UNA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI MODENA SULLA QUESTIONE DEI LIMITI DI EFFICACIA DEI CONTRATTI COLLETTIVI METALMECCANICI DEL 2008 E DEL 2009 PONE IN EVIDENZA LA NECESSITA’ URGENTE DI REGOLE CHIARE SU RAPPRESENTANZA SINDACALE E CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
Intervista a cura di Fabio Paluccio, pubblicata on line dall’Agenzia Adn Kronos il 27 aprile 2011, ma solo in parte per motivi di spazio – V. anche il testo della sentenza del Tribunale di Modena cui l’intervista si riferisce – In argomento v. inoltre il mio scritto del 2000 su Che cosa è discriminazione antisindacale e che cosa no
Professor Ichino, la sentenza del Tribunale di Modena ha accolto il ricorso della Fiom e ritenuto valido l’accordo per il rinnovo del contratto del 2008 e non l’accordo separato del 2009. Da giuslavorista, qual è il suo giudizio sulla sentenza?
Non è esattamente questo il contenuto della sentenza: per il Tribunale di Modena anche il contratto del 2009 è valido; ma esso non può essere imposto ai dissenzienti. Più precisamente, il contratto stipulato senza la Fiom-Cgil nel 2009 è valido ed efficace per gli iscritti ai sindacati stipulanti e per i non iscritti che vi prestano il loro consenso; esso non può, invece, applicarsi agli iscritti alla Fiom e ai lavoratori non iscritti ad alcun sindacato che preferiscano “tenersi” il contratto del 2008 fino alla sua scadenza. Sul piano giuridico, la sentenza è ineccepibile. Sul piano pratico, essa pone in evidenza i pasticci cui dà luogo il protrarsi ultrasessantennale del regime di “diritto sindacale transitorio”, conseguente alla mancata attuazione dell’articolo 39 della Costituzione. È molto urgente che si provveda a dettare le regole essenziali in materia di rappresentanza sindacale e contrattazione collettiva, che consentano di dirimere in modo chiaro e semplice il contrasto tra sindacati, quando questo è insanabile.
Come giudica l’orientamento di Federmeccanica che, dopo la pronuncia del Tribunale, intende chiedere alle aziende interessate di non corrispondere più ai lavoratori iscritti a questo sindacato gli aumenti previsti dal rinnovo stesso, e anche di farsi restituire gli aumenti corrisposti finora?
L’indicazione che Federmeccanica sta dando alle imprese associate si pone esattamente nella logica della sentenza di Modena. Ai lavoratori che rifiutano il nuovo contratto collettivo del 2009, si riconosce la perdurante applicabilità di quello del 2008, fino alla sua scadenza al 31 dicembre 2011, ma si chiede anche la restituzione degli aumenti retributivi percepiti in applicazione del contratto rifiutato. Qui va messa in conto, tuttavia, un’altra possibile complicazione: i lavoratori che rifiutano il contratto collettivo del 2009 potrebbero sostenere – un po’ paradossalmente – che l’aumento retributivo disposto da questo contratto inefficace nei loro confronti sia comunque dovuto, a norma dell’articolo 36 della Costituzione, sotto il profilo della “giusta retribuzione”.
Quale probabilità avrebbe questa rivendicazione retributiva di essere accolta dai giudici?
Sarebbe una tesi molto opinabile: in sostanza il lavoratore chiederebbe al giudice di considerare come parametro per la determinazione della “giusta retribuzione” dovuta a norma dell’articolo 36 della Costituzione proprio quel contratto collettivo di cui egli rinnega l’efficacia nei propri confronti. Questa tesi, a mio avviso, è giuridicamente errata: essa avrà dunque più probabilità di essere disattesa dai giudici del lavoro che di essere accolta. Ma qualche giudice disposto ad accoglierla, come è accaduto ieri a Torino, può sempre esserci. Anche questa considerazione contribuisce a sottolineare la necessità urgente di norme semplici e chiare in materia di rappresentanza sindacale ed efficacia della contrattazione collettiva.
Qualcuno ipotizza che l’esclusione dei dissenzienti dal godimento dell’aumento disposto dal contratto del 2009 possa configurare una discriminazione antisindacale.
Su questo punto dissento nettamente: dieci anni fa ho affrontato proprio questa questione in uno scritto [Che cosa è discriminazione antisindacale e che cosa no – n.d.r.] nel quale mi sono proposto di mostrare che proprio il principio di libertà sindacale può imporre all’impresa di applicare un contratto collettivo invece di un altro, per effetto della scelta sindacale compiuta dal lavoratore. E osservavo che una differenziazione del trattamento nascente da una libera scelta del lavoratore non può evidentemente essere qualificata come discriminazione ai suoi danni. D’altra parte, come anche la sentenza del Tribunale di Modena pone in evidenza, il contratto collettivo del 2008, insieme al minor livello retributivo rispetto a quello del 2009, presenta alcuni aspetti di maggior protezione. Il contratto va applicato nella sua interezza, se non si vuole alterare l’equilibrio negoziale. Non si può consentire né al datore né al prestatore di lavoro di cogliere fior da fiore, prendendo da un contratto collettivo quel che fa più comodo e scartandone quel che fa meno comodo.
Veniamo alla vicenda Fiat. Anche lì carte bollate. Qual è la sua prognosi riguardo al ricorso della Fiom sulla questione del passaggio dei dipendenti Fiat alle Newco?
La Fiat sostiene che in questo caso non si verifica il “trasferimento d’azienda” previsto dall’articolo 2112 del codice civile, quindi non c’è passaggio diretto di lavoratori dalla vecchia impresa alla nuova, dal momento che tutta la nuova strumentazione produttiva, con gli ingentissimi investimenti necessari, sarà fornita dalla newco, ovvero dalla società che assume i lavoratori. Come ho rilevato già l’anno scorso, all’indomani della stipulazione dell’accordo di Mirafiori, replicando a una nota di Luigi Mariucci, questa tesi potrebbe essere disattesa dal giudice del lavoro, il quale (rifacendosi soprattutto a un orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia di europea) ritenesse che comunque vi sia trasferimento di azienda per il solo fatto che la nuova impresa assume tutti o la maggior parte dei dipendenti della vecchia impresa. Una decisione giudiziale in questo senso avrebbe però soltanto l’effetto di obbligare la Fiat ad esperire la procedura di consultazione sindacale preventiva (coinvolgendo in essa anche la Fiom) e riconoscere la continuità di tutti i rapporti di lavoro, ma – per il motivo detto sopra – non avrebbe effetti sul trattamento economico dei lavoratori.
Ma se c’è trasferimento d’azienda, a norma del codice civile, i lavoratori hanno il diritto di conservare il contratto collettivo nazionale applicato nell’azienda di origine, fino alla sua scadenza.
Salvo che il giudice consideri come “contratto collettivo nazionale” quello qualificato come “contratto di primo livello” – cioè di livello nazionale, appunto – che è stato stipulato con Fim-Cisl e Uilm per tutte le Newco.
Qui però la Fiom sostiene che un contratto come quello, stipulato da una sola azienda – la Fiat – non può essere qualificato come contratto nazionale.
Ci sono già altri esempi, in passato, di contratti stipulati da una sola grande azienda, che sono stati considerati come contratti nazionali: per esempio quello dei telefonici, stipulato dalla vecchia Sip. La questione, comunque, è molto opinabile. Se il giudice accogliesse la tesi della Fiom, resterebbe applicabile fino alla fne del 2112 il contratto collettivo nazionale stipulato dalla Confindustria con Fim-Cisl e Uilm nel 2009. E per gli iscritti alla Fiom resterebbe applicabile quello stipulato dalla Confindustria nel 2008.
Potrebbe la Fiat evitare quest’ultimo effetto disaffiliandosi anch’essa dalla Confindustria prima del passaggio dei lavoratori alle Newco?
Non direi, perché l’uscita da Confindustria non farebbe cessare l’applicazione del contratto collettivo nazionale attualmente in vigore per i rapporti di lavoro che fanno capo alla Fiat.
Un bel pasticcio. Come se ne può uscire?
Lo dico da molto tempo: l’unica soluzione è una legge sindacale semplice e snella, come quella delineata nel mio disegno di legge n. 1872/2009, che attribuisca in modo netto al contratto collettivo aziendale stipulato da una coalizione sindacale maggioritaria il potere di disciplinare i rapporti di lavoro nell’unità produttiva a 360 gradi, sostituendosi integralmente al contratto collettivo nazionale. E’ quanto accade da anni in Germania. Una legge come questa scioglierebbe come d’incanto il groviglio contrattuale che si è determinato alla Fiat, evitando la disarticolazione totale del nostro sistema delle relazioni industriali.