CORRIERE DI FIRENZE: IL RUOLO DEL METODO SPERIMENTALE PER IL PROGRESSO DELLA LEGISLAZIONE DEL LAVORO
Un approccio non ideologico, pragmatico, per innovative politiche sul lavoro. Di questo si discute al convegno organizzato da Convegno promosso da Fondazione Giuseppe Pera, Banca d’Italia e Centre for Economic Policy Research-Cepr di Londra, su The Role of Experiments for the Advancement of Effective Labor Legislation, che si è svolto nella giornata di ieri e oggi a Lucca. E il professor Pietro Ichino, senatore Pd e giuslavorista, l’ha spiegato nella sua relazione: il problema principale di questo nuovo approccio è che è anche difficile comunicarlo.
Perché?
Perché all’opinione pubbica manca un’informazione importante e sorprendente: il metodo sperimentale, ormai universalmente riconosciuto e applicato da mezzo secolo in campo medico, incomincia a essere applicabile anche nel campo delle scienze sociali, per misurare gli effetti delle nuove norme o iniziative di governo del mercato del lavoro.
Ci può fare un esempio di un approccio “sperimentale”?
Il disegno di legge n. 2102 presentato da Enrico Morando e altri al Senato l’anno scorso prevede un esperimento, affidato alla gestione e controllo della Banca d’Italia, per verificare se e quanto una riduzione dell’imposta sui redditi delle lavoratrici possa produrre un aumento del tasso di occupazione femminile, che in Italia oggi è patologicamente basso, E se e quali effetti collaterali una misura di questo genere possa produrre. Un esperimento di questo genere, condotto secondo il metodo del confronto tra i comportamenti di un campione “trattato” e di un campione statisticamente identico “non trattato”, è l’unico modo per stabilire se questa misura vada considerata come una discriminazione, quindi illegittima, oppure una azione positiva, capace di aiutare il nostro Paese ad adempiere l’obbligo verso l’Unione europea di portare il tasso di occupazione femminile dall’attuale 46 per cento al 60.
Come è possibile applicare i metodi della sperimentazione medica nel campo dellepolitiche sul lavoro?
Il convegno internazionale che si sta svolgendo a Lucca proprio in questi giorni mira proprio a rispondere a questa domanda: le due relazioni e le sette comunicazioni degli economisti mostrano proprio i metodi sperimentali di cui oggi disponiamo, applicati ad esempio per la misurazione degli effetti degli standard retributivi minimi, delle possibili misure contro l’assenteismo abusivo, della disciplina dei licenziamenti. E i giuristi discutono delle questioni giuridiche che si pongono in riferimento a questi esperimenti.
Uno dei problemi è il rapporto tra economisti e giuristi: spesso sono gli uni contro gli altri armati, si considerano reciprocamente eretici. Il risultato è l’assenza di riforme. Come superare questo gap?
Cercando di capirsi gli uni gli altri. Questo comporta per prima cosa costruire un linguaggio comune a giuristi ed economisti: oggi gli uni addirittura stentano a capire che cosa dicono gli altri. Anche per questo il convegno di Lucca promosso dalla Fondazione Giuseppe Pera con la Banca d’Italia e il Cepr costituisce una tappa molto importante.
Ma per rendere concretamente utilizzabile questo approccio sperimentale, non è necessario cambiare prima la Costituzione?
No: la relazione di Francesco Clementi è dedicata a mostrare che già oggi la norma sperimentale, se è basata su di un ragionevole progetto di anticipazione e verifica dei contenuti di una riforma di carattere generale, è pienamente compatibile con i principi costituzionali.