LIBERO: C’È UN PÒ DI KEYNES NEL NUOVO MODELLO SPAGNOLO

L’ADATTAMENTO DEI SALARI ALLA CONGIUNTURA, CHE KEYNES AFFIDAVA ALL’INFLAZIONE, OGGI IN EUROPA PUÒ ESSERE AFFIDATO SOLTANTO A UN SINDACATO CAPACE DI COMPIERLO IN MODO INTELLIGENTE E SELETTIVO, CASO PER CASO

Intervista a cura di Giulia Cazzaniga pubblicata su Libero il 24 giugno 2011 – In argomento v. anche le interviste a TMNews e ADN-Kronos dei giorni precedenti

Che la protesta degli indignados spagnoli non sia ancora avvenuta in Italia lo sorprende. Perché il giuslavorista Pietro Ichino, senatore del Partito democratico, pensa “ai torti che la mia generazione sta infliggendo a quella dei nostri figli, mi stupisco sempre che non sia già scoppiatata da tempo”. “Non soltanto – dice – lasciamo loro un debito pubblico pesantissimo, ma ci siamo anche riservati posti di lavoro pubblico e privato iperprotetti e pensioni eccellenti, che continuano a drenare risorse pubbliche, mentre a loro riserviamo nel tessuto produttivo lavori di serie B, C e D e nel futuro pensioni da fame, anche in conseguenza della precarietà prevalente nelle loro posizioni lavorative di oggi.”

Lei cosa farebbe per superare questa situazione?
“Credo che l’unica ricetta possibile consista nel ridisegnare profondamente il diritto del lavoro per le nuove generazioni, in modo da ricostruire la sicurezza economica, professionale e pensionistica delle persone su basi nuove. Senza toccare i diritti di chi ha già un posto di lavoro stabile, perché questo scatenerebbe conflitti difficili da risolvere, occorre offrire a tutti coloro che verranno assunti da oggi in poi un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (tranne ovviamente i casi classici di rapporto a termine per sostituzione di malattia, per lavori stagionali, ecc.): a tutti le protezioni essenziali, in particolare contro le discriminazioni, ma nessuno inamovibile. E a chi perde il posto una solida garanzia di continuità del reddito e della contribuzione previdenziale. Per i dettagli devo rinviare al mio sito, o al disegno di legge n. 1873 che ho presentato nel 2009 con altri 54 senatori.”

Il governo Zapatero ha presentato pochi giorni fa un decreto che prevede alcune novità. Tra queste la possibilità per la contrattazione aziendale di derogare ai contratti nazionali tagliando stipendi e modificando gli inquadramenti dei dipendenti (per un massimo di tre anni e con una scansione temporale definita). Come giudica questa norma?
“La sinistra che oggi mette John Maynard Keynes sulle proprie bandiere dovrebbe apprezzare queste misure. La ricetta keynesiana, sostanzialmente consiste in questo: poiché i salari nominali sono rigidi e non si abbassano nei periodi di congiuntura negativa, si utilizza l’inflazione per ridurre i salari reali, evitare così l’aumento della disoccupazione, e al tempo stesso rendere possibili maggiori investimenti pubblici e sostegno alle imprese private. Nel sistema europeo, che non consente né il ricorso all’inflazione né gli aiuti di Stato alle imprese, è del tutto ragionevole che l’operazione keynesiana di adattamento dei salari alla congiuntura, per sua natura indiscriminata, sia sostituita da una manovra compiuta in modo selettivo da un sindacato capace di operare come intelligenza collettiva dei lavoratori: capace, cioè, di valutare il piano industriale e, se la valutazione è positiva, di guidare i lavoratori nella scommessa comune con l’imprenditore su quel piano.”

Pensa che potrebbe essere utile anche in Italia?
“È proprio quello che proponevo sei anni fa nel mio libro “A che cosa serve il sindacato”, e che ho proposto nel 2009, insieme ad altri 54 senatori del Pd, con il disegno di legge n. 1872 per la riforma del nostro diritto sindacale. Da qualche anno, la possibilità che il contratto aziendale sostituisca in tutto o in parte il contratto collettivo nazionale è ammessa anche in Germania, che pure è, con la Svezia, una delle grandi patrie del centralismo contrattuale. Ora è materia di negoziato tra Confindustria e sindacati.”

Si prevede poi la possibilità di svincolare il 50% del monte ore annuo dall’orario di lavoro e utilizzarlo per particolari esigenze organizzative, evitando così di ricorrere allo straordinario e una nuova procedura per i rinnovi contrattuali: dopo 20 mesi di “vacanza contrattuale”, durante i quali le parti (imprese e sindacati) si confrontano e negoziano il nuovo contratto (concertazione) se l’accordo non viene raggiunto, scatta un arbitrato. Due azioni utili a suo parere?
“Quella disposizione in materia di orario di lavoro è già contenuta nella legge italiana che disciplina la materia. Quanto all’arbitrato sostitutivo del rinnovo del contratto collettivo, ho qualche perplessità: l’arbitrato avrebbe un senso se la stipulazione del contratto fosse obbligatoria, ma questo obbligo sarebbe contrario al principio del contrattualismo. Dove c’è obbligo di negoziare non c’è libera contrattazione.”

Sul suo sito leggiamo la proposta di contratto unico a stabilità crescente. Quali punti di forza?
“È una proposta avanzata in Spagna da cento economisti, in larga parte ispirata all’idea di fondo che accomuna il progetto Boeri-Garibaldi con il mio di cui parlavo prima. L’idea è quella della flexsecurity: conciliare il massimo possibile della flessibilità delle strutture produttive con il massimo possibile della sicurezza economica e professionale del lavoratore nel mercato del lavoro.”

Il nuovo modello delle relazioni industriali non pare essere molto distante da quello Fiat, in definitiva. Che cosa sta accadendo a Mirafiori?
“Sta accadendo esattamente quello che avevo previsto nel terzo capitolo del libro citato prima: la maggioranza dei lavoratori di quello stabilimento ha espresso un giudizio complessivamente positivo su di un piano industriale fortemente innovativo, nonostante gli scostamenti che esso presentava rispetto al contratto collettivo nazionale. Il contratto aziendale è stato stipulato, ma, in assenza di una cornice di regole chiare di democrazia sindacale capaci di dirimere il contrasto tra i sindacati maggiori, ne è nata una guerriglia giudiziale che rischia di essere paralizzante.”

È giunta davvero l’ora di riformare contratti e relazioni industriali?
“Su questo ormai mi sembra che concordino tutti. L’ideale sarebbe un accordo interconfederale firmato da tutte le principali associazioni sindacali e imprenditoriali; ma se non ci si arriva, la legge deve intervenire, sia pure in via sussidiaria, per dare attuazione al principio di democrazia sindacale, stabilendo il diritto del sindacato maggioritario di stipulare un contratto efficace per tutti, e il diritto di quello minoritario di non firmarlo senza per questo perdere il diritto ad avere voce e diritto di cittadinanza in azienda.”

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