IL BILANCIO DEL CENTRODESTRA SU QUESTO TERRENO È FALLIMENTARE – OCCORRE GOVERNARE I FLUSSI DI IMMIGRAZIONE IN MODO SELETTIVO, OFFRIRE ED ESIGERE UN’APPLICAZIONE DELLA LEGGE PIÙ RIGOROSA, PREDISPORRE SERVIZI ADEGUATI FINANZIANDOLI CON LA REGOLARIZZAZIONE DEI RAPPORTI DI LAVORO
Intervista a cura di Marta Fresolone in corso di pubblicazione sul mensile Theorema, giugno 2011 – In argomento v. anche il mio scritto del 23 maggio 2009 Un traghetto per Lampedusa
Che idea si è fatto sulla situazione a Lampedusa all’indomani della crisi libica e dell’arrivo di molti migranti sulle nostre coste?
L’idea di una situazione scandalosa e tragica, frutto di una politica dilettantesca: male informata e male impostata.
Come pensa che vadano affrontati questi grandi flussi migratori?
Occorre distinguere il problema del governo dei flussi in entrata da quello di pura e semplice polizia di frontiera. Per quel che riguarda i flussi in entrata, la regola dovrebbe essere ispirata al favore per l’agevole regolarizzazione dei rapporti di lavoro utili alla nostra economia o addirittura già in atto: questo – con il riassorbimento di una vasta zona di lavoro sommerso dovuto esclusivamente all’impossibilità della regolarizzazione – anche per un nostro interesse economico immediato. Ma occorrerebbe anche una programmazione selettiva molto più attenta e raffinata di questi flussi. Dovremmo privilegiare gli studenti universitari e post-graduate, i dipendenti di multinazionali operanti in Italia, le molte centinaia di migliaia di badanti che con la legge attuale costringiamo stupidamente a lavorare “al nero”, tutti i lavoratori dei quali abbiamo bisogno per la nostra industria, agricoltura e servizi.
E il problema della polizia di frontiera?
Lì è giusto applicare la legge con rigore. Anche quella che impone di accogliere profughi e rifugiati, ovviamente.
Resta il problema degli sbarchi clandestini a Lampedusa.
Due anni fa ho sostenuto – forse un po’ provocatoriamente, ma non poi tanto – che dovremmo trasformare Lampedusa in zona extraterritoriale, con conseguente esenzione fiscale per i residenti, e istituire un traghetto regolare tra la costa africana e Lampedusa, senza controllo di passaporto (Un traghetto per Lampedusa, su il Riformista, 23 maggio 2009). Tanto, gli africani a Lampedusa arrivano lo stesso: meglio che ci arrivino pagando regolarmente un biglietto, senza rischiare la vita e senza ingrassare gli scafisti.
La intende come misura umanitaria o come soluzione del problema del controllo del flusso?
Si tratterebbe, certo, di una misura essenzialmente umanitaria, volta a porre fine allo scempio delle centinaia di uomini, donne e bambini che muoiono annegati o assiderati durante la traversata. Ma potrebbe attuarsi a costo zero; e consentirebbe anche di controllare meglio il flusso, distinguendo più agevolmente i profughi da chi non ha alcun titolo per entrare nel nostro territorio. Con i proventi del servizio di traghetto, oltre che compensare la perdita dei tributi finora pagati dai residenti dell’Isola, si potrebbero, per esempio, istituire grandi centri di accoglienza presso il terminal africano e presso quello italiano, dove sarebbe possibile offrire a tutti coloro che vi si presentano informazione, orientamento, assistenza, anche con il contributo degli altri Paesi europei.
Può fare una valutazione politica sull’azione di Governo in questo campo?
Una politica miope, tutta centrata sulla ricerca dell’annuncio capace di raccogliere il consenso effimero e superficiale di un’opinione pubblica male informata. Con esiti pessimi: sia dal punto di vista umanitario, sia da quello dell’immagine internazionale dell’Italia, sia infine da quello dei risultati, in riferimento all’obiettivo legittimo di contrastare l’accesso dei clandestini.
Cosa pensa del pacchetto di misure adottate dall’Unione Europea per gestire i flussi dal Sud del Mediterraneo, come il sostegno alle nascenti democrazie per prevenire le migrazioni?
In questa crisi originata dalle rivoluzioni nord-africane l’UE non ha brillato né per coesione, né per efficacia delle politiche adottate e praticate. Detto questo, va anche detto però che le risposte negative alle richieste di aiuto provenienti dal nostro Governo erano ampiamente prevedibili: che cos’altro potevamo attenderci, dopo il comportamento provocatoriamente sordo a ogni istanza di coordinamento comunitario, tenuto dal nostro Governo nel decennio passato nei rapporti con Geddafi e con Putin e in generale nella sua politica estera?
Lei intravede la possibilità di un’integrazione sociale? Quali dovrebbero essere le politiche da attuare in questo senso?
Un mondo nel quale si spostino liberamente, come oggi accade, le merci, i capitali, i piani industriali, le idee, ma non si spostino le persone, è impensabile. La globalizzazione porterà necessariamente un rimescolamento di razze, etnie, culture e religioni. Dovremo essere molto rigorosi nell’offrire agli immigrati ed esigere da loro il rispetto delle nostre leggi; ma non potremo esimerci dal predisporre un ambiente esente da discriminazioni, una scuola capace di istruire anche i loro figli, un sistema sanitario capace di offrire loro la stessa assistenza che offre a noi, rapporti di lavoro e previdenziali regolati esattamente come i nostri, la libertà e possibilità effettiva di professare le loro religioni.
Parliamo di lavoro. Esiste la speranza che molte di queste persone ottengano un lavoro nel nostro Paese?
Come dicevo prima, già oggi la domanda di lavoro che gli extracomunitari soddisfano o potrebbero soddisfare è molto superiore al numero dei permessi di soggiorno per lavoro che noi offriamo loro, oltretutto in modo irrazionale, disordinato, poco dignitoso, penoso per chi li riceve, anche sul piano fisico. Comunque è dimostrato che, nella stragrande maggioranza dei casi, i lavori che gli extra-comunitari vengono a svolgere sono quelli per i quali noi non siamo più disponibili: sia nel settore agricolo, sia in quello manifatturiero, sia in quello dei servizi.
Quali potrebbero essere gli ostacoli per un loro inserimento lavorativo?
C’è innanzitutto l’ostacolo della lingua. Inoltre quello della carenza di abitazioni. Ma nel panorama europeo e anche in quello italiano ci sono molte esperienze positive alle quali dovremmo attingere, per riprodurle e generalizzarle: qui da noi, penso per esempio all’esperienza della cooperativa milanese Dar-Casa animata da Piero Basso; oppure al grande lavoro di accoglienza e assistenza svolto dalla Caritas ambrosiana presieduta da don Virginio Colmegna; oppure ancora al lavoro prezioso di integrazione svolto da tanti insegnanti di scuola media, in silenzio e tra mille difficoltà, ma sovente con successo.
Viene obiettato che non abbiamo un sistema efficiente di riqualificazione e sostegno al reddito, come pensa che l’Italia possa sostenere l’arrivo in massa di nuovi “lavoratori”?
Se fossimo capaci di regolarizzare tutti i rapporti di lavoro degli extracomunitari di fatto attivi nel nostro Paese, questo porterebbe un gettito fiscale e contributivo più che sufficiente per garantire loro non solo il trattamento previdenziale cui hanno diritto, ma anche i servizi di formazione e riqualificazione di cui essi possono avere bisogno e i cosiddetti ammortizzatori sociali per il caso di sospensione o perdita del lavoro.
Non si rischia, con questi flussi in entrata, di precarizzare ulteriormente una situazione già di per sé difficile?
La mia proposta, contenuta nel progetto del nuovo Codice del Lavoro semplificato (d.d.l. n. 1873/2009 – n.d.r.), è quella di un nuovo diritto del lavoro capace di applicarsi in modo universale a tutti i nuovi rapporti di lavoro: tutti a tempo indeterminato (salvi i casi classici di contratto a termine, per lavori stagionali, sostituzioni di malattia, ecc.), a tutti le protezioni essenziali, ma nessuno inamovibile. L’idea è di conservare il controllo giudiziale contro il licenziamento discriminatorio, ma non quello sul licenziamento per motivi economici od organizzativi: qui occorre invece, in cambio dell’esenzione dal controllo giudiziale, responsabilizzare l’impresa per una ragionevole sicurezza economica e professionale del lavoratore nel passaggio dal vecchio al nuovo lavoro. Questa riforma garantirebbe al tempo stesso una maggiore fluidità del mercato del lavoro e una maggiore sicurezza nel mercato stesso di tutti i nuovi lavoratori, comunitari o extra-comunitari che siano.