PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: LA RIFORMA PERDE I PEZZI

PER LA RIFORMA DELLA P.A. MANCANO LE CONDIZIONI: SUPPORTO POLITICO, CREAZIONE DI ENTITÀ INDIPENDENTI E DOTATE DI POTERE EFFETTIVO, RISORSE FINANZIARIE – E IL SISTEMA DI VALUTAZIONE DEL PERSONALE HA PERSO LA FUNZIONE DI VALORIZZARE LE COMPETENZE

Articolo di Pietro Micheli su la voce.info del 1° febbraio 2011

COME CREARE LE CONDIZIONI PER L’INSUCCESSO
In Italia la riforma della Pa è stata tentata in tempi relativamente recenti, mentre nei paesi nord-europei e anglosassoni da quasi cinquant’anni vengono introdotte innovazioni manageriali con l’intento di “modernizzare” il settore pubblico (1). Ricerche in questo campo hanno evidenziato una serie di condizioni necessarie per il successo delle riforme (2). Purtroppo, nessuna è presente nella cosiddetta “riforma Brunetta”:
1 – Supporto politico per sottolineare utilità e urgenza della riforma. Il supporto si è concretizzato soprattutto in annunci mediatici; dubbi su utilità e urgenza della riforma sono sorti quando la presidenza del Consiglio e il ministero dell’Economia si sono auto-esclusi dall’applicazione.
2 – Introduzione di entità indipendenti: come ho scritto all’atto delle mie dimissioni dalla Civit, è chiaro che in Italia non si vogliono creare entità indipendenti e con poteri effettivi, né a livello a livello di sistema (Civit), né a livello organizzativo, con organismi di valutazione nominati dal vertice politico-amministrativo (3).
3 – Chiari rapporti tra le organizzazioni coinvolte: in Italia vi è una pletora di organizzazioni, commissioni, gruppi e tavoli tecnici/giuridici che si occupano degli stessi temi, ma senza alcun coordinamento, né alcuna indicazione delle priorità.
4 – Risorse umane e finanziarie: nonostante si propagandino “riforme a costo zero”, le innovazioni hanno bisogno di risorse consistenti per partire. Per ottenere queste energie basterebbe evitare le sovrapposizioni, ma ben noti conflitti a livello governativo rendono ogni razionalizzazione impossibile.

GESTIONE O AMMINISTRAZIONE?
Nonostante la riforma della Pa sia ispirata a criteri manageriali, il persistente approccio burocratico-normativo sta convertendo le novità della riforma in adempimenti normativi.
Un esempio per tutti è il ciclo di gestione delle performance, ispirato alla gestione della qualità e al performance management. Attuare questo ciclo presuppone cambiamenti radicali nel funzionamento delle amministrazioni, ottenibili solo attraverso una dialettica concreta tra politica e amministrazione, il coinvolgimento degli stakeholder, la definizione degli impatti dell’azione organizzativa, la formulazione della strategia e l’attuazione di un sistema di misurazione e valutazione.
Questi cambiamenti non sono adempimenti normativi, ma percorsi fatti di sperimentazioni, benchmarking tra amministrazioni comparabili e iterazioni finalizzate all’apprendimento organizzativo e non alla sanzione.

VALUTAZIONE DEL PERSONALE: LA WATERLOO DI BRUNETTA
Prima di introdurre un sistema di valutazione individuale è indispensabile sviluppare una strategia e un sistema di misurazione a livello organizzativo. Se non si sa cosa fa un’organizzazione, dove vuole andare e come può arrivarci, sarà arduo valutare in maniera sensata i suoi dipendenti.
Inoltre, soprattutto nel settore pubblico, i benefici maggiori della valutazione individuale sono stati riscontrati nel modo in cui avviene il processo di valutazione, piuttosto che nel suo risultato. È il dialogo tra valutatore e valutato che può dare l’impulso maggiore al miglioramento della performance, non tanto il bonus ricevuto dal dipendente (4). Questo presuppone che le risorse umane abbiano un ruolo non solo amministrativo-burocratico, ma di gestione e coordinamento, e che i dirigenti e le organizzazioni abbiano notevole autonomia.
La riforma della Pa sta seguendo un itinerario opposto: la valutazione individuale ha un ruolo di assoluto primo piano e le fasce di valutazione definite per legge irrigidiscono i sistemi deresponsabilizzando la dirigenza. C’è poi una schizofrenia dovuta alla doppia funzione che il sistema di valutazione dovrebbe svolgere: da un lato volto a migliorare le performance individuali e, quindi, organizzative; dall’altro a reprimere, per “stanare” i fannulloni. Il problema è che la riforma, legando al sistema di valutazione l’individuazione dei comportamenti rilevanti, ha escluso a priori “il valore della valutazione come strumento di valorizzazione delle competenze, riconducendolo a strumento di repressione” (5).
Queste lacune nell’esecuzione della riforma non comportano soltanto il suo potenziale collasso. Ben più preoccupante è l’impatto a lungo termine derivato dalla percezione della valutazione del personale come strumento utile solo a castigare, e dell’erezione di barriere impenetrabili a qualsiasi strumento gestionale. Insomma, la crescente opposizione di dipendenti e sindacati e la possibile implosione della riforma potrebbero determinare un tragico “rinculo”, senza che si sia sparato alcun colpo di cannone.

NOTE
(1) Negli Stati Uniti il
Planning, Programming and Budgeting System fu introdotto nel 1965, in Gran Bretagna fu costituito il Fulton Committee (per “trasferire idee e strumenti manageriali nei ministeri”) nel 1966. Per quanto riguarda riforme specificamente ispirate al New Public Management, si veda: Hood, C. (1995), “The ‘New Public Management’ in the 1980s: Variations on a theme”, Accounting, Organizations and Society, Vol. 20, No. 2/3, pp. 99-109.
(2) Si veda, ad esempio: Barber, M. (2007), “Instruction to deliver: Tony Blair, the public services and the challenge of achieving targets”, Politico’s Publishing Ltd.
(3)
http://www.repubblica.it/cronaca/2011/01/15/news/brunetta_civit-11246926/
(4) Marsden, David (2009) “The paradox of performance related pay systems: why do we keep adopting them in the face of evidence that they fail to motivate?”. CEP Discussion Papers, 946. Centre for Economic Performance, London School of Economics and Political Science, London, UK.
(5) Tratto da una recente lettera di Sylvia Krantz, 25 gennaio 20111.

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