PER EVITARE LACERAZIONI SUL PIANO POLITICO E SOCIALE LA POLITICA DEGLI INGRESSI DEVE BASARSI SUL PRINCIPIO DELL’UTILITÀ DELLA MIGRAZIONE: I CRITERI DI AMMISSIONE DEVONO ESSERE RAGIONATI E SELETTIVI
Riflessione di Massimo Livi Bacci, senatore Pd e professore di demografia nell’Università di Firenze, 21 luglio 2011 – Dello stesso Livi Bacci è disponibile su questo sito anche Immigrazione: dove occorre essere selettivi e dove no, mentre il linkad altri suoi scritti si trova nella nota in coda al testo – Sulla proposta del Pd relativa a questa materia v. Immigrazione: un valore cui dare delle regole
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il fallimento del centro destra. – 3. L’incerta offerta politica del PD. – 4. Politica migratoria “utilitaria” e politica “umanitaria” dell’accoglienza: insieme si può. – 5. Il centrodestra ha rinunciato al governo dei flussi. – 6. Per una politica degli ingressi: il quadro di fondo. – 7. Proposte per il governo degli ingressi. – 8. La gestione dell’irregolarità. – 9. Immigrazione e riforme amministrative. – 10. L’Agenzia di Programmazione dell’Immigrazione. – 11. Conclusioni.
1 – Premessa
Nello scorso decennio – governato per 8 anni dal centro-destra e guidato dalla Lega per quanto attiene alla politica migratoria – lo stock degli stranieri regolarmente residenti o soggiornanti nel nostro Paese, si è accresciuto allo straordinario ritmo di quasi 350.000 unità all’anno. Il flusso d’ingresso che (al netto dei rientri) ha alimentato questo stock – che ormai supera i 5 milioni – è proseguito anche negli ultimi anni di grave crisi. In questi anni, non ha cessato di espandersi il numero degli occupati stranieri, mentre si è ridotto quello degli occupati italiani. Molti fattori determineranno, nei prossimi due o tre decenni, un sostenuto flusso di immigrazione, modulato dal ciclo economico, ma sicuramente di numerosità elevata. Sulle cause – collegate alla debolezza demografica, alle particolarità del sistema produttivo ad alta intensità di lavoro, alla debolezza del welfare familiare – non mi dilungo, perché a tutti ben noti. Ma con uno stock di stranieri, e di figli di stranieri, in continua crescita, il paese ha necessità di sapere quali siano le linee di governo del fenomeno.
2 – Il fallimento del centro destra
Di fronte al fenomeno migratorio, gli italiani sono disorientati, e ancor più lo sono coloro che si riconoscono in valori riformisti. La destra ha poche e sommarie certezze che fanno, come è noto, presa: l’immigrato lavoratore sia ammesso se, e quando, serve – ma sia sottoposto ad un frequente rinnovo del permesso di soggiorno, che è anche uno strumento di controllo; si dosino parsimoniosamente i suoi diritti sociali; venga escluso dai diritti politici; gli sia reso difficile l’accesso alla cittadinanza. L’immigrato-lavoratore, che resta poco nel paese, rende bene, costa meno, non compete nell’arena politica, chiede più raramente il ricongiungimento familiare, non diluisce i “valori” nazionali. Questa “offerta” politica è condivisa da larghe fasce della popolazione, e non solo da quelli che hanno una visione retriva del mondo.
La maggioranza che oggi governa il Paese non ha, e non vuole avere, una politica migratoria, cioè una visione di lungo periodo di un fenomeno che ha una natura strutturale e non un carattere passeggero o congiunturale. Che cosa significa l’immigrazione per lo sviluppo e la coesione del Paese? Quali sono le politiche da seguire perché i benefici del fenomeno (per gli immigrati e per gli italiani) superino i costi che – indubbiamente – esso reca con se? Quali gli strumenti di governo dei flussi, per il reclutamento e l’ammissione dei migranti?
Le carenze di idee e di elaborazione dell’attuale maggioranza e, come si dirà subito, l’inesistenza di una vera politica che non sia di natura puramente securitaria, stanno provocando un grave danno allo sviluppo del paese ed alla sua coesione sociale. Un danno tanto più grave perché la dimensione del fenomeno è enormemente accresciuta rispetto agli anni ’90, quando l’unità di conto delle migrazioni annuali erano le decine di migliaia, anziché le centinaia di migliaia come adesso. Il paradosso è che anche l’attuale Governo è convinto che l’immigrazione sia un fenomeno strutturale: nel Def (Documento economico finanziario) approvato dalle Camere lo scorso maggio, si condiziona il rientro dal debito – secondo quanto stabilito dal patto di stabilità europeo – ad un aumento del PIL reale al ritmo dell’1,5-2% all’anno, alla crescita dell’occupazione e della produttività e ad un’immigrazione netta annua di 226.000 unità nella media annuale del prossimo ventennio. Insomma – afferma il Governo – c’è una necessità strutturale di immigrazione. Ma l’attuale esecutivo, come vedremo tra poco, sta mettendo in soffitta gli strumenti di governo del più importante fenomeno sociale di questo secolo.
Il fallimento delle politiche migratorie del centro-destra sono evidenti su diversi versanti. Alcune norme (reato di immigrazione clandestina; aggravamento di pena per i reati commessi dagli irregolari) si sono infrante contro le determinazioni della Corte di Giustizia Europea e della Corte Costituzionale; altre (ronde, registro dei senza fissa dimora) si sono dimostrate impraticabili; altre ancora (permessi brevi, rinnovi difficili e costosi) rendono difficile la vita degli immigrati. Negli anni governati dal centrodestra oltre un milione sono stati gli immigrati che hanno fruito di sanatorie; è calata la proporzione degli irregolari rintracciati che vengono espulsi, in barba agli annunci. La diga Gheddafi contro migranti irregolari e richiedenti asilo si è infranta; il Governo ha dovuto sanare (di fatto) la posizione dei 25000 tunisini sbarcati irregolarmente; in Europa l’azione italiana in materia di migrazione è stata, a dir poco, contraddittoria.
3 – L’incerta offerta politica del PD
L’offerta politica del PD non è chiara. O meglio, è chiara – anche se ha bisogno di qualche affinamento – per quanto riguarda i temi dell’inclusione e dell’integrazione, dei diritti politici e della cittadinanza Ma è carente su un aspetto cruciale, che investe le politiche dell’ammissione legale nel nostro paese, e che è di grande rilevanza per l’opinione pubblica. In che modo si governano gli ingressi legali, e come si determina chi viene ammesso e chi no? Chi ha diritto di scegliere il numero ed i profili degli immigrati? Chi sarà il nuovo vicino di casa, il nuovo compagno di scuola o di lavoro, il nuovo abitante del quartiere? In che modo e con quali procedure si garantisce che l’immigrazione non determini l’indebolimento della comunità, l’erosione dei diritti sociali, l’usura dei servizi pubblici? Ora, l’argomentazione della risposta “senza immigrazione l’economia ne soffrirebbe – e con essa, alla lunga, anche la comunità, i diritti, i servizi ecc” – è una risposta in astratto giusta, ma zoppa e asimmetrica. Il degrado della comunità è immediatamente percepito e personalmente sofferto; l’economia – invece – è un’entità misteriosa e lontana. Del degrado siamo certi di sapere quali siano le cause, ma del buono, o cattivo, andamento dell’economia nessuno è certo di conoscerne i fattori. Il PD ha urgente necessità di chiarire la sua posizione in materia, di stabilire principi solidi, di informarne la pubblica opinione e il proprio elettorato. In situazione particolarmente difficile si trovano quegli amministratori locali appartenenti all’area riformista nelle aree ad alta intensità migratoria nelle quali le inevitabili difficoltà generate dal fenomeno si compongono con la scarsità di risorse. Essi debbono trovare nelle posizioni del PD un sostegno chiaro; non trovandolo rischiano di cercare riparo in atteggiamenti securitari che seppure graditi ad una parte dell’elettorato, non portano lontano.
4 – Politica migratoria “utilitaria” e politica “umanitaria” dell’accoglienza: insieme si può
Per lungo tempo il terzomondismo della sinistra, l’ecumenismo cattolico, il solidarismo di tante organizzazioni del terzo settore hanno assegnato alle politiche migratorie una funzione umanitaria che esse difficilmente possono sostenere. Le politiche migratorie debbono perseguire ciò che è conveniente per la società in termini di sviluppo – non solo economico, ma anche sociale e culturale – di coesione sociale, di benessere individuale e collettivo. Insomma, debbono perseguire ciò che è “utile” per la società: una politica migratoria “utilitaria” non deve essere considerata uno scandalo, ma la cosa giusta da fare. Ma il concetto di “utilità” implica una scelta, e quindi una selezione. La proposta che intendo avanzare è che il PD sposi una politica selettiva, aperta e trasparente, come verrà argomentato più avanti. Si noti che scelta e selezione non implicano l’ abbandono dei principi umanitari di accoglienza, così radicati nello spirito riformista. La politica a carattere umanitario può essere esplicata, anzitutto, attraverso complesse politiche di cooperazione e sostegno allo sviluppo che attualmente, per quanto riguarda il nostro paese, sono ridotte al lumicino. Ma nello specifico essa può venire attuata con una aperta e generosa politica dell’asilo. Va ricordato che il nostro paese seppure privo di una legge organica sull’asilo, ha recepito nel proprio ordinamento le direttive europee sull’accoglienza, le qualifiche dei richiedenti e le procedure e quindi possiede una legislazione compiuta in materia. Le procedure di esame delle domande vengono espletate con sufficiente sollecitudine, ed i programmi di sostegno ed inserimento di chi viene accolto sono ben strutturati, anche se non adeguatamente finanziati. Va anche ricordato che, nel contesto europeo, l’Italia – che genera il 13 per cento del PIL e contiene il 12 per cento della popolazione della UE – accoglie (2010) appena il 3 per cento dei rifugiati; in numero assoluto i rifugiati in Italia sono meno di un decimo di quelli accolti in Germania, un quarto degli accolti in Gran Bretagna e un terzo degli accolti in Francia.
In estrema sintesi: la politica migratoria può essere selettiva, mentre quella dell’accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo è, per sua natura, non selettiva. Ed infatti, chiunque si trovi nelle condizioni stabilite dai trattati, dalle convenzioni e dalle leggi deve essere accolto. Il grado di solidarietà, di apertura, di accoglienza umanitaria della società, dovrà misurarsi sulla generosità delle politiche dell’asilo e non sulle regole delle politiche migratorie.
Gli italiani sono ansiosi di sapere “quali” stranieri vengono ammessi nel paese: la risposta deve essere “quelli che sono utili al paese” ma anche i perseguitati, le vittime, le persone la cui vita ed incolumità è in pericolo.
5 – Il centrodestra ha rinunciato al governo dei flussi
Le prove inequivocabili dell’assenza deliberata di una politica migratoria possono così sintetizzarsi:
1) La soppressione del documento di Programmazione Triennale, previsto dall’art. 3, commi 1, 2 e 3 della legge n. 286/1998. Tale documento, “relativo alla politica dell’immigrazione”… “indica le azioni e gli interventi che lo Stato Italiano…si propone di svolgere in materia di immigrazione…nonché…le misure di carattere economico e sociale nei confronti degli stranieri soggiornanti..”. Sottoposto all’approvazione del Parlamento, il documento attesta gli indirizzi politici del governo in materia. Ma il Governo ha prima lasciato “decadere” di fatto tale obbligo e adesso, con il d.d.l. 2494 “Nuove disposizioni in materia di sicurezza pubblica” (in esame nelle commissioni di merito del Senato) , intende abolirlo del tutto (art. 6, comma 1).
2) L’unico strumento normativo che sopravvive è il cosiddetto “decreto flussi” annuale, di fatto affidato alla discrezionalità del Ministero dell’Interno.
3) Il decreto flussi è di fatto svuotato della sua funzione di regolare gli ingressi. Esso è oramai lo strumento mediante il quale viene di fatto operata una “sanatoria” occulta delle posizioni di immigrati già presenti in Italia, per lo più entrati regolarmente con visto turistico ma poi impiegati al nero. Possiamo dire che i decreti flussi sono diventati di fatto una “sanatoria” a rateizzazione annuale, mediante la quale viene sgonfiata la “bolla della irregolarità” alimentata (tra l’altro) da una impervia normativa dell’ingresso legale.
4) La “riserva geografica” (ingressi riservati a cittadini di paesi con i quali si sono conclusi o sono in via di conclusione accordi di cooperazione e di riammissione) ha assorbito il 30% della quota nel decreto flussi relativo al 2008 e oltre il 50 % in quello relativo al 2011. Tuttavia restano ignoti i criteri mediante i quali vengono assegnate le “quote paese”, né si comprende come mai tali “quote” non vengano riviste in conseguenza del mutare delle situazioni. Inoltre le quote vengono interpretate rigidamente, nel senso che gli immigrati da uno dei paesi intestatari di una quota, non la possono “eccedere” (tale quota, infatti, è interpretata come “limite massimo”) andando ad incidere sulla quota residuale. Queste rigidità delle “quote paese” e la loro alta incidenza sul totale dei posti disponibili, tolgono ulteriore flessibilità al sistema. In occasione dei fatti di Tunisia non risulta che si sia attinto alla quota di 4.000 migranti riservata ai cittadini di quel paese, come previsto dall’ultimo decreto, né si è pensato ad aumentare la quota in considerazione della straordinarietà della crisi tunisina.
5) Nei decreti flussi, dal 2001 al 2006, vennero previste quote riservate a categorie particolari di lavoratori con alte qualifiche (per il settore infermieristico e operatori dell’alta tecnologia, nel 2001; per autonomi ricercatori, liberi professionisti, soci e amministratori di società, artisti, dal 2002 al 2006), e ad altri limitati comparti di attività, come la pesca marittima. Nel 2007, invece, le priorità cambiano: tolti i 47.100 posti destinati ai paesi della “riserva geografica”, i residui 122.900 sono destinati a lavoratori domestici (65.000), all’edilizia (14.200), a dirigenti e persone altamente qualificati (1000), al trasporto (500), alla pesca marittima (200), alle altre attività produttive (30.000), e alle conversioni di permessi di soggiorno per studio, tirocinio e lavoro stagionale (7000). Nel 2008 le priorità sono del tutto diverse: sui 150.000 posti previsti dal decreto, tolti i 44.600 riservati ai paesi con accordi di riammissione, il residuo pari a 105.400 viene riservato a migranti per “lavoro domestico e assistenza alle persone”. Analoga la situazione nel decreto per il 2011: su 98.050 posti previsti, i 50000 posti residuali (tolta la “riserva geografica”) vengono ancora, e quasi interamente, destinati a colf e badanti.
Il Paese sembra dunque orientato ad utilizzare, per la propria crescita ed il proprio sviluppo, solo “colf e badanti”: scienziati, tecnici, qualificati, generici per settori che hanno fame di manodopera vengono considerati del tutto irrilevanti.
6 – Per una politica degli ingressi: il quadro di fondo
Le considerazioni precedenti inducono a ripensare dalle fondamenta la politica degli ingressi, chiave di volta della politica migratoria, secondo alcuni principi che possono così sintetizzarsi:
1) La politica degli ingressi deve rendere meno impervia la procedura per l’entrata legale nel Paese. Più questa è complicata, maggiore è la spinta per entrare irregolarmente nel mercato del lavoro.
2) Restituire spazio alla programmazione dei flussi, con una seria analisi tecnica della potenziale domanda del mercato del lavoro, della sua possibile articolazione, delle capacità di accoglienza, delle risorse disponibili per le politiche di formazione e integrazione. Tale programmazione dovrebbe essere affidata ad un’agenzia indipendente (Agenzia di Programmazione dell’Immigrazione,) le cui proposte sono presentate al Parlamento e sottoposte al Governo per l’adozione (cfr. & 10)… Tale Agenzia deve assumere il massimo possibile di autorevolezza: basti pensare che è dai nuovi immigrati che proviene una parte considerevole dei nuovi cittadini del paese. E’ giusto perciò che l’origine prima di questo processo di rinnovo – l’immigrazione legale – sia posta nelle mani di un organo alto ed autorevole e non lasciata totalmente alle deliberazioni (inevitabilmente guidate dalle contingenze) dell’esecutivo e dell’amministrazione.
3) La finalità dell’Agenzia è anche quella di sottrarre alle contingenze del dibattito e della lotta politica la programmazione migratoria. Essa potrebbe servire a “depoliticizzare” il dibattito, agganciando a valutazioni indipendenti la politica degli ingressi;
4) Sostituire al criterio – oggi prevalente – della “casualità” (“click day”) della scelta, quello della scelta “ragionata”, basata sulla valutazione dei “profili” individuali ritenuti più adatti a sostenere lo sviluppo ed a preservare la coesione sociale della collettività. La determinazione dei profili, specie per alcune fasce di immigrati, deve tener conto anche di “qualità” personali non necessariamente legate alla immediata capacità di lavoro: l’immigrato è – anzitutto – una persona. Tali profili sono determinati dall’Agenzia, che propone i criteri di valutazione e sintesi. La previsione di una qualificazione più specifica per queste fasce di immigrati potrà affiancarsi, anche in via sperimentale, agli ingressi ordinari per chiamata nominativa da parte del datore: ad esempio, negli ingressi per ricerca di lavoro, un’alta qualificazione può costituire un’indiretta garanzia del risultato dell’incontro tra domanda e offerta.
5) La politica degli ingressi deve basarsi sul principio della “utilità” della migrazione per lo sviluppo economico, sociale e culturale del paese e per la sua buona coesione. Per questa ragione i criteri di ammissione debbono essere “ragionati” e “selettivi” e non casuali. Il Paese deve, nel contempo, rafforzare la sua capacità di accoglienza per persone richiedenti asilo e protezione, in linea con i principi della Costituzione. La finalità e l’azione umanitaria non sono il territorio della politica migratoria, ma bensì delle politiche dell’asilo, oggi in discussione in Italia ed in Europa. La politica migratoria “deve” essere ragionata e selettiva; la politica dell’asilo è, invece, per sua natura, non selettiva.
7 – Proposte per il governo degli ingressi
Le politiche dei paesi d’immigrazione sono ovunque molto complesse per quanto riguarda i criteri di ammissione legale, a seconda delle caratteristiche dei migranti, delle necessità dell’economia e della società, della lunghezza della permanenza, delle finalità della stessa. In molti casi la complessità è accresciuta dalla stratificazione delle norm
ative, mentre si perde di vista la visione “unitaria” del fenomeno. Una riforma dell’attuale normativa dovrà includere i punti che seguono.
1) Ingresso per chiamata da parte di un datore di lavoro;
2) Ingresso con permesso di soggiorno per ricerca di lavoro subordinato alla prestazione di garanzia da parte di istituzioni (sponsor) appositamente autorizzateTali istituzioni (di natura pubblica, pubblico-privata o privata) potrebbero anche provvedere alla formazione nel paese di origine o in Italia;
3) Ingresso con permesso di soggiorno per ricerca di lavoro, subordinato alla prestazione di adeguata garanzia individuale. Le domande d’ingresso dovrebbero essere sottoposte a valutazione comparativa secondo i criteri prioritari stabiliti dall’Agenzia;
4) Ingresso con permesso di soggiorno di persone con specifici profili individuali e professionali. Anche in questo caso, le domande d’ingresso dovrebbero essere sottoposte a valutazione comparativa secondo i criteri prioritari stabiliti dall’Agenzia;
5) Ingresso con permesso di soggiorno per lavoro autonomo, con valutazione comparativa (Agenzia).
6) Ingresso per lavoro stagionale.
7) Normativa che agevoli l’ingresso in Italia per studio, formazione e ricerca, e che permetta la conversione dei permessi di soggiorno – al termine del curriculum di studio – in permessi per ricerca di lavoro.
Tutte le modalità d’ingresso hanno specifici tetti numerici indicati nei decreti flussi annuali. Per tutte le modalità d’ingresso di cui ai punti 1, 2, 3 e 4) è previsto un contributo da parte del datore di lavoro ad un Fondo nazionale per l’inserimento e l’integrazione dei migranti (FoNIM). Nel caso del lavoratore autonomo, è lo stesso migrante che dovrà contribuire al fondo.
La politica degli ingressi dovrà anche stabilire nuove regole riguardanti la validità, la cui durata va estesa, dei permessi di soggiorno nonché le modalità del loro rinnovo. E’ da prevedere un trasferimento di tali funzioni agli enti locali, con garanzia che vengano osservati criteri uniformi sul territorio nazionale… Prioritario è l’investimento per rendere scorrevoli le procedure, oggi fonte di alti costi, monetari e morali, per gli immigrati.
8 – Gestione dell’irregolarità
Si ritiene che l’irregolarità si commisuri, in Europa, su valori superiori all’uno per cento della popolazione totale. E’ dunque un fenomeno di massa che deve essere compresso – una quota fisiologica è inevitabile – a livelli assai più bassi degli attuali. Nel lungo periodo, il prosciugamento dell’economia sommersa contribuirà a restringere le opportunità per la migrazione irregolare; secondariamente anche una legislazione più accorta e flessibile degli ingressi legali può concorrere allo stesso fine. Nel contempo vanno stabilite forme di regolarizzazione che non affidino solo alle “maxisanatorie” (o alle sanatorie di fatto – come oggi avviene mediante i “decreti flussi”) la soluzione periodica del problema. Si può proporre quanto segue.
1) Immediata abolizione del reato di “immigrazione clandestina” e adeguamento della normativa alla direttiva europea sui rimpatri;
2) Concessione di regolarizzazioni “ad personam” a persone che abbiano determinate caratteristiche (fonte di reddito e lavoro stabili, collegamenti familiari, durata ragionevole del soggiorno, assenza di condanne…ecc). Tali regolarizzazioni potrebbero essere concesse dal prefetto su proposta di una Commissione Territoriale.
3) Concessione di regolarizzazioni ad personam per atti di grande rilevanza umanitaria e sociale.
Un capitolo a parte è quello degli accordi di “riammissione” degli irregolari espulsi con i paesi di provenienza. Qui c’è necessita di una “manutenzione” continua degli accordi in essere, rinnovandoli e rafforzandoli quando occorra, ed inserendoli a pieno titolo nella politica estera, in omaggio a quel “global approach to migration”, giusto mantra dell’Europa. Accordi migratori e cooperazione debbono essere indissolubilmente legati. Occorre poi che l’Italia stimoli la UE a procedere alla stipula di accordi di riammissione con i paesi ad alta intensità migratoria. Tali accordi hanno un peso assai maggiore dei singoli accordi bilaterali.
9 – Immigrazione e riforme amministrative
Le gravi carenze rilevate in questi anni nel governo dell’immigrazione, che vanno dagli inaccettabili ritardi nella gestione dei permessi di lavoro all’abbandono degli strumenti di programmazione degli ingressi ripropongono con forza la necessità di affrontare “la questione amministrativa” connessa con le migrazioni. Tanto più rilevante se si decide di perseguire, nel lungo periodo, una nuova politica di selezione degli ingressi. Una politica migratoria in grado di scegliere l’immigrazione e non solo di subirla, presuppone infatti due capacità che, allo stato, sono assenti nelle amministrazioni di settore. In primo luogo la capacità di programmazione, e quindi di valutazione dei fabbisogni sociali e del mercato del lavoro; in secondo luogo, la capacità di valutare preventivamente le caratteristiche personali (livello di formazione, l’idoneità all’inserimento sociale ecc.) degli immigrati.
Anche la sola riattivazione del sistema previsto dalla legge Turco Napolitano, dopo le inerzie dell’ultimo decennio, non appare sufficiente. Come dimostrano le ripetute sanatorie l’amministrazione, allo stato, non solo non dispone delle due capacità indicate, ma neppure è stata in grado di selezionare in base al semplice criterio lavoristico, essendo costretta ad inseguire e ratificare ex post l’incontro tra domanda e offerta di lavoro realizzatasi al di fuori e indipendentemente dalle procedure formalmente previste (ancora basate sulla irrealistica chiamata nominativa di lavoratori che dovrebbero trovarsi nei loro paesi di provenienza).
La riforma amministrativa può essere affrontata su tre diversi livelli di intervento.
1)- Riassetto delle competenze a livello centrale. Il sostanziale fallimento del progetto del “grande Ministero del welfare” ha prodotto lo scorporo formale delle competenze del Ministero della salute, e, per il tema che qui interessa, l’abbandono del ruolo di elaborazione e di indirizzo nelle politiche di integrazione. La situazione appare molto più arretrata rispetto alla fase degli anni 90 del secolo scorso, quando la dialettica tra Ministero dell’interno e Ministero della solidarietà sociale esplicitava la natura duplice, di sicurezza e di integrazione, delle politiche di settore. Ora il Ministero dell’interno (e per esso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza) appare l’unico dominus della funzione.
2)- Un’ipotesi da porre allo studio – non nuova, per la verità – può essere quella dell’istituzione ), di un Ministro per le politiche migratorie, secondo un modello attuato in vari paesi europei (es. Francia e Regno Unito, per il coordinamento delle varie amministrazioni competenti in materia di migrazioni e per l’individuazione delle linee di indirizzo e programmazione perseguite dal governo. Se si sceglie la via (preferibile) di un Ministro senza portafoglio, dovrebbe essere sottolineato il suo legame con la Presidenza del Consiglio, e quindi la capacità di essere diretta emanazione delle politiche del premier in questo settore.
3)- Vi è poi la proposta di istituzione (come indicato anche in altra parte di questo documento), dell’Agenzia indipendente in grado di “depoliticizzare” la programmazione degli ingressi, da effettuare soprattutto in base a scelte tecniche e di sostenibilità. Un’Agenzia autorevole può contribuire validamente a riportare il dibattito politico sull’immigrazione sui binari corretti di un serio confronto, sottraendolo alle distorsioni propagandistiche cui oggi soggiace.. L’ Agenzia, oltre alla ricognizione di questi fattori, dovrebbe essere il centro di impulso per la diffusione delle “best practices” nei vari ambiti delle politiche migratorie, svolgendo una funzione di monitoraggio, di collaborazione e di perseguimento del miglioramento qualitativo dell’attività delle amministrazioni centrali e decentrate. L’investimento finanziario ed in risorse umane dovrebbe essere adeguato alla rilevanza del fenomeno migratorio.
Infine, la revisione delle procedure di ingresso, con l’introduzione delle modalità indicate in altra parte di questo documento, presuppone un radicale intervento di semplificazione. Sarebbe utile una ricognizione puntuale dei vari “lacci e lacciuoli” che i Governi Berlusconi hanno posto a carico degli immigrati (dal contratto di soggiorno alle minute ed inutili previsioni sui metri quadri delle abitazioni degli immigrati, alle soglie di reddito necessario per i ricongiungimenti familiari), ed una selezione di quelli realmente necessari rispetto a quelli orientati esclusivamente a “rendere difficile la vita” agli immigrati regolari.
Vanno anche ripensate le funzioni e l’organizzazione degli sportelli unici, sia per favorire l’ingresso degli enti locali nelle procedure di concessione, e soprattutto di rinnovo, dei permessi di soggiorno, e per evitare la persistente frammentazione delle competenze che continua a creare disfunzioni e ritardi nello smaltimento del lavoro da parte delle amministrazioni interessate. Va fatta salva l’osservanza di criteri uniformi sull’intero territorio nazionale.
10 – L’Agenzia di Programmazione dell’Immigrazione
Compito essenziale è quello di redigere un documento di programmazione pluriennale da trasmettere al Parlamento e al Governo. Il Governo lo adotta con eventuali modifiche, per le quali delle essere obbligatoriamente sentito il parere dell’Agenzia. Il documento contiene indicazioni sui flussi da ammettere sulla base delle analisi del mercato del lavoro, delle capacità di integrazione dei territori, e in coerenza con le politiche economiche e fiscali. Compete all’Agenzia stabilire i profili preferenziali dei migranti e di stabilire i criteri per le valutazioni comparative delle domande, quando questo sia richiesto. Il documento di Programmazione Pluriennale deve essere discusso con le parti sociali e la conferenza stato-regioni.
Spetta all’Agenzia proporre, programmare ed attuare le indagini e gli studi necessari per preparare il materiale conoscitivo necessario per il Documento di Programmazione.
Un modello possibile per la designazione dei membri (in ipotesi, in numero di 5) dell’Agenzia potrebbe prevedere la loro indicazione da parte del Consiglio dei Ministri (sentita la Conferenza Stato Regioni) e con il parere dei due terzi dei componenti delle Commissioni competenti delle Camere. I designati sono nominati dal Presidente della Repubblica. Naturalmente possono configurarsi anche altre procedure. I membri dell’Agenzia eleggono poi il loro Presidente. L’Agenzia può avvalersi della collaborazione delle amministrazioni dello stato e degli enti pubblici per lo svolgimento di indagini e ricerche.
11 – Conclusioni
Nel lungo periodo, il PD deve rispondere ad una domanda non eludibile del paese: questa riguarda non tanto la dimensione dei flussi (“quanti” immigrati), ma piuttosto la loro qualità, la loro capacità di far parte della società e di contribuire alla sua crescita. E’ perciò ineludibile la questione della “selezione” esplicita, trasparente e non discriminatoria, dei candidati all’immigrazione, basata su parametri condivisi. Molti paesi hanno introdotto sistemi “a punti” (anche differenziati a seconda delle categorie di migranti), ma altri sistemi sono possibili. Vanno discussi apertamente e con coraggio. Ho chiamato questa politica “utilitaria”, perché è funzionale alla crescita della società. Ma un grande paese, con responsabilità politiche internazionali, che si fonda sui valori espressi dalla Costituzione, deve aprirsi più generosamente all’entrata di persone sulla base di considerazione umanitarie, che per definizione non sono selettive. Dall’equilibrio di queste componenti può scaturire una nuova politica migratoria. Così facendo l’offerta politica all’opinione pubblica diventa più chiara: lo stato ammette, selezionando, chi merita e contribuisce alla crescita della società. Lo stato accoglie, generosamente, chi ha bisogno di aiuto umanitario secondo i principi del diritto internazionale e in accordo con i principi della Costituzione.
Nota: questo appunto riprende e integra altri miei interventi sul tema, espressi in sede politica:
1) Una politica per l’immigrazione. Pro-memoria in dieci punti per il PD;
2) Ripensare la politica dell’immigrazione (settembre 2010, a margine all’Assemnlea Nazionale del PD);
3) Per un nuovo sistema di regolazione dell’ingresso degli immigrati (Intervento alla Conferenza sull’Immigrazione del PD, 25 marzo 2011);
4) Si veda anche il Ddl n. 120, a prima firma Livi Bacci, Norme per l’ingresso, l’accesso al lavoro e l’integrazione dei cittadini stranieri.