SULLA QUESTIONE DEI GIORNI DI “CARENZA” PER MALATTIA

UNA RIDUZIONE DEL TRATTAMENTO RETRIBUTIVO PER IL PRIMO O I PRIMI DUE GIORNI DI ASSENZA BREVE PER MALATTIA, COMPENSATA DA UN AUMENTO DEL TRATTAMENTO RETRIBUTIVO CORRISPONDENTE AL RISPARMIO CHE NE DERIVA PER L’IMPRESA, PUO’ COSTITUIRE LO STRUMENTO PIU’ EFFICACE PER COMBATTERE L’ASSENTEISMO ABUSIVO

Intervista a cura di Cristina Casadei pubblicata sul Sole 24 ore il 23 marzo 2011


«Non esiste al mondo alcuna forma possibile di controllo ispettivo sulla denunciata emicrania o lombalgia della durata di un giorno. Dunque, quando si osservi una evidente intensificazione delle assenze in corrispondenza con un evento esterno “non epidemico”, la sola contromisura ragionevolmente possibile all’abuso può consistere nell’istituzione della franchigia retributiva per la giornata di malattia per la quale il certificato medico è svalutato dalle circostanze». La proposta del giuslavorista Pietro Ichino per ora non ha trovato un’applicazione ma certo è che le trattative dei negoziati di primo e secondo livello degli ultimi mesi hanno lanciato l’affondo sulla malattia breve.

Professore Ichino in che cosa consiste la “franchigia assicurativa”?
Il contratto di lavoro subordinato, per questo aspetto, funziona come la polizza di una assicurazione: l’imprenditore si impegna a coprire il “sinistro” costituito dalla malattia del dipendente, pagandogli l’intera retribuzione nonostante l’astensione dal lavoro. Nella contrattazione di secondo livello il premio di presenza non è altro che una franchigia marginale, una riduzione della copertura assicurativa.

Perché in Italia bisogna legare il premio di risultato alla presenza?
Non solo in Italia. È una franchigia anche la regola che azzera o riduce la retribuzione per il primo o i primi due giorni di assenza per malattia, che è in vigore in altri ordinamenti europei, come quello britannico. Concettualmente, si tratta della stessa cosa.

Questo del pagamento dei primi tre giorni di malattia, il tema della cosiddetta “carenza”, è stato ridiscusso in un grande contratto nazionale, quello del commercio. Perché questo avviene, secondo lei?
Perché, come molte altre polizze assicurative, anche questa polizza implicita nel contratto di lavoro subordinato può presentare problemi – diciamo così – di eccesso di disinvoltura da parte dell’assicurato: quello che gli economisti chiamano il “moral hazard“. In questo caso il problema è quello dell’assenza breve, di un solo giorno, per una emicrania, una lombalgia, o un forte mal di denti. Nessuna visita ispettiva può impedire la simulazione di questo genere di impedimento. E il diffondersi dei casi di abuso fa aumentare il costo della copertura assicurativa. Non è un caso che il tasso delle assenze brevi nel Regno Unito sia la metà rispetto al nostro: è un effetto della franchigia, o “carenza”, che lì si applica sui primi due giorni di assenza per malattia.

Quindi il commercio sta adottando la ricetta britannica?
È una ricetta che avevo proposto in un libro pubblicato sei anni fa (A che cosa serve il sindacato, Mondadori, 2005, § 42, pp. 135-138 – n.d.r. ). Allora ho mostrato come l’introduzione di questa franchigia possa portare a una riduzione significativa del “premio assicurativo” implicito pagato dai lavoratori, cioè a un aumento complessivo della retribuzione, anche per chi faccia registrare un tasso di assenze brevi di poco superiore alla media. Gli unici che ci rimettono per davvero sono gli assenteisti abusivi.

Crede che la strada aperta dal commercio potrebbe tirare la volata alla revisione della disciplina contrattuale della malattia, e in particolare alla revisione dell’istituto della carenza, per altri contratti, per esempio quello dei metalmeccanici?
Sì. Non ci sarebbe nulla di illegittimo, dal momento che la legge italiana lascia una libertà totale alla contrattazione collettiva circa il trattamento retributivo per i primi tre giorni di malattia. La reintroduzione di una franchigia totale o parziale sul primo o i primi due giorni non sarebbe un male, per allineare i nostri tassi di assenze brevi a quelle dei Paesi europei più virtuosi. Questo può contribuire ad allineare anche le nostre retribuzioni a quelle di quei Paesi. Ma per evitare guerre di religione avrei una proposta: applichiamo il metodo sperimentale. Sperimentiamo per un anno la franchigia con corrispondente aumento retributivo su di un campione ben individuato e confrontiamo i risultati con un campione identico “non trattato”. Poi decidiamo pragmaticamente, sulla base dell’esito dell’esperimento. Il 25 e 26 marzo prossimo si svolgerà a Lucca un convegno internazionale in cui si discuterà proprio di questo.

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