IL PROGETTO FLEXSECURITY E LA SINISTRA LIBERALE

UN GRUPPO DI GIOVANI MI CHIEDE SE ESISTE IN ITALIA UNA FORZA POLITICA CAPACE DI SOSTENERE LA RIFORMA INCISIVA DELINEATA NEL MIO DISEGNO DI LEGGE SUL NUOVO DIRITTO DEL LAVORO

Intervista a cura di Marco Codastefano, dell’Associazione 3L, in corso di pubblicazione su Agorà – In argomento v. anche la mia intervista al Mondo a cura di Gaia Fiertler

Si dice che la politica al giorno d’oggi sia qualcosa di lontano dai giovani, roba da “ben pensanti”, da frequentatori di salotti buoni. Oggi vogliamo convincervi che spesso e volentieri non è cosi. Chi se lo sarebbe mai aspettato che un senatore della Repubblica, quale è Pietro Ichino (PD), avrebbe risposto a una semplice e-mail di un gruppo di ragazzi in cerca di risposte? La sua estrema disponibilità ci ha sorpreso, ancor più quando ha accettato di concederci un’intervista sulla sua proposta di legge per la riforma del diritto del lavoro, una proposta dal valore “rivoluzionario” che potrebbe seriamente ammodernare il mondo del lavoro. Lasciamo la parola al nostro illustre intervistato. Professor Ichino, ci parli della flexsecurity
Significa coniugare il massimo possibile di flessibilità per le strutture produttive con il massimo possibile di sicurezza per la persona che lavora. Questo oggi è possibile soltanto se la sicurezza viene costruita non con l’ingessatura del posto di lavoro, ma con la garanzia della continuità del reddito di lavoro e di un investimento sulla professionalità del lavoratore nel momento in cui si richiede il passaggio da un’azienda a un’altra. A questo mira il progetto flexsecurity contenuto nei miei disegni di legge n. 1481 n. 1873 del 2009.

Cosa risponde a tutti coloro che parlano dei programmi caratterizzanti la flexsecurity come destinata a ridistribuire reddito a danno del lavoro dipendente?
Non è così. Il peggioramento complessivo delle condizioni di lavoro che si è registrato in Italia nell’ultimo quarto di secolo è dovuto principalmente al difetto di crescita economica, conseguente a numerose circostanze tra le quali la chiusura ermetica del nostro Paese agli investimenti stranieri, e quindi a difetto della domanda di manodopera. Ma in questo contesto generale è venuta determinandosi una gravissima disparità di trattamento fra i lavoratori stessi: oggi in Italia la forza-lavoro è nettamente divisa tra lavoratori di serie A, quelli regolari a tempo indeterminato del settore pubblico o delle aziende medio-grandi, e lavoratori di serie B, C o D, poco protetti o non protetti del tutto. Le nuove assunzioni avvengono per nove decimi nella forma deteriore e tre giovani su quattro hanno la prospettiva di rimanere in serie B, C o D per periodi molto lunghi, se non per tutta la loro vita di lavoro. La riforma del nostro diritto del lavoro che propongo non riguarda chi oggi ha un rapporto di lavoro di serie A: la sua posizione non ne sarà toccata; mira invece a delineare una disciplina molto migliore del rapporto di lavoro per tutti coloro che entreranno nel tessuto produttivo da domani in poi.

Vista la positività dell’esperienza danese, ci sono motivi che la fanno pensare a un esito altrettanto positivo anche in Italia? Non pensa che le differenze storico-istituzionali tra le due realtà pesino a sfavore del progetto?
La Danimarca è grande esattamente come il Piemonte; la Svezia esattamente come la Lombardia; e ha esattamente lo stesso reddito pro capite. Il mercato del lavoro lombardo e quello piemontese sono per molti aspetti più vivaci ed equilibrati rispetto a quello svedese e a quello danese. Certo, in quei Paesi i servizi pubblici nel mercato del lavoro sono molto più efficienti che i nostri. Ma non è che da noi i servizi efficienti di outplacement o di riqualificazione professionale non ci siano: ci sono ma costano. Questo è il motivo per cui propongo di responsabilizzare le imprese per la ricollocazione rapida del lavoratore licenziato, istituendo un forte incentivo affinché esse attivino i servizi migliori nel mercato. Alle Regioni, poi, il compito di orientare il loro contributo e quello del Fondo Sociale Europeo sulle iniziative che verranno attivate dalle imprese, invece che sperperarlo come prevalentemente accade oggi.

I radicali parlano di “contratto unico”, lei di “diritto del lavoro unico”; quale è la differenza?
In realtà, molto sovente coloro che parlano di “contratto unico” nelle interviste e negli articoli di giornale intendono riferirsi al mio progetto. E i tre senatori radicali – Bonino, Perduca e Poretti – hanno tutti e tre firmato il mio disegno di legge n. 1873. Il quale prevede che restino in vita il contratto a tempo parziale, quello di apprendistato, e anche il contratto a termine, nei casi classici in cui esso è sempre stato ammesso, come la sostituzione per malattia, o i lavori stagionali. La novità sta nel fatto che, esclusi quei contratti speciali, quando il lavoratore sia in una posizione di dipendenza economica dall’impresa per cui lavora, cioè tragga più di due terzi del proprio reddito da quel rapporto di lavoro, e il reddito stesso non superi i 40.000 euro annui, il rapporto si considera sempre a tempo indeterminato e si applica sempre la nuova disciplina del licenziamento. Con l’espressione “contratto unico” viene sovente indicato un altro progetto di riforma, quello degli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi, che presenta qualche notevole analogia con il mio, ma è molto meno radicale: esso prevede che in tutti i casi in cui il lavoratore si trova in una posizione di dipendenza economica dall’azienda – individuata come ho detto prima – nei primi tre anni, in caso di licenziamento si applichi soltanto un indennizzo economico, pari a due mensilità per anno di anzianità.

Nella situazione politica in cui ci troviamo esiste in Italia una sinistra liberale capace di far sue queste proposte?
Sì: la si può individuare in quella parte del Partito Democratico che è rappresentata dai 54 senatori – più di metà dell’intero Gruppo Pd al Senato – che insieme a me hanno firmato i disegni di legge n. 1481 n. 1873 del 2009; più ampiamente nel Movimento Democratico fondato da Walter Veltroni, nell’associazione LibertaEguale che fa capo a Enrico Morando, in quella parte dei radicali che si riconoscono nelle posizioni di Emma Bonino: tutti questi sostengono esplicitamente i miei progetti per la riforma del diritto sindacale e del lavoro. Ma possiamo aggiungere, in questo censimento, anche la grande corrente di pensiero che è rappresentata tutti i giorni sui nostri maggiori quotidiani negli editoriali di Alberto Alesina, Tito Boeri, Maurizio Ferrera, Francesco Giavazzi, Andrea Ichino, Mario Monti, Roberto Perotti, Luca Ricolfi, Nicola Rossi, Michele Salvati, Luigi Spaventa, Irene Tinagli e tanti altri. Certo, questa sinistra liberale non ha ancora una fisionomia politica chiara e distinta, perché non ha un leader in cui essa unitariamente si riconosca. Il mio impegno politico oggi consiste nel lavorare in seno al Partito democratico perché questa sua componente si rafforzi fino a tornare a essere maggioritaria, come lo è stata per il suo primo anno e mezzo di vita, tra il 2007 e la fine del 2008. Ma anche e soprattutto nel lavorare perché maturi nel Paese un vasto movimento di giovani come voi, che sappia raccogliere queste idee, rielaborarle e trarne il manifesto di una nuova politica di progresso civile e sociale focalizzata essenzialmente sul vostro futuro nell’economia globalizzata.

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