione del senso comune e dell’approssimazione che già c’è ed è in crescendo.
Ma se non si passa attraverso la condivisione (sarebbe importante approfondire questo aspetto) temo che faremo poco o nulla.
Se non si reimmette linfa vitale in tutto il sistema scolastico la cultura e la pratica della valutazione e del riconoscimento del merito non entrerà mai. Anche tu ci dicesti, nella riunione che ho menzionato all’inizio, che eri meravigliato dalla contrarietà massiccia del personale rispetto alle tematiche del merito e della valutazione individuale. Cerchiamo di capire questo. É importante e decisivo.
Queste sono le reazioni a caldo. Se ti interessa interloquire mi farai piacere. Altrimenti grazie lo stesso.
RISPOSTA DI ANDREA ICHINO
Caro Alessandro
Provo a rispondere ai commenti stimolanti che mi hai inviato.
Considera un qualsiasi datore di lavoro a cui sia permesso di assumere solo a tempo indeterminato ma fronteggi una domanda variabile per i servizi o beni che produce. Come può pagare i suoi dipendenti (che non possono essere licenziati) nei periodi in cui la domanda è bassa e quindi il datore di lavoro ha bisogno di meno dipendenti? Questo è il motivo per cui tutte le aziende in Italia hanno un numero di dipendenti a tempo indeterminato inferiore a quelli che chiami “posti reali “: devono scontare la variabilità della domanda e avere un cuscinetto di flessibilità senza il quale non sopravviverebbero. Ma questa flessibilità è imposta dalla rigidità offerta ai lavoratori stabili.
E questo è il motivo per cui lo Stato non può avere un numero di insegnanti di ruolo a tempo indeterminato pari al numero di posti reali, perchè il numero di posti reali fluttua in continuazione, anzi per la precisione nella scuola è diminuito nel tempo perchè sono diminuiti gli studenti per il crollo demografico.
Tu dici:
“Il precariato, una volta eliminato quello attuale, non si riprodurrà solo se lo Stato sarà in grado di programmare di volta in volta il fabbisogno delle risorse professionale in modo tale che questo sia corrispondente ai bisogni reali.”
Ma come può lo Stato fare quello che dici se può solo assumere e mai licenziare? Cosa vuol dire per te concretamente programmare di volta in volta nel contesto della scuola?
Se vogliamo continuare a proteggere al 100% i lavoratori con contratto stabile a tempo indeterminato, gli altri saranno precari instabili, in coda per diventare stabili man mano che i primi vanno in pensione. Avremo cioè il cosiddetto mercato duale con la parte primaria in cui tutto è garantito e la parte secondaria in cui tutto è precario.
Questo modello ha una sua logica (leggi ad esempio Robert Solow, Il mercato del lavoro come istituzione sociale, Il Mulino): ha senso ed è desiderabile quando la coda per diventare stabile è breve. In questa condizione proteggendo molto bene i lavoratori del mercato primario, si proteggono tutti i lavoratori, perchè rapidamente i secondari diventano primari. Non ho mai capito perchè la CGIL e Fassina non usano questo libro per difendere le loro posizioni: sarebbe la miglior difesa!
Ma la situazione della scuola italiana oggi non è questa. La coda è lunga, sempre più lunga anche perchè ci sono meno studenti essendo diminuite la nascite. Ma i professori primari non possono essere licenziati e quindi i nuovi arrivati devono aspettare tantissimo anche se alcuni di loro sarebbero molto più bravi e motivati di quelli di ruolo garantiti e intoccabili.
Il recente rapporto OCSE ha mostrato che l’Italia è uno dei paesi con la più alta spesa scolastica in stipendi per studente (e nota che il 96% del bilancio miur sono stipendi: questo impedisce di spendere di più in proporzione del gdp). Poichè sappiamo bene che il reddito annuo degli insegnanti in Italia è basso questo vuol dire che ci sono troppi insegnanti per ogni studente.
Metti insieme tutti questi pezzi e chiediti quali persone possono essere oggi attratte da una carriera che prevede una lunga attesa come precari nel mercato secondario, per poi essere assunti con una retribuzione bassa e non in base al merito ma praticamente solo in base alla anzianità di iscrizione alle graduatorie.
Concordi sul fatto che i migliori laureati soprattutto nelle materie scientifiche in questa situazione cercheranno altre strade? E solo i santi e missionari continueranno a voler fare gli insegnanti?
Concordi sul fatto che nella scuola ci sono professori primari che sono davvero pessimi insegnanti il cui stipendio sarebbe meglio utilizzato per attrarre e pagare bene i migliori laureati?
Concordi sul fatto che i cattivi insegnanti danneggiano sopratutto i poveri, e quindi che il sindacato dovrebbe smettere di proteggerli?
Il mio articolo è molto attento a non fare generalizzazioni: so benissimo che ci sono ottimi insegnanti sia tra quelli di ruolo che tra i precari. Penso però che gli altri, quelli pessimi, facciano danni gravi alla scuola e non consentano di usare al meglio le poche risorse disponibili.
E penso anche che pianificare a livello nazionale o anche solo regionale le assunzioni in un’azienda con un milione di persone sia impossibile, mentre se le assunzioni fossero decise e pianificate a livello di ogni singola scuola il sistema migliorerebbe facilitando una maggiore corrispndenza tra posti di ruolo e posti reali come tu chiedi.
Per questo auspico che alle scuole venga data autonomia nella gestione delle risorse umane.
Se per caso volete organizzare un altro seminario alla CGIL di roma per parlarne sarei felice di venire (a mie spese).
A presto e grazie per questa offerta di dialogo
SECONDO MESSAGGIO
Caro Andrea
Ti ringrazio prima di tutto per la tua disponibiltà. Le tue risposte mi hanno fatto piacere. Le tue osservazioni sono, come al solito stimolanti e interessanti per me perchè partono da un’angolatura diversa dalla mia e contengono argomentazioni approfondite.
Emergono chiaramente, com’era prevedibile, le nostre diversità nell’affrontare le varie questioni. Credo sia importante rendere chiare queste differenze. Spesso noto che tu dai rilievo a degli aspetti che, pur riconoscendoli, per me non sono prioritari in questa fase come ad esempio, sulla funzione dello Stato, l’assimilazione a qualunque altro datore di lavoro (lo Stato è un po’ più di un qualsiasi altro datore di lavoro, considerando qual è la funzione e il prodotto della scuola).
O sulla domanda più bassa (ti chiedo: il contesto attuale di meno alunni ma con una presenza nuova e significativa degli immigrati produce automaticamente offerta più bassa? O forse c’è bisogno di articolarla diversamente e quindi di arricchirla l’offerta? E di utilizzare le risorse liberate per intervenire sull’organizzazione del lavoro e sulla professionalità? Mentre noi parliamo comunque la riduzione degli insegnanti l’hanno già fatta). O sul precariato (negli altri Paesi la dimensione è insignificante proprio per una diversa programmazione. Il pensionamento sarà un fenomeno molto consistente nei prossimi anni. Opportunità per immettere linfa nuova e fare ricambio in modo programmato).
O sul rapporto docenti alunni (pensa alle caratteristiche del nostro territorio, alla presenza degli insegnanti di sostegno e di religione, è qui la differenza. Eliminiamo le scuole di montagna, delle isole? Gli insegnanti di sostegno? E di religione per aumentare gli stipendi degli altri insegnanti? Sicuramente avrai visto gli altri dati OCSE e concorderai con me che comunque la spesa dello Stato italiano per la scuola è bassa).
O sul licenziamento (domanda: perchè negli altri Paesi spaventa meno? Perchè si aprono immediatamente e con forme di accompagnamento vie alternative di lavoro. E in Italia? Si deve affrontare con l’intraprendenza personale del licenziato o con interventi massicci di welfare?).
Probabilmente la stessa nostra dimensione “professionale” ci spinge ad avere approcci diversi alle tematiche della scuola. Leggerò volentieri il libro di Solow, da come ne parli penso che abbia convinto anche te. Continuerò con molto interesse a leggere i tuoi articoli e mi adopererò per la tua partecipazione a qualche seminario della FLC.
Grazie e saluti
SECONDA RISPOSTA DI ANDREA ICHINO
Penso anchi’io che il dialogo sia la cosa più utile che possiamo fare per capire la diversità dei punti di partenza e per verificare la possibilità di convergenze.
Ti rinnovo ancoro il mio sincero interesse ad ulteriori incontri con chi nella CGIL fosse interessato a discutere in modo costruttivo su questi temi, pur nella diverstità delle posizioni.
Concordo in realtà su alcuni dei tuoi punti ulteriori, in particolare sul fatto che si possa accettare la possibilità di licenziamento solo in presenza di un serio sistema di welfare e di assistenza dei licenziati nella transizione ad un nuovo lavoro. Questo è esattamente il sistema di Flexecurity che mio fratello Pietro (e io con lui insieme a molti altri) da tempo propugnamo.
Riguardo al ruolo dello Stato, è vero che è un datore di lavoro diverso dagli altri, ma è comunque un datore di lavoro che deve sottostare a dei vincoli di bilancio e di credibilità finanziaria, come dimostrano i problemi (davvero seri) di questi giorni: Presteresti soldi ad uno Stato che non è in grado di garantirti la loro restituzione?
A presto spero