“VOTO ALTERNATIVO” E “VOTO SINGOLO TRASFERIBILE”: DUE NUOVI MODELLI A CONFRONTO

UN INTERVENTO INTERESSANTE, A SEGUITO DI QUELLO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, SU DUE IPOTESI DI RIFORMA CHE CONSENTONO ENTRAMBE LA “SECONDA SCELTA” DELL’ELETTORE, MA NEL CONTESTO DI SISTEMI ELETTORALI MOLTO DIVERSI TRA LORO

Articolo di Massimiliano Melley pubblicato su libertiamo.it il 15 marzo 2011

Se perfino la Cei interviene sulla riforma del voto (per incoraggiare un sistema che avvicini i candidati ai cittadini, permettendo a questi ultimi di scegliere i primi), vuol dire che il Paese può essere pronto, per davvero, a una riforma della legge elettorale.
Quella in vigore, che pure sembrerebbe inchiodare il Parlamento a una maggioranza stabile, in realtà non ha dato buon esito, non tanto per colpa della formula, quanto per via della complessità del Paese, che il sistema dei partiti, adeguandosi alla legge elettorale, non riesce a intercettare.
Dopo le elezioni del 2006 Prodi si trovò col Senato in bilico e gli giunsero guai sia dall’estrema sinistra sia dal centro del suo schieramento. Dopo quelle del 2008, Berlusconi si trovò con Camera e Senato saldamente governativi ma intervenne il disagio di una parte del PdL: il premier scelse di non coglierne i tratti positivi e propositivi e dovette infine ricorrere a nuovi innesti (il gruppo dei Responsabili, meglio noti come ‘Disponibili’) per salvare la sua maggioranza.
L’Irlanda ha appena eletto la sua Camera bassa (il Dail) col sistema del Voto Singolo Trasferibile (di seguito: VST), in uso anche a Malta e per il Senato australiano. E il Regno Unito si troverà a breve a votare (via referendum) l’introduzione del Voto Alternativo (di seguito: VA) al posto del celebre “modello Westminster” (maggioritario secco a un turno).
Esiste in Senato una proposta di legge per l’introduzione del VA in Italia, mentre Bill Emmott  ha recentemente suggerito agli italiani di adottare il VST. Occorre rifletterci. Si tratta di due opzioni interessanti, che vanno però in direzioni diverse. Li accomuna il modo di votare: l’elettore non fa più una scelta secca, ma ordina le sue preferenze tra i candidati (non per forza tutti) presenti sulla scheda.
Il VA è però un sistema maggioritario, e questo fa comprendere perché nel Regno Unito sia l’opzione preferita. Il VST è un sistema proporzionale. La differenza fondamentale è infatti che con il VA il collegio elegge un solo deputato, con il VST più d’uno (in Irlanda, per esempio, da tre a cinque).
Il VA assomiglia a un sistema maggioritario a doppio turno, evitando però il turno di ballottaggio. Se infatti nessun candidato ottiene, al conteggio delle prime preferenze, più del 50% dei voti, si prendono le schede in cui viene preferito l’ultimo arrivato e si assegnano le seconde preferenze date agli altri. Se ancora nessun candidato supera il 50% dei voti, si procede allo stesso modo col penultimo arrivato. Il ballottaggio ha lo stesso meccanismo: vi accedono soltanto i due più votati, e si chiede a tutti gli elettori (compresi quelli dei candidati scartati) di ripronunciarsi. Ma il VA evita il costo del ballottaggio e il naturale aumento dell’astensione.
Il VST funziona quasi allo stesso modo, con queste varianti: si stabilisce la Droop Quota, cioè la quota minima per essere eletti al primo conteggio, con la formula (voti validi/seggi +1) +1. Ad esempio: se i voti validi sono 36.000 e i seggi sono 3, la quota minima è 9001 voti. Il senso della Droop Quota è che, nell’esempio, non ci saranno 4 candidati che la superano.
Se nessun candidato conquista più voti della quota, vengono trasferiti (in base alle seconde preferenze) tutti i voti del candidato meno votato, che viene eliminato.
Se invece un candidato conquista più voti della quota, è proclamato eletto e i voti in eccesso non vengono “scartati” ma trasferiti agli altri candidati, basandosi sulle seconde preferenze.
Nella Repubblica irlandese vengono considerate le ultime schede scrutinate in eccesso, affidando in parte al caso le seconde preferenze. Ma in Irlanda del Nord e altrove si considerano tutte le schede, frazionandole. Se per esempio l’eccesso è di 100 schede su 1000, cioè 1/10, si calcolano le seconde preferenze su tutte e 1000 le schede e poi si considera 1/10 di quanto calcolato.
Tali conteggi (o con l’eliminazione dell’ultimo rimasto o con l’attribuzione delle seconde preferenze del neo-eletto agli altri) continuano finché non si stabiliscono tutti gli eletti del collegio.
Il sistema del VST porta i partiti a candidare più d’una persona nello stesso collegio, poiché si tratta di collegi plurinominali, cioè che eleggono più d’un deputato.
Entrambi i sistemi presuppongono candidati legati al territorio, anche al di fuori dei partiti. Alle elezioni del 2011 del Dail irlandese, ad esempio, l’8,5% degli eletti (pari a 14 deputati) è indipendente. E in entrambi i casi all’elettore è consegnato uno strumento forte e completo per esprimere la sua preferenza a tutto campo. Sarà l’elettore a decidere se premiare chi lavora bene per il territorio, chi lavora bene per il Paese o entrambe le cose insieme, scegliendo sia l’uno sia l’altro (pur con un ordine).
John Locke amava il VST perché consente a personalità esterne ai partiti di farsi eleggere con una certa facilità e perché abitua i cittadini a pensare in termini di candidati e non di partiti, ovvero a staccarsi dallo scontro quotidiano tra le fazioni.
Il fatto che un dato sistema funzioni molto bene in un luogo non porta di per sé a ritenerlo esportabile ovunque: c’è di mezzo la differente cultura politica, le differenti dimensioni dello Stato, la storia differente e via dicendo. Così come in genere il sistema elettorale non modifica la cultura politica di un Paese. E quindi, ad esempio, è arduo rendere governabile uno Stato ingovernabile e frammentato soltanto per mezzo di un nuovo sistema elettorale. Si veda come esempio l’introduzione del maggioritario nella Seconda Repubblica italiana.
Occorre quindi, al di là delle caratteristiche di un sistema elettorale, sviscerare i possibili effetti sul caso italiano.
Il VST in particolare porterebbe specifici vantaggi all’Italia. Primo: potrebbe favorire la tolleranza tra i partiti spostando parte dello scontro elettorale sui singoli candidati. Secondo: potrebbe permettere l’emergere di visioni differenti all’interno del medesimo partito,  grazie al confronto tra i candidati. E potrebbe perfino valorizzarle, con l’effetto di non disperdere voti su altri partiti se il candidato unico non è gradito a una parte degli elettori di quel partito. Perché appunto il candidato unico (come nei collegi maggioritari) non c’è. Terzo: il VST premierebbe in alcuni casi gli indipendenti.
C’è un punto dolente, rappresentato da quelle zone del Paese in cui la criminalità organizzata ha un forte potere di condizionamento della politica. Un potere che, come si sa, viene esercitato anche in occasione delle elezioni. L’obiezione più comune a qualunque ritorno alle preferenze (e quindi anche all’eventuale adozione del VST o del VA) è proprio che si accentuerebbe la possibilità della criminalità organizzata di influenzarle. Questo è un problema molto serio.
C’è però da dire che le liste bloccate non eliminano affatto il problema, anzi semmai lo aumentano. Con le liste bloccate, infatti, le mafie, oltre comunque a continuare a controllare i voti, devono intervenire anche a un livello più “alto”, cioè di composizione delle liste, per assicurarsi il controllo di almeno alcune delle posizioni di vertice delle liste stesse. Quindi a me non pare che la “lista bloccata” sia preferibile alle preferenze nell’ambito della lotta alle commistioni tra Stato e mafie.
La scelta tra VA e VST passa attraverso una più generale scelta tra un sistema maggioritario e un sistema proporzionale. Sto da sempre col sistema maggioritario, per cui credo che la scelta del VA sia giusta. Tuttavia penso che, rispetto al sistema (proporzionale con premio di maggioranza) attualmente in vigore, il VST sia migliore. Certo, la governabilità irlandese ha beneficiato, più che dell’uso del VST, della presenza di un partito-guida della Nazione (il Fianna Fail), fino alla disfatta annunciata di febbraio 2011. In Italia manca (per fortuna, direi) un partito-guida e ciò significherebbe un aumento, forse, della conflittualità in Parlamento, una volta che le elezioni si sono tenute. E’ forse questa la ragione per cui Pietro Ichino e Sefano Ceccanti hanno preferito il VA nella loro proposta di legge.
Il punto, però, su cui il VA è più debole del VST è che, eleggendo un solo deputato per ogni collegio, spinge i partiti a presentare un solo candidato, mentre il VST consente la rappresentanza, almeno in sede elettorale, delle varie anime di un partito.

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