LA LEGGE N. 183/2010 RECA ALCUNE NOVITÀ PIÙ APPARENTI CHE REALI IN MATERIA DI GIUSTIFICAZIONE DEI LICENZIAMENTI
Intervista a cura di Andrea Nicoletti pubblicata su Panorama Economy, 16 giugno 2011 – In argomento, ultimamente su questo sito, vedi anche le slides della mia introduzione al Convegno promosso da Optime, Milano, 23 febbraio 2011, sulla legge 4 novembre 2010 n. 183
Il professore Pietro Ichino conosce meglio di altri il “collegato lavoro”. Anche perché non gli è mai piaciuto. “Una legge confusa e illeggibile” dice l’avvocato giuslavorista e senatore del Pd, “un esempio di come non si dovrebbero scrivere le leggi”. Ma non proprio tutto è da buttare. A patto di fare molta attenzione a cosa si scrive sul contratto, individuale e collettivo. Il “collegato lavoro” contiene alcune norme sulla tipizzazione della giusta causa e del giustificato motivo di licenziamento. Detto più semplicemente?
Significa che il contratto di lavoro, individuale o collettivo, può individuare dei casi tipici di mancanza del lavoratore, o di situazione oggettiva, nei quali il licenziamento è giustificato.
Ma questo i contratti collettivi non lo hanno sempre fatto?
Sì, e non solo. Anche prima di questa legge i contratti individuali potevano individuare casi di licenziamento giustificato e il giudice non poteva certo ignorare la clausola, individuale o collettiva che fosse. Quindi, nessuna novità, almeno sul piano pratico: oggi come ieri il giudice applicherà la clausola contrattuale soltanto se la riterrà conforme alla nozione legale di giusta causa o giustificato motivo, sulla quale è lui ad avere comunque l’ultima parola.
Qualcuno sostiene che, per assurdo, da oggi si potrà licenziare anche per scarso rendimento o “eccessiva morbilità”.
Ci andrei molto cauto. I criteri di valutazione dei giudici continueranno a variare moltissimo. Soprattutto in materia di scarso rendimento.
Chi è più felice di poter tipizzare nel contratto una giusta causa di licenziamento, datore di lavoro o manager?
In pratica la tipizzazione può giovare al lavoratore, ma non all’imprenditore. Perché se il giudice considera la tipizzazione contrattuale più favorevole al lavoratore rispetto alla nozione legale, la applica. Se la considera sfavorevole, la disattende.
Cosa succede in caso di conflitto tra il contratto collettivo e il contratto individuale certificato?
Dei due, si applica sempre quello più favorevole al lavoratore.
Lei propone l’indennizzo come filtro delle scelte imprenditoriali, che significa?
L’idea è questa: sul piano economico od organizzativo, quello che giustifica un licenziamento è la perdita attesa dalla prosecuzione del rapporto. Ma l’entità della perdita necessaria oggi la stabilisce il giudice, ciascuno a modo suo. Meglio allora stabilire subito la cifra: se l’imprenditore è disposto a sopportare quel costo, sotto forma di indennità di licenziamento e trattamento complementare di disoccupazione, vuol dire che la perdita attesa è più alta, quindi il licenziamento è giustificato.
Non è che in questo modo l’imprenditore potrebbe liberarsi, pagando, dei sindacalisti o dei malati?
In tutto il mondo, e anche in Italia, i giudici sono capacissimi di individuare il licenziamento discriminatorio. E contro le discriminazioni resterebbe l’articolo 18. Ma oggi, nel 95 per cento dei licenziamenti per motivi economici la questione della discriminazione non viene neppure menzionata, perché non avrebbe alcun senso. In tutti questi casi, dunque, si eliminerebbe l’alea del giudizio.
Professore, ma c’è qualcosa che le piace del collegato lavoro?
Si, ed è la norma in materia di protezione della riservatezza del dipendente pubblico contenuta nell’articolo 14. Nasce da un mio emendamento e chiarisce che sono riservate soltanto le informazioni relative alla natura dell’eventuale malattia, mentre ogni altra notizia concernente lo svolgimento della prestazione e la relativa valutazione deve essere liberamente accessibile per tutti. Nel settore pubblico deve valere il principio della trasparenza totale, come in Svezia, in Gran Bretagna e negli USA.
Il suo consiglio per manager e dirigenti: a cosa devono fare attenzione prima di firmare il contratto?
Innanzitutto, alla qualità della persona che assumono: se è eccellente, qualsiasi contratto va bene. Ma poiché non sempre si riesce a prevedere tutto, è importante chiarire alcuni punti su cui potrebbero sorgere questioni: per esempio, definire con la necessaria ampiezza le mansioni, anche di livelli professionali diversi; definire il dress code, ovvero l’abbigliamento richiesto in relazione al tipo di lavoro; definire bene il grado di mobilità richiesto; infine, indicare eventuali aspetti particolari della diligenza richiesta, in relazione alla particolarità della funzione o del contesto in cui essa si svolge.