CADE LA ROCCAFORTE DEL CENTRODESTRA: UNA LEZIONE DAL VOTO DI MILANO

LE MOTIVAZIONI DEL VOTO PER PISAPIA DI PERSONE MOLTO LONTANE DALLA SUA PARTE POLITICA MOSTRANO COME FUNZIONA L’UNINOMINALE: IL VOTO DIVENTA PIÙ MOBILE, PIÙ LAICO, PRIVILEGIANDO IL GIUDIZIO SULLE PERSONE RISPETTO A BANDIERE E IDEOLOGIE

Editoriale per la Newsletter n. 154, 30 maggio 2011 – Il testo, on line alle 0.10 quando ancora l’esito del voto per il sindaco non era conosciuto è rimasto invariato; titolo e sottotitolo aggiornati alle 16, con l’aggiunta del post-scriptum  – V. anche gli altri tre miei editoriali di questa campagna elettorale milanese: Milano deve riscoprire la propria antichissima vocazione di città moderna, del 9 maggio; Lo strano garantismo del PdL milanese del 16 maggio;  La vittoria del partito delle primarie, del 23 maggio – Sul punto che nel voto di Milano (come in quello di Napoli) non debba leggersi una radicalizzazione dell’elettorato di centrosinistra, leggi l’editoriale di Luca Ricolfi sulla Stampa del 18 maggio

     L’anno scorso, quando insieme a numerosi altri politici e studiosi lanciaii il Manifesto per l’uninominale (con turno unico all’inglese, doppio turno alla francese,  o turno unico con voto alternativo all’australiana), molti esponenti del centrosinistra lombardo mi obiettarono che con quel sistema in Lombardia il centrodestra si sarebbe preso tutti i seggi per i prossimi vent’anni: noi saremmo scomparsi dalla scena. Ora, il voto per il sindaco è sostanzialmente un voto a collegio uninominale; e in questa tornata proprio il voto milanese – quale che sia l’esito della volata finale tra Moratti e Pisapia – sta mostrando la grande virtù di questo sistema: il testa a testa fra due persone in carne e ossa, entrambe direttamente conoscibili da parte di ciascun elettore, riduce fortemente il peso del “voto a priori”, del voto dettato dal senso di appartenenza a un partito, dalla pregiudiziale ideologica. Col risultato che anche la città considerata come roccaforte di una parte, se quest’ultima sbaglia il candidato, può essere conquistata dalla parte opposta.
     Con il sistema proporzionale ogni partito può infilare nelle proprie liste persone chiacchierate, o già giudicate e condannate, o scelte soltanto per meriti di letto, o riciclate dopo una precedente pessima prova; e ha buone possibilità di riuscire a farle eleggere. Nel collegio uninominale, invece, il partito che applica criteri di questo genere per scegliere il proprio candidato rischia di perderlo, anche se in quel collegio ha vinto sempre. È quello che il PdL e la Lega rischiano oggi a Milano, dove, dopo il primo turno, è la loro candidata superfavorita dai pronostici della vigilia a rincorrere l’outsider. Quale che sia l’esito finale della conta dei voti, è evidente che nel testa a testa tra i due candidati la città è davvero contendibile; e lo è molto di più che se il voto riguardasse soltanto delle liste o dei simboli di partito.
     Nei giorni scorsi si sono schierate per Giuliano Pisapia persone che da sempre avversano la sua parte politica, come ha fatto per esempio l’ex Amministratore delegato della Fiat Cesare Romiti, sulla base di un apprezzamento personale positivo nei suoi confronti; o come l’economista Marco Vitale, già assessore al bilancio nella giunta del leghista Formentini, il quale ha compiuto invece la propria scelta – pur con alcuni dubbi e giudizi sospesi circa Giuliano Pisapia – sulla base di questa motivazione durissima nei confronti dell’operato del sindaco uscente: “Perché [Letizia Moratti] ha governato male Milano, consegnandola nelle mani di una cricca spregiudicata e pericolosa. Da Comunione e Liberazione, che è diventata una setta d’affari, a Ligresti, sindaco di fatto degli ultimi decenni, Milano è stata gestita come una Signoria, decadente e senza strategia. L’Expo finora è stato un disastro. Il bilancio comunale – storicamente sano – è pieno di debiti, rovinato da consulenze e prebende scandalose” (Il malgoverno ha fatto svoltare la borghesia, intervista a la Stampa, 28 maggio 2011, pag. 7).
     Questo genere di motivi dovrebbe sempre essere alla base del nostro voto. Motivi concreti, non ideali astratti e attaccamento a gloriose bandiere. Più dei grandi valori, che pure devono orientare l’intera nostra vita, deve contare il modo in cui, hic et nunc, una persona in carne e ossa ci sembra adatta a interpretarli e capace di applicarli nell’arco dei prossimi quattro o cinque anni. Nessun sistema di voto più dell’uninominale ci stimola a esercitare in questo modo – essenzialmente laico – la sovranità popolare.

Post-scriptum delle ore 16 – Se i dati delle prime proiezioni saranno confermati, intorno a Milano sono clamorosamente cadute anche le roccheforti del centrodestra di Novara, Pavia, Gallarate e Arcore. A Napoli De Magistris ha battuto il candidato del centrodestra con due terzi dei voti. E il candidato del centrosinistra ha vinto anche a Trieste, a Cagliari, a Grosseto e nella maggior parte delle altre città in cui si è votato. Nessun trionfalismo: la stessa mobilità e “laicità” del voto che si è manifestata in questa tornata elettorale potrebbe manifestarsi, già la prossima volta,  in senso inverso, se il centrosinistra non governerà bene le città che ha conquistato. Ma ora occorre che questa laicità del voto si trasferisca anche nelle elezioni politiche nazionali, con una riforma elettorale centrata sul collegio uninominale.

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