ALIQUOTE ROSA MEGLIO DELLE QUOTE

GLI AUTORI DE L’ITALIA FATTA IN CASA INTERVENGONO NEL DIBATTITO SULL’OPPORTUNITA’ DELL’IMPOSIZIONE DI QUOTE MINIME DI PRESENZA FEMMINILE NEI CONSIGLI DI AMMINISTRAZIONE DELLE IMPRESE MAGGIORI – E RILANCIANO LA PROPOSTA CONTENUTA NEL LORO LIBRO, RIPRESA NEI DISEGNI DI LEGGE GERMONTANI E MORANDO, DI UNA DETASSAZIONE SELETTIVA DEI REDDITI DI LAVORO FEMMINILE COME AZIONE POSITIVA PER L’ALLINEAMENTO DEL TASSO ITALIANO DI OCCUPAZIONE FEMMINILE ALL’OBIETTIVO EUROPEO DEL 60 PER CENTO

Articolo di Alberto Alesina e Andrea Ichino, pubblicato sul Sole 24 Ore l’8 marzo 2011


La legge sulle “quote rosa” nei consigli di amministrazione ha un importante valore simbolico ma non cambierà il fatto che il tasso di occupazione delle donne in Italia è fra i più bassi dei paesi Ocse e ben al di sotto della media europea. L’occupazione femminile non può aumentare con le quote rosa perché la loro rigidità ha costi elevati per le imprese. Avrebbe senso imporre quote rosa in tutte le aziende e a tutti i livelli? Evidentemente no.
Da alcuni anni abbiamo proposto una strada alternativa: una riduzione fiscale a favore delle donne che lavorano. La perdita di gettito per lo Stato sarebbe limitata perché tutte le indagini empiriche dimostrano che l’offerta di lavoro femminile risponde molto più di quella maschile a variazioni del salario netto. Quindi una riduzione delle aliquote sulle donne farebbe crescere l’occupazione femminile aumentando la corrispondente base imponibile. La limitata perdita di gettito potrebbe essere compensata con riduzioni di spesa che molti comunque auspicano. Ma anche a spesa pubblica invariata, le aliquote sul lavoro maschile dovrebbero essere aumentate di poco per mantenere la parità di gettito.
Il “miracolo” sta nel fatto che basterebbe aumentarle molto meno di quanto sarebbero diminuite quelle femminili, perché l’offerta di lavoro maschile è rigida, ovvero gli uomini continuerebbero a lavorare anche con aliquote più alte e quindi la loro base imponibile non si ridurrebbe. In questo modo i redditi familiari delle coppie aumenterebbero al netto delle tasse perché diminuirebbe la pressione fiscale media per la coppia. E nelle coppie diventerebbe meno scontato che il ruolo di bread winner debba essere sempre affidato al maschio.
Esattamente opposto sarebbe l’effetto di una riforma della tassazione dei redditi familiari basata sul metodo del quoziente familiare, che occasionalmente viene menzionata tra gli obiettivi futuri del governo. Il cumulo dei redditi dei conviventi che questo metodo implica farebbe automaticamente aumentare l’aliquota marginale sul reddito di chi guadagna meno in famiglia, ossia, generalmente, le donne, che verrebbero ancor più allontanate dal mercato del lavoro.
Agire con la leva fiscale invece che con le quote rosa lascia al datore di lavoro la flessibilità di scelta su chi assumere, cambiando però gli incentivi. Se il lavoro femminile costa meno (al lordo delle imposte) il datore di lavoro troverà conveniente assumere più donne, e più donne saranno disponibili a lavorare. Si tratta, in altre parole, di una riduzione del cuneo fiscale che, se concentrata sul lavoro femminile, avrebbe effetti espansivi notevolmente maggiori. L’imposizione di quote rosa invece è troppo rigida perché non consente al mercato di assestarsi al punto il cui il valore della produttività del lavoro femminile è uguale al suo costo (ridotto appunto dallo sgravio fiscale). La superiorità di incentivi che agiscono sui prezzi (in questo caso il salario delle donne) rispetto a quote rigide sono ben noti nell’ambito della teoria economica.
Il problema però non è solo quello di far salire la partecipazione femminile al mercato del lavoro, ma è anche quello dei “soffitti di vetro” ovvero la discriminazione contro le donne al momento delle promozioni ai livelli più alti. La tassazione differenziata consentirebbe di affrontare anche questo problema modulando opportunamente la differenziazione delle aliquote in modo che generi gli effetti desiderati proprio ai livelli di carriera dove più sono necessari.
Quando avanzammo questa proposta, vi fu un alzata di scudi che sosteneva l’incostituzionalità di una differenziazione delle tasse in base al sesso. Col tempo la proposta è stata accolta in due diversi progetti di legge i cui primi firmatari sono la senatrice Maria Ida Germontani (Fli) e il senatore Enrico Morando (Pd). Recentemente, con una maggioranza bipartisan, il Parlamento ha approvato la legge sugli incentivi al rientro dei cervelli (prima firmataria l’onorevole Alessia Mosca del Pd). Questa legge introduce aliquote fiscali diverse a seconda del sesso dei ricercatori che vogliono rientrare: più alte per gli uomini e più basse per le donne. Evidentemente l’incostituzionalità non sussiste perché nessuno ha obiettato. Superato questo scoglio, quindi, perché non affiancare alle quote rosa nei consigli di amministrazione le “aliquote rosa” per tutte le lavoratrici?

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