LA PERFORMANCE DEL MERCATO DEL LAVORO DANESE DURANTE LA GRANDE RECESSIONE 2008-2010 RISULTA COMPLESSIVAMENTE POSITIVA, ANCHE SE LA VERIFICA DI ALCUNI ASPETTI RICHIEDE TEMPI DI RICERCA PIÙ LUNGHI
Saggio di Torben M. Andersen, professore presso la School of Economics and Management della Aarhus University, in Discussion Paper IZA n. 5710, maggio 2011 – Oltre al testo in formato pdf è qui disponibile una traduzione in italiano dell’introduzione e delle conclusioni del saggio, a cura di Mariagrazia Zarro
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1. Introduzione
Prima della crisi finanziaria ci si è molto concentrati sul concetto della flexicurity. L’idea secondo la quale sarebbe possibile garantire flessibilità per i datori di lavoro e sicurezza per i lavoratori, senza compromettere la flessibilità del mercato del lavoro e gli equilibri sociali, ha ricevuto una considerevole attenzione. La Commissione europea ha anche evidenziato la necessità che i Paesi membri seguissero l’approccio della flexicurity, nonostante la definizione del concetto fosse molto generica, da rendere il suo significato a tratti poco chiaro.
La Danimarca è stata sovente indicata come modello della flexicurity per il combinarsi di norme che garantiscono una notevole flessibilità in materia di assunzioni e licenziamenti e di una estesa rete di sicurezza sociale.
Un elemento di uguale rilievo del modello è costituito dalla presenza di un insieme di politiche attive del mercato del lavoro, condizione necessaria per richiedere indennità di disoccupazione e altri benefici sociali, compresi anche i programmi che consentono di migliorare le qualifiche dei disoccupati per fornire loro gli strumenti necessari a cogliere nuove opportunità di lavoro (cfr. ad esempio, T.M. Andersen e M. Svarer, Flexicurity – Labour market performances in Denmark, CESifo Economic Studies, 2007).
Nel periodo precedente la crisi finanzia, il tasso di disoccupazione era basso e il modello è stato quindi considerato ben funzionante.
La crisi ha provocato la Grande Recessione che ha colpito severamente anche la Danimarca. Nel periodo compreso tra marzo 2008 e aprile 2009, si è registrato un calo della produzione di quasi il 6% e la disoccupazione è aumentata di circa 3-4 punti percentuali.
Il modello della flexicurity come affronta shock di così grandi dimensioni?
Dal momento che la crisi ha una forte componente globale e ha riguardato molti Paesi in modo analogo e più o meno nello stesso periodo di tempo, questi sviluppi offrono l’opportunità di trarre alcune lezioni sperimentali in merito all’importanza delle istituzioni e delle politiche del mercato del lavoro. Nonostante le sue terribili conseguenze, la crisi finanziaria ha determinato la possibilità di effettuare una sorta di esperimento semi-controllato che mostra le implicazioni che una crisi profonda ha sulle politiche sociali e sulle istituzioni che devono affrontare le conseguenti difficoltà del mercato del lavoro.
In un mercato del lavoro basato sul modello della flexicurity caratterizzato da norme flessibili in materia di licenziamento ci si aspetta che ci sia un immediato e forte impatto sul tasso di disoccupazione.
Dal momento che è facile perdere il lavoro, la prima prevedibile conseguenza dovrebbe essere un forte incremento della disoccupazione e, in questo senso, il modello appare suscettibile di essere messo in crisi da un collasso complessivo della produzione.
Figura 1: Tasso di disoccupazione, Danimarca e OCSE, 1970.1 – 2010.3
Datasource: www.sourceoecd.org
Il tasso di disoccupazione relativo all’area OCSE e alla Danimarca è riportato nella figura n. 1 utilizzando le definizioni dell’OCSE.
Si è visto che il tasso di disoccupazione in Danimarca prima della crisi era molto più basso rispetto alla media OCSE, ma anche che è aumentato più rapidamente con l’inizio della crisi. Sebbene il tasso di disoccupazione in Danimarca sia aumentato più che in molti altri Paesi, esso è ancora basso nel confronto internazionale. Tuttavia, la vera questione in un mercato del lavoro basato sul modello della flexicurity non è la “sensibilità” del tasso di disoccupazione rispetto all’andamento generale dell’economia, ma la gravità del suo impatto sui costi sociali e l’eventuale tendenza a trasformarsi in disoccupazione di lunga durata.
La questione chiave è quindi se la rete di sicurezza sociale sia in grado di assorbire un aumento di disoccupazione e se il sistema del mercato del lavoro riesca a mantenere le sue caratteristiche, quali l’alta capacità di creare posti di lavoro e determinare un’alta rotazione.
Quest’ultimo aspetto è fondamentale per impedire che l’aumento della disoccupazione si traduca in disoccupazione di lunga durata o in riduzione della partecipazione alla forza lavoro.
Si può osservare come la Grande Recessione sia un test finale per il modello della flexicurity. Potrà farvi fronte e provocare un ragionevole e veloce guadagno per abbassare il tasso di disoccupazione o produrrà un aumento persistente del tasso di disoccupazione che a sua volta, attraverso le implicazioni per i conti pubblici, renderà la situazione insostenibile?
Non c’è una regolamentazione teorica e logica di tutti gli aspetti del modello della flexicurity, ma si registra una vasta letteratura sul ruolo delle norme di tutela del lavoro (Employment Protection Legislation, EPL), sui sistemi di previdenza sociale contro la disoccupazione (Unemployment Insurance Schemes, UIB) e sulle politiche attive del mercato del lavoro (Active Labour Market Policies, ALMP).
Questo saggio non intende analizzare o far riferimento ad una così ampia letteratura; pertanto verranno esaminati solo alcuni punti essenziali.
Il bilanciamento avviene tra il sistema della legislazione a tutela del lavoro e il sistema di sicurezza sociale a tutela della disoccupazione. Questi sistemi possono essere considerati due strumenti alternativi a tutela dei lavoratori (cfr. O. Blanchard, J. Tirole, The joint design of unemployment insurance and employment protection: A first pass, Journal of European Economic Association, 2008, and T. Boeri, J.I. Conde‐Ruiz, and V. Gallaso, The Political Economy of Flexicurity, Workings Paper 2006‐15 FEDEA) anche se con implicazioni potenzialmente molto rilevanti per le performance del mercato del lavoro.
Mentre la legislazione a tutela del lavoro tende a creare una distinzione più netta tra lavoratori protetti e non protetti, il sistema “generoso” di sicurezza sociale contro la disoccupazione pone il problema del mantenimento dei sussidi. In ogni caso, le politiche attive del mercato del lavoro possono essere utilizzate per contrastare questi effetti, associando le esigenze ai requisiti per ricevere l’indennità di disoccupazione (cfr. T.M. Andersen and M. Svarer, The role of workfare in striking a balance between incentives and insurance in the labour market, Working Paper, 2010).
Il lavoro basato sulla flexicurity è quindi visto come un esempio di grande flessibilità per le imprese che possono adattare la loro manodopera alle esigenze del mercato, con un sistema generoso di sussidi contro la disoccupazione associati a politiche del lavoro attive volte a mantenere la struttura degli incentivi nel mercato del lavoro e ad aumentare il tasso di occupazione.
Se funzionasse avrebbe alcune caratteristiche interessanti, ma potrebbe essere particolarmente esposto al rischio di una diminuzione significativa dell’occupazione. Questo produrrebbe un forte incremento nelle spese per i sussidi di disoccupazione e per le politiche attive del mercato del lavoro e quindi avrebbe ripercussioni sulla situazione finanziaria del sistema. La domanda chiave è se il modello della flexicurity è particolarmente vulnerabile ai grandi shocks negativi o se tende a produrre un aggiustamento stabile del mercato del lavoro.
Questo documento propone un primo esame del problema nella prospettiva di un’attenuazione della tendenza negativa del mercato del lavoro in risposta alla Grande Recessione. Sicuramente è prematuro dare una risposta definitiva sulla questione ma è possibile effettuare una prima intermedia valutazione su come il modello della flexicurity danese abbia affrontato la crisi al fine di esprimere un giudizio sulla stabilità di questo sistema. Nel compiere questa analisi, lo studio descrive inizialmente, nel secondo paragrafo, alcune delle caratteristiche chiave del modello della flexicurity danese. Le conseguenze sul mercato del lavoro della crisi sono descritte nel terzo paragrafo e il quarto paragrafo fornisce un’analisi più dettagliata delle implicazioni e dei processi di adeguamento realizzati in una prospettiva comparata. Nel quinto paragrafo sono riportate alcune osservazioni conclusive.
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5. Osservazioni conclusive
Il mercato del lavoro danese è stato duramente colpito dalla Grande Recessione. Tuttavia, in prospettiva comparata la performance danese è ancora caratterizzata da un tasso di disoccupazione al di sotto della media, in termini di produttività generale, e non si registra una forte tendenza verso la disoccupazione di lunga durata. Tuttavia rimangono delle questioni ancora aperte, in particolare per quanto riguarda l’efficacia delle politiche attive del mercato del lavoro nella grande recessione. Bilanciare la pressione dei costi con l’aumento di volume e mantenere l’efficienza del programma di attività volte a mettere in atto politiche sociali non è un compito facile in un periodo in cui si registra un tasso di occupazione inferiore. Tuttavia questo è fondamentale nella prevenzione dell’aumento della disoccupazione di lungo periodo che ha sia costi sociali notevoli e che avrà effetti pesanti anche sulle finanze pubbliche. É troppo presto poter rispondere a tali domande.
In una prospettiva comparata il caso danese si inserisce in un quadro di Paesi con un basso livello di norme a tutela del lavoro (Employment Protection Legislation, EPL) e tende a superare l’impatto della crisi attraverso la contrazione del numero di lavoratori piuttosto che attraverso la riduzione degli orari di lavoro. Il sistema generoso di sussidi contro la disoccupazione tende a seguire la stessa direzione. Una protezione meno rigida del lavoro (EPL) consente di avere nel breve termine un tasso di disoccupazione di lunga durata più basso. La disoccupazione giovanile tende a essere meno presente nei Paesi colpiti dalla recessione con una politica a tutela del lavoro bassa e, ugualmente, i cambiamenti nella stessa disoccupazione tendono ad essere meno persistenti.
Le prove sui casi di successo sono meno decisive. Mentre vi è qualche indizio nel senso che un sistema generoso di sussidi contro la disoccupazione, in combinazione con politiche attive del mercato del lavoro, renda possibile ottenere una migliore ripartizione del rischio senza compromettere la flessibilità del mercato del lavoro, le prove sono poco decisive per poter arrivare a conclusioni sicure in merito. Per risolvere questi problemi sono necessarie ulteriori ricerche.