LA PARIFICAZIONE DELLA CONTRIBUZIONE PREVIDENZIALE DELLE COLLABORAZIONI AUTONOME CON QUELLA DEI LAVORATORI SUBORDINATI NON PUÒ PRESCINDERE DA UNA DISTINZIONE TRA FALSI E VERI AUTONOMI: PER QUESTI ULTIMI È UNA VESSAZIONE
Articolo di Dario Di Vico pubblicato sul Corriere della Sera il 24 giugno 2011 – In argomento leggi anche, su questo sito, il mio editoriale all’indomani dell’Assemblea di Genova del Pd, Una domanda rimasta senza risposta
È un’indiscrezione, ma trova buone conferme a Roma. Per comporre la manovra degli ormai famosi 40 miliardi di tagli, il Governo avrebbe intenzione di aumentare l’aliquota dei contributi previdenziali a carico dei cosiddetti parasubordinati, ovvero collaboratori a progetto e partite Iva. Il contributo versato alla Gestione Separata dell’Inps per la pensione è già oggi del 26% e dovrebbe salire fino addirittura a quota 33. Si perpetua così un rito: quando c’è bisogno di far cassa il provvedimento più semplice da prendere è tosare gli «invisibili» , i soggetti a rappresentanza debole. Si comportò così il governo Prodi al tempo del primo «tesoretto» e del protocollo sul welfare, continua nella stessa direzione un governo di centrodestra che, almeno teoricamente, dovrebbe avere nelle partite Iva una delle componenti del proprio blocco sociale. Infatti se per i collaboratori a progetto la contribuzione previdenziale è per due terzi a carico dell’azienda, i lavoratori a partita Iva la pagano direttamente e interamente. In passato si è sostenuto che l’aumento dell’aliquota servisse a far costare di più il lavoro precario e quindi a scoraggiarlo, ma di fatto non è mai andata così perché non esistendo minimi contrattuali i datori di lavoro hanno sempre riassorbito il prelievo aggiuntivo sottraendolo nella buona sostanza dalla paga finale. A rendere ancora più iniquo l’aumento dei contributi per le partite Iva, è la circostanza per la quale la Gestione Separata, oggi in attivo per 8 miliardi di euro l’anno, presta i suoi fondi ad altre gestioni Inps con la contabilità in perdita (commercianti, artigiani, dirigenti), ma non è dato sapere come e quando questo prestito verrà restituito. Siamo alla beffa. Ma al di là dei passaggi intermedi ciò che preoccupa le associazioni delle partite Iva (come Acta) è l’ammontare finale delle pensioni che si stanno accumulando con questo metodo. Le proiezioni più o meno pessimistiche parlano di 500-600 euro mensili a fine carriera a causa dei rendimenti assicurati dall’Inps giudicati inadeguati. Per dare più trasparenza a tutta la materia si era parlato in un recente passato dell’istituzione della «busta arancione» , un rendiconto puntuale dei versamenti con inclusa la proiezione finale dell’assegno di pensione. L’Inps alla fine aveva scartato questa metodologia perché avrebbe originato tensioni e ricorsi. Un eventuale aumento dell’aliquota al 33%potrebbe rilanciare la querelle sulla busta.