IL VINCOLO DEL PAREGGIO DI BILANCIO IN ITALIA PUÒ FUNZIONARE?

UN LETTORE OBIETTA ALLA PROPOSTA DI COSTITUZIONALIZZARE IL VINCOLO DEL PAREGGIO DI BILANCIO, MANIFESTANDO SCETTICISMO CIRCA LA TENUTA DI UN SIFFATTO VINCOLO IN ITALIA – MA IL DIFETTO DI CIVIC ATTITUDES DEL NOSTRO PAESE NON CI ESIME DAL LAVORARE PER CORREGGERLO; E PER QUESTO ANCHE LE REGOLE HANNO UN RUOLO

 Messaggio pervenuto l’8 agosto 2011 – Segue la mia risposta – La lettera  si riferisce al disegno di legge costituzionale presentato il 2 agosto da Nicola Rossi con un gruppo di altri senatori di opposizione (tra i quali anch’io), volto a proteggere le generazioni future (che non hanno ancora diritto di voto) dall’egoismo e dal lassismo nella finanza pubblica delle generazioni precedenti; e a proteggere il sistema-Italia dal rischio-instabilità, sempre in agguato nell’economia globalizzata.

Egregio senatore Ichino,
è da qualche tempo che seguo con interesse il suo sito personale e i suoi interventi sulla stampa nazionale, trovando in lei uno dei pochi uomini politici realmente seri e preparati attualmente in circolazione. Proprio per questo mi ha lasciato perplesso vedere che lei è tra i sostenitori del disegno di legge costituzionale circa il vincolo del pareggio del bilancio. Colgo pertanto l’occasione per chiederle dei chiarimenti al riguardo. Non essendo un economista non entro nel merito del disegno di legge, limitandomi a notare la caratteristica che più mi lascia dubbioso circa l’effettiva utilità della proposta. È infatti chiaro che, pur imponendo il vincolo del pareggio nel bilancio pubblico, la norma costituzionale non potrà fare a meno di ammettere la possibilità di deroga, in casi eccezionali, come lo sono per esempio i disastri ambientali, o in casi in cui la sicurezza dello Stato sia messa a rischio. Lei stesso lo dice quando parla di “un vincolo di pareggio del bilancio pubblico che tenga conto dell’andamento del ciclo, che sia dotato di margini di flessibilità ragionevoli e chiaramente definiti e che preveda regole di comportamento nel caso di circostanze eccezionali”.
Non crede che la presenza di tale possibilità finirà per rendere di fatto inutile la modifica, permettendo di derogare in casi che eccezionali non sono? Da questo punto di vista, credo che l’uso improprio della decretazione d’urgenza sia un esempio che non permette di essere ottimisti. La modifica costituzionale avrebbe quindi un grande valore simbolico, ma rischierebbe di essere di fatto inutile (se non dannosa). Mi permetto a questo proposito di segnalarle un intervento apparso su un blog di economisti italiani in cui si parla anche della proposta di modifica costituzionale. Pur non condividendo l’articolo nell’insieme, le osservazioni sulla proposta mi sembrano pertinenti (http://www.noisefromamerika.org/index.php/articles/Cosa_fare_e_cosa_non_fare#body).
La ringrazio per l’attenzione e le auguro buon lavoro. Un cordiale saluto,
Francesco Caberlin

Il quaro comma dell’art. 81 della Costituzione, nella sua formulazione attuale, ci può essere di aiuto per mettere a fuoco i termini del problema posto da questa lettera. Quel comma – pur prevedendo la copertura di ogni legge di spesa – non ha impedito la formazione del quarto debito pubblico del mondo. Ciò chiarisce – al di là di ogni ragionevole dubbio – che il principio della copertura finanziaria da solo non basta: esso va associato a una stesura della legge di contabilità coerente e sufficientemente stringente; e deve essere accompagnato da comportamenti coerenti della classe politica. Tutto questo non implica affatto che sia meglio fare a meno del principio costituzionale. L’art. 81, quarto comma, non ha impedito la formazione di un debito pari al 120% del pil; ma senza l’art.81 le cose sarebbero andate probabilmente peggio? Lo dimostra il fatto che senza l’art. 81 non avremmo avuto la recente riscrittura in meglio della legge di contabilità. Certo, anche la nuova norma proposta nel nostro disegno di legge, che consente deroghe al principio del bilancio in pareggio, potrebbe essere usata malamente dai politici.  Attenzione, però: dovrebbe essere usata malamente da quasi tutta la classe politica, visto il nuovo requisito della maggioranza dei due terzi per l’attivazione della deroga. Saremmo in condizioni mgliori se ci privassimo anche del tutto di ogni vincolo? La nostra proposta è stata criticata quasi esclusivamente su questo punto e con argomenti opposti. Qualcuno ha detto che è troppo rigida e vincolante (“volete commissariare la politica”, ci è stato detto). Altri l’hanno considerata invece debole in quanto eccessivamente flessibile. L’equilibrio giusto dovrà essere discusso e deciso a larga maggioranza; ma mi sembra che la struttura della norma costituzionale debba essere questa. Soprattutto, occorre una modifica costituzionale destinata a durare, a non essere travolta dalla prima emergenza. Certo, non c’è  Costituzione che tenga di fronte alla considerazione che il Paese e la sua politica sono antropologicamente refrattari a ogni regola. E non c’è nemmeno un dibattito possibile, se questa è la premessa. Quel che non torna però in questo punto di vista è che esso viene solitamente proposto da chi non assimila se stesso agli altri e nn considera se stesso antropologicamente avverso alle regole. Non sarebbero dunque “gli italiani” o “la politica italiana” a rifiutare le regole, ma sempre soltanto gli “altri italiani”, gli “altri politici”. Quelli diversi da sé. Oppure (come nell’articolo di Boldrin citato dal nostro lettore) “quelli che sono rimasti in Italia”. Mi sembra una posizione un po’ debole. Ma se anche così fosse, questo non ci esimerebbe dal dovere di lavorare per indurre anche quegli “altri italiani” o “altri politici” a migliorare le proprie civic attitudes.   (p.i.)

 

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