L’UNIONE SARDA: IL “MODELLO MIRAFIORI” PUO’ AIUTARE LO SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO

CHE LA FIAT ORA APPLICHI IL NUOVO MODELLO DI ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO ANCHE NEGLI STABILIMENTI DI MELFI E CASSINO GIOVERA ALLO SVILUPPO DEL SUD –  PROPRIO PER QUESTO, PERO’, SONO URGENTI NUOVE REGOLE SU RAPPRESENTANZA E CONTRATTAZIONE: ANCH’ESSE CONTRIBUIREBBERO AD AVVIARE UNA NUOVA FASE DI APERTURA DEL PAESE AGLI INVESTIMENTI STRANIERI

Intervista a cura di Emanuela Zoncu pubblicata su l’Unione sarda il 20 gennaio 2011

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Anzitutto, cosa pensa dell’intenzione di Marchionne di estendere il modello Mirafiori anche a Melfi e Cassino? Se è d’accordo, può spiegare il perché?
Mi sembra che fosse evidente fin dall’inizio che questa estensione ci sarebbe stata: non vedo quale motivo avrebbe potuto esserci per applicare modelli di organizzazione del lavoro diversi negli stabilimenti di uno stesso grande gruppo industriale che fabbricano lo stesso prodotto.

Crede che, aldilà di Fiat, dopo Mirafiori altre imprese seguiranno lo stesso esempio? Se si o se no, perché?
Non credo che, nell’immediato, il “modello Mirafiori” sarà seguito da molte imprese a capitale e management italiano. Gli accordi di Mirafiori e Pomigliano possono, però, lanciare un messaggio di apertura a molte altre grandi multinazionali straniere, che potrebbero essere interessate a insediarsi in Italia con piani industriali innovativi. Se questo accadesse, non avremmo che da rallegrarcene, visto quanto il nostro Paese è oggi chiuso agli investimenti stranieri. Questo interessa soprattutto il nostro Mezzogiorno, la cui speranza di un rapido sviluppo economico può essere riposta soltanto sull’afflusso di investimenti e buoni piani industriali dall’estero.

Lei è stato uno di quelli che più di altri si è speso per spiegare alla gente in cosa consisteva la “rivoluzione Marchionne” e perché Fiat per competere sul mercato aveva bisogno di una scossa di quel tipo. Vorrebbe spiegare anche ai nostri lettori quali schemi ed equilibri rompono il caso Pomigliano prima e Mirafiori dopo, in merito alle relazioni industriali, e cosa tutta questa vicenda deve insegnarci?
Sei anni fa ho pubblicato un libro – A che cosa serve il sindacato, Mondadori, 2005 – per mostrare come la regola della rigida inderogabilità del contratto collettivo nazionale abbia l’effetto di chiudere il nostro sistema economico ai piani industriali più innovativi e in particolare alle grandi multinazionali straniere. La vicenda Fiat segna una svolta netta rispetto a sessant’anni nei quali il nostro sistema delle relazioni industriali è stato retto da quella regola. Credo che, complessivamente, questo sia un bene. Naturalmente questo richiede che si colmi la lacuna normativa con una nuova cornice di regole.

La Fiom minaccia il ricorso ai Tribunali, la mobilitazione e ogni altra iniziativa contro l’applicazione dell’accordo. Che giudizio dà, rispetto a quello che abbiamo visto e che ancora vediamo, della linea scelta dalla Fiom? E di quella della Cgil più in generale? Avrebbe (o dovrebbe, ora che l’accordo è stato firmato), la Camusso, dovuto fare qualcosa che non ha fatto?
La Fiom si oppone molto vigorosamente alla svolta di cui abbiamo parlato. In un sistema retto dal principio del pluralismo sindacale, questo sarebbe del tutto fisiologico, se non fosse che la Fiom tende a squalificare tutte le altre componenti del movimento sindacale, che non la pensano allo stesso modo. Quanto alla Cgil, e in particolare al suo vertice attuale, mi sembra ancora presto per esprimere un giudizio sul suo operato in questa vicenda.

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