NELLA RELAZIONE DELLA PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA, IL CAPITOLO SULLA NECESSARIA RIFORMA DEL DIRITTO SINDACALE E DEL LAVORO RICALCA DA VICINO IL DISEGNO DI RIFORMA DELINEATO NEI DDL 1872 E 1873/2009 – MA SUSSISTE UNA MARGINALE DISCORDANZA RISPETTO A QUANTO CHIEDE LA FIAT DI MARCHIONNE
Intervista a cura di Fabio Paluccio per l’Agenzia Labitalia Adn-Kronos, 27 maggio 2011
Professor Ichino, ieri, nella sua relazione all’Assemblea di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha rimarcato che sulla riforma del modello contrattuale gli industriali non tornano indietro rispetto all’intesa del 2009 ma anzi “vogliono andare avanti”. Come giudica l’intervento della presidente e, a suo parere, come dovrebbe essere riformato il modello contrattuale in Italia?
La relazione della Presidente di Confindustria indica in modo molto chiaro la direzione in cui occorre muoversi per superare i limiti dell’accordo interconfederale stipulato nel 2009: quei limiti che a un solo anno di distanza sono stati posti bruscamente in evidenza dagli accordi Fiat di Pomigliano e Mirafiori, nel corso del 2010.
In particolare, come dovrà essere in futuro, a suo parere, il rapporto tra contrattazione nazionale e contrattazione aziendale?
La relazione di Emma Marcegaglia riprende puntualmente, per questo aspetto, il progetto di riforma contenuto nel disegno di legge n. 1872, che ho presentato nel 2009 con altri 54 senatori di opposizione. Secondo questo disegno, il contratto collettivo nazionale deve rimanere come un utile benchmark generale e come fonte di una disciplina applicabile in tutti i casi in cui manchi un contratto collettivo validamente negoziato a un livello più vicino al luogo di lavoro. Come accade in Germania. Il requisito perché il contratto di livello inferiore possa sostituire, in tutto o in parte, il contratto nazionale è che a stipularlo sia una coalizione sindacale rappresentativa della maggioranza dei lavoratori interessati a quel livello.
Marcegaglia ha chiesto anche ai sindacati di arrivare a breve “a un accordo condiviso sulla rappresentanza e sulla esigibilità dei contratti”. Come si può arrivare, e su quali basi, a un’intesa su questi temi tra industriali e sindacati?
Occorre che tra Cgil, da una parte, Cisl e Uil dall’altra, si raggiunga un compromesso sulla questione che le vede profondamente divise: se, cioè, si debba privilegiare l’investitura dal basso delle rappresentanze sindacali aziendali, oppure il loro rapporto organico con l’associazione. Un compromesso possibile è questo: mix tra dato elettorale e numero degli iscritti per determinare la distribuzione dei rappresentanti tra i sindacati, sovranità statutaria di ciascuno dei sindacati stessi sulle modalità di elezione o designazione dei lavoratori destinati ad assumere la carica.
Ora quali sono le prospettive che a questa riforma si arrivi in tempi brevi?
Mentre sul contenuto di questa riforma la Confindustria chiede la stessa cosa che chiede la Fiat, sullo strumento giuridico con cui vararla si registra una significativa divergenza: nella relazione Marcegaglia si legge soltanto il riferimento alla necessità di un accordo condiviso da tutte le confederazioni interessate, mentre Marchionne e Elkann in questi giorni hanno chiesto al ministro del Lavoro che si proceda rapidamente a un intervento legislativo, evidentemente ritenendo che la prospettiva dell’accordo interconfederale firmato da tutti sia irrealistica. Credo che su questo punto la Fiat abbia ragione; ma sarà comunque opportuno che l’iter parlamentare del provvedimento prenda le mosse da un avviso comune tra Confindustria, Confcommercio, Abi da un lato, e il maggior numero possibile di confederazioni sindacali dei lavoratori dall’altro.
Marcegaglia ha anche sottolineato la necessità di una riforma del diritto del lavoro. Cosa pensa di questo passaggio della relazione?
Qui la presidente di Confindustria ha menzionato esplicitamente il progetto “di una parte riformista dell’opposizione su uno schema di riforma complessiva”. Il riferimento è al disegno di legge n. 1873 per il nuovo Codice del Lavoro semplificato, presentato anche questo nel 2009 con lo stesso gruppo di 54 senatori, ispirato al modello della flexsecurity nord-europea e tendente al superamento del dualismo del nostro mercato del lavoro, dell’apartheid fra protetti e non protetti. Come potrei essere in disaccordo? Anche per questo aspetto mi sembra che la relazione presentata ieri da Emma Marcegaglia vada nella direzione giusta.