IL FOGLIO E IL RIFORMISTA DANNO CONTO DI UN DIBATTITO OGNI GIORNO PIU’ INTENSO SUL PROGETTO FLEXSECURITY E “CONTRATTO UNICO”
Editoriale apparso su il Foglio l’11 maggio 2011 – Segue l’articolo di Gianmaria Pica pubblicato su il Riformista lo stesso giorno
IL FOGLIO: CHI SONO I NUOVI FAN DEL CONTRATTO UNICO ALLA DANESE
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IL RIFORMISTA: SOSTITUIRE LA CIG CON LA “FLEXSECURITY”
Ieri l’Ocse ha diffuso i dati sul lavoro. A marzo il tasso di disoccupazione Ue (8,2 per cento) è rimasto stabile rispetto al mese precedente. Diversa la situazione per l’Italia: da noi la disoccupazione è aumentata all’8,3 per cento (a febbraio era dell’8,2), interrompendo un trend di quattro mesi consecutivi in calo. Ma dall’Ocse, che lunedì ha presentato il «Rapporto sull’Italia» emergono altri dati interessanti. L’Organizzazione sottolinea che il nostro paese necessita di «riforme strutturali per aumentare il potenziale di crescita». In particolare, continua il report, vanno stimolate la crescita di produttività e l’offerta di lavoro. L’Ocse consiglia di sostituire gradualmente la «cassa integrazione» con un «sistema di flexsecurity». Non si tratta di studiare un nuovo “codice del lavoro”. Il provvedimento che introduce il sistema di flexsecurity esiste già, bisognerebbe solamente applicarlo.
Quella proposta dall’Ocse è una soluzione per far uscire il nostro paese da una situazione di costante precarietà. Ma non è solo l’ente internazionale ad averla suggerita. Anche Pietro Ichino, senatore giuslavorista del Pd, ha proposto in tempi non sospetti – il disegno di legge per introdurre in Italia la flexsecurity è stato presentato l’11 novembre 2009 – la sua ricetta: un nuovo contratto di lavoro che cerca di coniugare flessibilità e sicurezza con la sostituzione dei contratti precari con un unico contratto a tempo indeterminato. Certo, ci sarebbero meno garanzie in termini occupazionali, le aziende disporrebbero di maggiore scelta in fatto di licenziamento, ma vi sarebbero anche maggiori tutele previdenziali per il lavoratore.
La proposta piace a diversi esponenti dell’industria e del lavoro. In un articolo pubblicato sul Corriere della Sera lo scorso 8 aprile, Ichino, Luca di Montezemolo e l’economista Nicola Rossi sostengono che non si può «pensare di contrastare la patologia della precarietà togliendo al sistema i margini di flessibilità di cui ha grande e, anzi, crescente bisogno». E ancora: «Mantenere e irrobustire i margini di flessibilità del sistema non si può fare nel modo in cui lo si è fatto fin qui, scaricandone tutto il peso sulle nuove generazioni: oltre che iniquo, può costare troppo caro». E adesso anche Confindustria appoggia l’introduzione del modello flexsecurity in Italia. Sabato scorso, i seimila imprenditori che hanno partecipato alle Assise di Bergamo hanno potuto esprimere – tramite sms – il voto di gradimento su diverse «priorità». Sulla flexsecurity è stato un plebiscito: il 92 per cento degli industriali vuole contratti nazionali più flessibili e derogabili.
Vediamo – prendendo come riferimento il ddl Ichino – quali sono i principali cambiamenti in materia di lavoro che verrebbero introdotti con la flexsecurity. Innanzitutto vi sarebbe una grande semplificazione legislativa: oggi un codice del lavoro completo richiede 2.700 pagine, con la nuova norma è possibile ridurre il cuore del diritto del lavoro a una settantina di articoli. Vi sarà anche una semplificazione della cassa integrazione: la disciplina vecchia – sparsa in 34 leggi diverse – prevede l’utilizzo della Cig solo per le imprese medio-grandi, nasce come risposta alla precarietà salariale (cioè assicura il lavoratore) e consente il ricorso alla Cig per ritardare i licenziamenti; invece la nuova disciplina – un articolo, 5 commi – prevede che tutti i lavoratori abbiano diritto all’80% della retribuzione se il lavoro è sospeso dall’impresa, ma assicura anche le imprese (col bonus-malus il premio medio calerà dal 3 allo 0,5%). Inoltre, col ddl Ichino la nuova disciplina dei licenziamenti e flexsecurity prevede il licenziamento disciplinare, quello per motivo oggettivo e – soprattutto – un forte sostegno nel mercato a carico dello Stato e dell’impresa con più di quindici dipendenti.
Insomma, il provvedimento che risolverebbe il problema del precariato in Italia è già pronto. Anche gli industriali lo vogliono adottare. Che cosa aspetta il governo?