OGGI NON SERVONO NUOVE SANZIONI AMMINISTRATIVE O PENALI: OCCORRE RAFFORZARE LA DOMANDA DI LAVORO APRENDO IL PAESE AGLI INVESTIMENTI STRANIERI, SEMPLIFICARE LA LEGISLAZIONE VIGENTE PER RIDURRE I COSTI DI TRANSAZIONE E I DIAFRAMMI TRA DOMANDA E OFFERTA REGOLARI, RAFFORZARE L’ATTIVITA’ ISPETTIVA DI CONTROLLO CON ADEGUATI TRASFERIMENTI INTERNI ALLE AMMINISTRAZIONI DEL LAVORO
Intervista a cura di Antonella Folgheretti, pubblicata sul mensile Il Sud – aprile 2011
La proposta di legge contro il caporalato della Cgil a che cosa realmente può servire?
L’intendimento che la Cgil persegue con questo progetto di legge è condivisibile. Temo, però, che esso soffra di un “peccato” tradizionalmente proprio di gran parte del sindacato e delle forze politiche: l’idea, cioè, che i problemi del funzionamento del mercato del lavoro possano essere affrontati e risolti ricorrendo principalmente allo strumento legislativo e alle sanzioni giuridiche. Non è così: la legge non può tutto. Soprattutto in questo campo.
Quali possono essere altri interventi efficaci?
Occorre al tempo stesso rafforzare la domanda di lavoro e rafforzare i servizi di informazione, formazione e orientamento professionale per i lavoratori, in modo che siano essi stessi a poter scegliere il datore di lavoro migliore. Inoltre occorre una maggiore e migliore capacità amministrativa di controllo.
Incominciamo dal rafforzamento della domanda di lavoro. Come?
Sarebbe importantissimo che le regioni meridionali imparassero ad aprirsi agli investimenti stranieri: questo richiederebbe, per un verso, una disciplina del rapporto di lavoro più semplice e traducibile in inglese; per altro verso un sistema di relazioni industriali meno vischioso e inconcludente rispetto al nostro attuale, un sindacato capace di negoziare a 360 gradi con gli investitori stranieri, senza preclusioni e senza paraocchi. Sei anni fa ho dedicato un libro a questo tema (A che cosa serve il sindacato, Mondadori, 2005 – n.d.r.). Naturalmente, anche i poteri pubblici devono fare la propria parte, sul terreno dei servizi e delle infrastrutture.
Veniamo all’altro versante: la maggiore capacità amministrativa di controllo. Si riferisce alla funzione ispettiva?
Sì. E su questo terreno anche il sindacato confederale ha delle responsabilità. Nel 1997, quando con la legge Treu è stato abrogato il monopolio statale dei servizi di collocamento, ci siamo trovati con quasi diecimila addetti ai servizi pubblici di collocamento sovrabbondanti rispetto alle esigenze di quei servizi, mentre avevamo allora soltanto 1.500 ispettori del lavoro, del tutto insufficienti rispetto alle esigenze effettive. Sarebbe bastato trasferire migliaia di “collocatori” alla funzione di assistenti degli ispettori, per moltiplicare per due o per tre l’efficienza dei servizi ispettivi. Se non lo si è potuto fare, è anche per il veto che allora i sindacati della funzione pubblica posero contro il trasferimento d’ufficio. Osservo, poi, che questo non avrebbe comportato, e tuttora non comporterebbe, alcuno spostamento geografico particolarmente oneroso: soltanto il trasferimento dall’ufficio del lavoro all’ispettorato del lavoro nell’ambito della stessa città.
L’introduzione del reato di clandestinità rende oggi assai improbabile che uno straniero clandestino denunci la propria condizione di lavoratore in nero. La prestazione lavorativa viene dunque privata di qualunque tutela giurisdizionale…
Anche questo costituisce un potentissimo fattore di diffusione del lavoro nero. Ma non c’è solo la normativa sull’immigrazione a creare un diaframma pesante tra domanda e offerta di lavoro, favorendo la fuga nel sommerso. Ci sono anche alcuni standard di trattamento negoziati dai rappresentanti degli insiders senza tenere adeguatamente conto degli interessi degli outsiders. E alcuni costi di transazione generati dalla disciplina legislativa e collettiva, che potrebbero essere agevolmente eliminati con un nuovo testo unico semplificato delle norme sul lavoro: per questo due anni fa ho presentato, insieme a sessanta altri senatori, il disegno di legge (n. 1873/2009) per un nuovo Codice del lavoro, che consentirebbe la sostituzione di gran parte delle norme legislative di fonte nazionale con settanta articoli semplici, chiari e traducibili in inglese.