SE VOGLIAMO CHE TORINO RIMANGA LA SEDE CENTRALE DELLA FIAT, DOBBIAMO FAR SI’ CHE GLI STABILIMENTI ITALIANI SIANO ALTAMENTE COMPETITIVI E CHE NON RISULTI GENERALEMENTE PIU’ CONVENIENTE AL GRANDE GRUPPO AUTOMOBILISTICO EMIGRARE ALTROVE
Intervista a cura di Lisa Jucca, in corso di pubblicazione sul Network Reuters
Marchionne e’ riuscito, sta riuscendo a fare una “rivoluzione” o no? Cosa cambia a livello pratico con l’applicazione del “contratto Marchionne”?
La vicenda Fiat sta segnando una svolta importante nel sistema italiano delle relazioni industriali. In sostanza, soprattutto nel settore industriale, si sta spostando verso la periferia il baricentro della contrattazione collettiva. In particolare, si sta allargando molto la possibilità di stipulare contratti aziendali contenenti disposizioni in contrasto con il contratto nazionale in materia di organizzazione e tempi di lavoro, struttura della retribuzione, inquadramento professionale, e altro ancora.
Lei dice nelle sue interviste che il modello Marchionne non e’ applicabile ad altre realta’ Italiane: perche? Sara’ un esercizio sterile?
Non mi sembra di avere mai detto questo. Ho detto, invece, che mi sembra più probabile una imitazione del modello Marchionne da parte di grandi multinazionali che verranno a investire in Italia d’ora in poi, piuttosto che da parte di imprese italiane già insediate da tempo in questo Paese.
Perche’ le grandi multinazionali potrebbero essere interessate a questi cambiamenti se non vengono applicati alle aziende italiane? Non mi sembra ci sia molto interesse da parte dei nostri partner esteri ad avere nient’altro che reti commerciali in Italia e la produttivita’ delle aziende manifatturiere italiane e’ bassa.
Le grandi multinazionali possono essere interessate a insediare in Italia i loro nuovi stabilimenti, anche di natura industriale, negoziando a 360 gradi le condizioni di lavoro e di retribuzione, anche in deroga al contratto collettivo nazionale. Questo interesse permane anche se tutt’intorno le aziende italiane restano legate al contratto nazionale.
La Fiat potrebbe spostare il suo quartier generale negli Stati Uniti dopo la fusione con Chrysler: che cosa cambierebbe per l’Italia? Is this the kiss of death for Italy?
Una multinazionale può sempre compiere una scelta di questo genere: la dislocazione della sua sede centrale dipende da quella del baricentro produttivo e commerciale del gruppo. Se vogliamo che il quardier generale delle Fiat rimanga a Torino, la sola cosa che dobbiamo fare è cercare di far sì che gli stabilimenti italiani del gruppo funzionino benissimo, in modo da trattenere in casa nostra il baricentro degli affari del gruppo. O quanto meno uno dei suoi centri decisionali maggiori.
Lei parla di altre realta’ meno note che gia’ stanno applicando il modello Marchionne: quali sono? Che cosa hanno fatto?
La Cisl ha pubblicato un elenco di molte decine di imprese metalmeccaniche, le quali negli ultimi anni hanno negoziato con i sindacati – Fiom compresa – deroghe anche molto rilevanti al contratto nazionale. Ce ne sono poi altre, come Luxottica, che si sono collocate del tutto fuori dal sistema di relazioni industriali che fa capo a Confindustria e Confcommercio. Certo, tutte queste sono realtà industriali di dimensioni molto minori rispetto al colosso Fiat-Chrysler.
Crede che il governo, i politici in genere e i sindacati abbiano sprecato un’opportunita’ nel lasciare l’iniziativa su questi importanti temi ad un manager?
I sindacati sono più d’uno. E di questi, alcuni hanno colto l’opportunità firmando gli accordi, altri – la Fiom, i Cobas – hanno preferito rifiutarla; ma per fortuna ha prevalso il “sì” nei referendum, e così l’opportunità non è stata persa. Quando al Governo nazionale, mi sembra che – con la sua inerzia – esso stia perdendo l’occasione offerta da questa importante vicenda per promuovere una riforma generale del sistema delle relazioni industriali che lo renda meno vischioso e inconcludente. L’ideale è che questa riforma nasca da un accordo interconfederale; ma se questo non arriva, occorre che, sia pure in via provvisoria e sussidiaria, a provvedere sia il legislatore.