UNA CURA PER LE P.A.: TRASPARENZA E BENCHMARKING COMPARATIVO

Intervista di Paola Alunni a Pietro Ichino per la rivista Amministrazione Civile ‑ 7 maggio 2008

Di riforma dell’Amministrazione pubblica si discute da anni. Quali sono a suo avviso oggi le priorità?
L’impianto legislativo generale è buono; quello che manca è la molla che costringa i dirigenti pubblici a riappropriarsi delle prerogative cui sovente hanno di fatto abdicato nei decenni passati; e a esercitarle incisivamente.

Quale può essere questa molla?
Dove si può introdurre dei meccanismi di mercato, o di “quasi-mercato”, la molla può essere quella.
Questo significa privatizzare?
Niente affatto: si possono attivare meccanismi utili di concorrenza anche in seno al settore pubblico. Come del resto – lo abbiamo visto di recente, purtroppo – la privatizzazione può avvenire senza che si eliminino le posizioni di monopolio.
Può fare un esempio di concorrenza in seno al settore pubblico?
Dove più sportelli decentrati offrono lo stesso servizio, si può prevedere un premio per gli addetti commisurato al numero di cittadini che scelgono di servirsi di ciascuno sportello. Così gli addetti si mobiliteranno per evitare le code e per soddisfare al meglio gli utenti.
Ci sono già delle esperienze di questo genere a cui si può fare riferimento?
Nel panorama internazionale molte. Ma anche in Italia: nel settore sanitario si sta sperimentando qualche cosa di questo genere, con esiti complessivamente positivi. Occorre estendere questo metodo alla scuola, ai servizi di mediazione, di orientamento e di formazione nel mercato del lavoro; più in generale, dovunque esso è compatibile con la natura del servizio.
E dove i meccanismi di mercato non sono compatibili con la natura del servizio?
Si può collegare il premio, o altre forme di incentivo, con le dovute cautele, alla valutazione della qualità del servizio data da chi se ne è servito. L’Inps, per esempio, ha incominciato a sperimentare qualche cosa di questo genere, con buoni risultati; la Regione Lazio si appresta ad attivare un esperimento-pilota progettato dal mio Dipartimento universitario (Regione Lazio – Quattro scelte coraggiose per una svolta).
Ma è difficile applicare meccanismi di questo tipo in servizi di altro genere, come quelli di polizia; oppure negli ispettorati, nei servizi forestali, nella manutenzione delle strade, e in molti altri.
Una cosa che si può e deve fare dappertutto è dare voce alla cittadinanza, mettere il fiato dell’opinione pubblica sul collo dei politici e dei dirigenti pubblici. Questo può costituire una molla potentissima per rompere il circolo vizioso delle irresponsabilità in molte amministrazioni pubbliche.
Come?
Innanzitutto, con la trasparenza totale: tutti i dati sul funzionamento di ciascuna amministrazione devono essere immediatamente accessibili on line: carichi di lavoro, numero di pratiche evase, retribuzioni, orari, straordinari, assenze, promozioni, c.v. dei dirigenti, obiettivi fissati a ciascuno, grado di avvicinamento agli obiettivi, consulenze esterne, e molte altre cose ancora. Anzi: proprio tutto. In modo che l’attività dell’internal audit, del valutatore interno (che deve essere indipendente dal potere politico e dal management), possa intrecciarsi con il civic audit, il controllo esercitato dagli osservatori qualificati esterni: associazioni degli utenti, stampa specializzata, ricercatori universitari, e altri ancora.
Non si violerebbe la privacy degli addetti ai servizi pubblici, mettendo in piazza tutti questi dati?
Dove ci fossero problemi di riservatezza personale, basterebbe fornire il solo dato aggregato, riferito all’ufficio o reparto. Ma non bisogna dimenticare che la legge sulla privacy è posta soltanto a tutela della riservatezza della vita privata delle persone. Invece, non c’è nulla di più pubblico della funzione pubblica: qui dunque deve prevalere nettamente il principio di trasparenza, di visibilità.
I sindacati non si oppongono a operazioni di questo genere?
Se sono svolte in modo corretto, la parte migliore del sindacalismo del settore pubblico non solo non si oppone, ma addirittura chiede che ci si muova in questa direzione. Nel Memorandum firmato dal Governo con le confederazioni maggiori, Cgil Cisl e Uil, nel gennaio 2007 è espressamente previsto che si dia voce alla cittadinanza nella valutazione dei servizi.
Ma dare voce alla cittadinanza è una cosa; differenziare le retribuzioni in base al merito è un passo ulteriore e diverso.
Occorre fare entrambe le cose. Di fronte a un Governo che mostri di agire in modo ragionevole, facendosi carico per intero dell’esigenza di rigorosa equità e ripartendo in modo serio su tutte le parti coinvolte l’impegno che si richiede, credo che il sindacato confederale possa rispondere positivamente su entrambe.
Come si può ottenere che nelle P.A. progrediscano davvero i migliori?
Se i dirigenti vengono responsabilizzati seriamente circa il raggiungimento degli obiettivi che vengono loro assegnati, e quindi rischiano la revoca dell’incarico quando mancano l’obiettivo, sono loro stessi i primi interessati a selezionare i migliori nelle assunzioni e nelle promozioni. Certo, occorre voltar pagina rispetto al modo in cui, per lo più, gli obiettivi vengono stabiliti oggi.
Qual è il modo giusto?
In Gran  Bretagna usano a questo proposito l’acronimo SMART, che sta per specific, measurable, achievable, repeatable, timely: specifici, misurabili, realistici, ripetibili e collegabili a scadenze temporali precise. Oggi, in Italia, non è quasi mai così: gli obiettivi sono generici, non controllabili. Occorre introdurre e radicare nelle nostre amministrazioni la cultura della misurazione e della valutazione, che oggi alligna soltanto in una parte del settore sanitario e di quello tributario. E incominciare a praticare in modo sistematico il metodo del benchmarking comparativo.
In che cosa consiste?
Si ordinano le amministrazioni omologhe, cioè quelle che svolgono lo stesso servizio con lo stesso tipo di risorse, secondo uno o più indici di efficienza e produttività; e si obbligano quelle che si collocano nella parte bassa della graduatoria a riallinearsi alla media. L’indice medio diventa al tempo stesso un benchmark e un obiettivo vincolante per i responsabili delle strutture meno efficienti.
Un benchmark che tende ad aumentare, se chi sta sotto si riallinea.
Proprio così: il metodo del benchmarking comparativo tende, sulla distanza, ad allineare tutte le amministrazioni con le più virtuose.
Responsabilizzare i dirigenti, va bene. Ma occorre anche che dispongano delle risorse necessarie.
E dei poteri: delle prerogative cui hanno abdicato, di cui si è detto all’inizio. Senza quelle, non ha neppure senso l’investimento delle risorse. Occorre rompere il circolo vizioso dell’irresponsabilità: “inefficienti perché privi delle risorse e dei poteri necessari; privi delle risorse e dei poteri perché inefficienti”. Il modo per romperlo è stimolare i dirigenti a dare il primo colpo di reni, mobilitandoli su alcuni primi obiettivi impegnativi ma non irraggiungibili; e puntare tutto sui dirigenti che si mostrano all’altezza della sfida.
Decisiva, dunque, alla fine sarà la capacità di organizzazione, di far funzionare meglio le risorse a disposizione.
Proprio così. Ma oltre agli incentivi sono necessari anche gli interventi di formazione: occorre aiutare per primi i dirigenti a recuperare il loro mestiere.
Si parla molto di e-government; può essere anche questo un fattore di svolta?
Anche le nuove tecnologie informatiche possono svolgere un ruolo molto importante, a patto che ci si sappia dotare di una strategia organica per la loro utilizzazione: sovente manca il know-how specifico. Ma non facciamoci illusioni: se non attiviamo una cultura nuova, se non introduciamo a tutti i livelli gli incentivi giusti, neppure la rivoluzione informatica riuscirà a cambiare faccia alle nostre amministrazioni pubbliche.�

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