AL COLLASSO DELLA “RIFORMA BRUNETTA” OCCORRE RISPONDERE CON UN RILANCIO DECISO DELLE PAROLE D’ORDINE DELLA TRASPARENZA, VALUTAZIONE INDIPENDENTE, BENCHMARKING E SPENDING REVIEW, CLAMOROSAMENTE DISATTESE DAL GOVERNO, E CONCENTRARE TUTTE LE RISORSE SU TRE OBIETTIVI PRIORITARI
Documento redatto da Pietro Ichino ed Enrico Morando, presentato dal Movimento Democratico come contributo all’assemblea programmatica del Partito Democratico svoltasi a Roma il 4 e 5 febbraio 2011
1. Perché la legge Brunetta ha fallito: rivitalizzare le amministrazioni pubbliche è possibile solo se le si governa guardandole con gli occhi degli utenti e dando voce agli utenti
Il ministro Brunetta verrà ricordato dagli italiani per le sue dichiarazioni clamorose, non per il cambiamento avvertito nella qualità dei servizi pubblici. Il fallimento della riforma che porta il suo nome ‑ ormai evidente – è dovuto al fatto che il progetto si è concentrato sul funzionamento interno all’apparato, su di una valutazione del singolo dipendente irrigidita in schemi burocraticamente predeterminati, con intento essenzialmente punitivo, in base a una filosofia grossolana del bastone e della carota. I cittadini non sono stati coinvolti e non hanno percepito alcun mutamento; sono stati lasciati di fatto con le medesime facoltà di prima della riforma, totalmente insufficienti (sul piano della partecipazione, dell’accesso, della valutazione, della messa in mora per le inefficienze e per i ritardi nei pagamenti ecc.). Per certi aspetti – la class action vistosamente inconcludente ‑ si sono sentiti addirittura presi in giro. E hanno assistito basiti al sabotaggio della riforma da parte del presidente del Consiglio e del ministro dell’Economia, che hanno sottratto i rispettivi dicasteri alla sua applicazione e poi hanno tolto la “carota” al ministro della Funzione pubblica, lasciandogli in mano solo un ormai inutile bastone.
Così la riforma ha mantenuto la sua credibilità per il tempo di un applauso: ad appena un anno dal suo varo è già considerata dalla società civile come “non pervenuta”.
Per affrontare in modo onesto e incisivo la questione, occorre tuttavia ricordare che anche il più recente tentativo del centro sinistra, nella passata legislatura, si è distinto per un difetto di visione grave. Anche il protocollo sul lavoro pubblico del 2007, sebbene contenesse indicazioni del tutto condivisibili, ignorava del tutto il cittadino come chiave di cambiamento: un documento siglato solo da politici e sindacati, che non tentava di stabilire forme nuove di coinvolgimento delle organizzazioni degli utenti, dei diritti, dei consumatori.
2. Costruire i quattro pilastri della riforma, che il Governo di centro-destra ha clamorosamente disatteso: trasparenza, valutazione, benchmarking e spending review
Nel 2008-2009 la maggioranza ha attinto dal disegno di legge del Pd (n. 746/2008) tre temi-cardine di quella che sarebbe diventata di lì a poco la legge Brunetta: trasparenza, valutazione e benchmarking comparativo. Nella fase di attuazione della legge, però, quei tre temi sono stati lasciati in ombra, quando non platealmente contraddetti (per esempio nella gestione delle consulenze, dove continuano ad annidarsi il peggiore clientelismo e i conseguenti sprechi di risorse e rendite parassitarie). Occorre rilanciarle non solo sul piano legislativo ed amministrativo, ma soprattutto nella cultura diffusa e nei comportamenti pratici di tutti gli addetti alle amministrazioni pubbliche di ogni livello. Questo è possibile, in particolare, attraverso:
· l’accesso alla documentazione amministrativa senza vincoli soggettivi e oggettivi.
· una campagna di informazione di massa circa la portata del principio di trasparenza totale e i modi in cui esso può essere esercitato da ogni cittadino;
· la pubblicazione chiaramente accessibile sul sito di ogni amministrazione dei servizi resi e dei termini massimi di conclusione, decorsi i quali il cittadino può chiedere di essere forfetariamente indennizzato;
· la pubblicazione di ogni atto di spesa – a pena di nullità dell’atto – sui siti istituzionali delle amministrazioni;
· la pubblicazione degli obiettivi individuali per ciascun responsabile o dirigente, determinata in contraddittorio con le associazioni di cittadini e utenti;
· la valutazione di ciascun dirigente in relazione al conseguimento degli obiettivi fissati;
· la pubblicazione on line quotidiana o settimanale di aggiornamenti sintetici (anche, per esempio, a mezzo twitter) sull’attività svolta nei singoli uffici, perché le forme della nuova comunicazione web non possono rimanere fuori dagli uffici pubblici, bensì concorrere a rafforzare la percezione esterna del lavoro amministrativo e aumentare anch’essa la trasparenza.
Alle tre parole d’ordine fondamentali contenute nel nostro d.d.l. n. 847/2008 deve oggi aggiungersi l’imperativo della sistematica spending review, che elimini ogni fenomeno di spesa pubblica inerziale: di ogni euro che esce da una amministrazione pubblica occorre verificare rigorosamente la congruità dei risultati utili per la collettività. Devono conseguirne scelte di governo coraggiose riguardo a che cosa debba essere prioritariamente potenziato, che cosa mantenuto e che cosa soppresso: l’esatto opposto della logica dei tagli lineari che non distinguono merito, priorità, differenze; e neppure servono a contenere e anzi ridurre la spesa primaria complessiva, se è vero che nell’ultimo decennio questa è cresciuta in media del 4 per cento ogni anno.
3. Razionalizzazione delle strutture amministrative
È possibile e urgente
· l’abolizione delle province nelle città metropolitane;
· l’unificazione degli uffici periferici dello Stato negli Uffici territoriali del Governo;
· l’unificazione dei corpi delle forze dell’ordine statali;
· superare la frammentazione delle amministrazioni municipali nei “Comuni polvere” che non raggiungono neppure lontanamente la soglia necessaria per sviluppare servizi adeguati;
· puntare alle infrastrutture territoriali già oggi consolidate, perché fungano da volano per l’aggregazione di queste amministrazioni “sotto la soglia minima”.
· Unificare gli Istituti previdenziali INPS e INPDAP.
· Realizzare una intensa mobilità del personale dell’intera Pubblica Amministrazione in ambito provinciale, imponendo ai dirigenti responsabili dei programmi di spesa e dei progetti di dar vita al necessario concerto.
Entro il 2020 le strutture della sanità territoriale dovrebbero essere ricondotte sotto il governo degli enti locali, obbligandoli ad associarsi su ambiti territoriali adeguati. Alle regioni deve rimanere il governo delle reti ospedaliere mentre i servizi del territorio devono unificarsi (servizi sanitari, sociali, per il lavoro) in case del welfare che possono essere il driver per una finalmente realizzata ottimizzazione del sistema amministrativo locale.
4. Tre priorità che diano la percezione del cambio di passo
Se è vero che il miglioramento continuo dell’amministrazione richiede un percorso stabile e duraturo su alcune direttrici (innovazione tecnologica, semplificazione e riduzione degli oneri burocratici, razionalizzazione degli apparati, standardizzazione delle procedure, liberalizzazioni, certezza sui tempi di conclusione delle procedure) è tuttavia fondamentale offrire al Paese una solida dimostrazione del cambiamento possibile, dopo un fallimento che rischia di pregiudicare ogni nuova iniziativa incisiva su questo terreno. Questo è possibile con tre grandi programmi di innovazione mirati ad allineare tre comparti dell’amministrazione statale ai migliori standard europei:
– amministrazione della giustizia: oltre a una razionalizzazione della distribuzione territoriale degli uffici, vanno generalizzati i criteri organizzativi già sperimentati con successo negli uffici giudiziari più virtuosi, dove si responsabilizzano i singoli magistrati rispetto a benchmark di efficienza normalmente dovuta e si sperimenta nella più larga misura possibile la concentrazione e trattazione sequenziale dei procedimenti, limitando il più possibile la trattazione “in parallelo” che porta alla moltiplicazione delle udienze e al conseguente allungamento ingiustificato dei tempi;
– servizi alle imprese: un programma in tre assi che preveda, entro il 2015 standardizzazione e semplificazione tra le 200 procedure autorizzatorie più onerose per il sistema produttivo (perché è federalismo al contrario quello che costruisce barriere all’ingresso o limita la mobilità d’impresa e gli investimenti per l’irragionevole differenziazione di procedure); la completa digitalizzazione nei rapporti tra impresa e PA in queste stesse procedure; la riorganizzazione dell’amministrazione statale (e in alcuni casi regionale) come promotore nei mercati all’estero;
– rete dei servizi alla prima infanzia e per le persone non autosufficienti: attraverso un piano nidi straordinario raggiungere entro il 2015 il target del 25 per cento di posti nido disponibili sulla popolazione 0-2 anni – anche attraverso servizi alternativi per la prima infanzia – ed il 40 per cento entro il 2020, come media nazionale. Comunque questo piano devo prevedere una forte spinta alla convergenza delle regioni più arretrate che dovranno raggiungere almeno il target del 20 per cento entro il 2015 e del 30 entro il 2020;
– per l’assistenza ai non autosufficienti l’obiettivo dev’essere quello di una completa integrazione delle forme di assistenza domiciliare – come mix di assistenza tutelare e sanitaria – che, nell’ambito della revisione degli attuali sistemi di trasferimenti economici alle persone disabili o non autosufficienti e dei sistemi di accertamento, porti entro il 2020 alla copertura del 30 percento della popolazione target (tenendo conto della combinazione con le restanti forme di assistenza: residenziale, a carico della famiglia con sistemi di voucher ecc.).
– L’efficacia di entrambi i programmi dipende dalla qualità della filiera amministrativa che parte dei sistemi territoriali di welfare e arriva alle amministrazioni statali di riferimento: questo significa concretamente integrazione di banche dati per l’equità nella valutazione delle condizioni economiche di selezione/accesso alle prestazioni e di definizione delle soglie di compartecipazione ai costi delle stesse; e significa anche monitoraggio severo nell’avanzamento dei piani con criteri di accesso privilegiato ai finanziamenti per le amministrazioni in grado di raggiungere i target con maggiore velocità.
5. Rivitalizzare il ruolo dell’Autorità indipendente come strumento cardine per garantire la trasparenza e la valutazione indipendente nelle amministrazioni pubbliche
Tra le responsabilità maggiori del Governo Berlusconi e del ministro Brunetta, sul terreno della riforma delle amministrazioni, va annoverata quella di avere svuotato di significato e di efficacia il nuovo istituto della Commissione per la Trasparenza, la Valutazione e l’Integrità delle Amministrazioni pubbliche-Civit, in un primo tempo paralizzandone il funzionamento per ben sette mesi dopo la sua costituzione col negarle il finanziamento dovuto per legge, poi azzerandone l’indipendenza col negarle ogni autonomia di spesa, ma soprattutto con comportamenti di fatto incompatibili con l’indipendenza effettiva. È in questo contesto che Civit ha visto le clamorose dimissioni dell’unico suo componente dotato di competenze specifiche acquisite in anni di lavoro e studio in un Paese straniero molto avanzato rispetto al nostro sul terreno della valutazione delle performances delle amministrazioni pubbliche.
L’Autorità indipendente non può ridursi al ruolo di produttore di regolamenti e direttive, ma deve essere posta in grado di assumere il ruolo di garante, promotore e arbitro
· di una trasparenza totale delle amministrazioni che oggi è ancora soltanto sulla carta;
· di un sistema di valutazione indipendente delle amministrazioni, alimentato dal confronto costante tra public audit e civic audit, che ancora stenta a decollare, anche per difetto del capitale umano necessario;
· dell’importazione delle migliori pratiche desumibili dall’esperienza in questo campo dei maggiori Paesi stranieri.