CON L’ARTICOLO 8 DELLA MANOVRA-BIS IL GOVERNO INTENDE DARE UNA RISPOSTA ALLA RICHIESTA DI FLESSIBILIZZAZIONE PROVENIENTE DALLA BCE – MA SE LA NORMA PRODURRÀ UN EFFETTO, SARÀ SOLTANTO QUELLO DI UN AUMENTO DEL DUALISMO FRA PROTETTI E NON PROTETTI
Intervista a cura di Gabriella Piroli, pubblicata su Panorama Economy l’8 settembre 2011 – In argomento v. anche la mia intervista pubblicata su il Messaggero e quella pubblicata su la Stampa
La novità – che sta alimentando tutte le polemiche – viene espressa con poche parole. È nel punto e dell’ormai celebre art. 8 e autorizza i sindacati locali a occuparsi di «conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio».
«Peccato», spiega Pietro Ichino, docente univeritario, giuslavorista e senatore del Pd, da tempo impegnato per una riforma radicale della contrattazione. «Peccato perché viene addirittura aggravato il dualismo tra lavoratori regolari delle aziende medio-grandi (per i quali presumibilmente non cambierà niente) e i poco o per nulla protetti delle imprese più piccole, che potranno perdere anche il poco che hanno».
Ci può fare un esempio di licenziamento che oggi non è possibile, ma che con il nuovo art. 8 lo sarà?
La nuova norma non consente al contratto aziendale di derogare sulla nozione di licenziamento legittimo o illegittimo, ma solo in materia di conseguenze dell’eventuale illegittimità. Il contratto aziendale o locale potrebbe, dunque, in teoria, escludere la reintegrazione del lavoratore, limitando le conseguenze dell’illegittimità a un risarcimento. Ma la norma è estremamente fumosa sui requisiti necessari per la validità del contratto aziendale. Inoltre il contratto sarà suscettibile di recesso da parte del sindacato che lo ha firmato, oppure, se stipulato a termine, può non essere rinnovato; col risultato della cessazione dell’efficacia della deroga. Questo fa sì che un’azienda non avrà mai un quadro di certezze sull’efficacia della deroga contrattata. La sola certezza è un aumento del contenzioso, con grande beneficio per gli avvocati.
L’opinione di alcuni è che vengono affidate alla contrattazione locale responsabilità che «bruciano» la corda corta dell’affidavit tipico degli organismi locali. Lei cosa pensa?
Che in questo c’è del vero. Ma è anche vero che al livello aziendale si osservano frequentemente rapporti poco limpidi tra il sindacalista e l’impresa di dimensioni piccole o medie.
Qual è, a suo avviso, l’obiettivo del Governo? Secondo alcuni potrebbe essere una mossa per far uscire molte Pmi da Confindustria…
Non credo che questo sia nelle intenzioni del Governo. Il suo obiettivo è dare una risposta alla sollecitazione della Banca Centrale Europea, per una maggiore flessibilità nel nostro mercato del lavoro. Ma la flessibilizzazione si può ottenere soltanto in un quadro di certezza del diritto, con un disegno organico di riforma e con un legislatore che se ne assume la responsabilità. Una riforma di questa complessità e delicatezza non può essere delegata alla contrattazione aziendale. A meno che non si voglia solo far finta, per dare un po’ di fumo negli occhi agli operatori internazionali: ma quelli non sono mica stupidi.
Che conseguenze immagina?
Una sicuramente: la rottura tra la Cgil e le altre due confederazioni maggiori, Cisl e Uil. Vedo anche a rischio la ratifica, da parte della Cgil, dell’accordo interconfederale del 28 giugno scorso. Vedendo come è scritto l’articolo 8 del decreto, vien da pensare che fosse proprio questo l’obbiettivo del ministro del Lavoro.