A PIU’ DI SESSANT’ANNI DALLA NASCITA DELLA REPUBBLICA LA NORMA COSTITUZIONALE SULL’AUTONOMIA SINDACALE COLLETTIVA E’ ANCORA INATTUATA, ANCHE PER ALCUNI SUOI GRAVI DIFETTI D’ORIGINE, E QUESTO HA DETERMINATO LA GRAVE LACUNA LEGISLATIVA CHE OGGI CONTRIBUISCE A RENDERE VISCHIOSO E INCONCLUDENTE IL NOSTRO SISTEMA DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI – E’ TEMPO DI COLMARE QUESTA LACUNA
Disegno di legge presentato al Senato l’11 gennaio 2011
DISEGNO DI LEGGE n. 2520
d’iniziativa dei Senatori CECCANTI, ICHINO, CERUTI, DE SENA, GIAI, INCOSTANTE, LUMIA MARITATI, MORANDO,NEGRI, PETERLINI, TONINI
Modifiche all’articolo 39 della Costituzione relative alla libertà e democraticità dei sindacati nonché alla stipulazione di contratti collettivi
Relazione
Onorevoli Senatori! – A differenza di quasi tutti gli altri articoli della Costituzione, il 39 non riuscì particolarmente felice e questo ne spiega in larga parte la sua inattuazione. Le esigenze dominanti che guidarono i lavori furono con tutta evidenza quelle di affermare la libertà e il pluralismo sindacale, nonché quella di evitare un’eccessiva ingerenza statale, elementi che sono rispecchiati dal primo comma e la democraticità interna, richiamata dal terzo.
Invece, nonostante le premesse teoriche abbastanza chiare del relatore (il comunista Di Vittorio) e del correlatore (il democristiano Rapelli), né la Terza Sottocommissione né l’Aula riuscirono a risolvere i problemi della connessione tra questi sindacati liberi e l’efficacia collettiva dei contratti di lavoro.
In Terza Sottocomissione, il 17 ottobre 1946, il comunista Di Vittorio aveva chiaramente affermato che «non tutti i sindacati hanno il diritto di stipulare il contratto di lavoro, ma solo quello maggioritario con rappresentanza sindacale dei sindacati di minoranza» e il democristiano Rapelli aveva correttamente aggiunto che «il concetto del sindacato maggioritario non è permanente ed un sindacato, che in un dato momento è maggioritario, può divenire successivamente minoritario».
Tuttavia, pur essendo vero che i dettagli sarebbero stati affidati alla legge e che il testo doveva chiarificare solo alcuni princìpi, si finì per imporre un obbligo di registrazione come condizione per giungere a una rappresentanza unitaria in proporzione agli iscritti, legittimata a stipulare contratti obbligatori senza deroghe. Una soluzione che parte dalla libertà del primo comma e che arriva a modalità piuttosto organicistiche e costrittive nel quarto. Il dibattito in Aula, il 10 maggio 1947, evidenziò seriamente i problemi, anche se non li risolse, si ha quasi l’impressione di un’approvazione nella consapevolezza comune che il testo non fosse ancora maturo. Il costituzionalista Dc Mortati interviene per chiarire che l’autonomia sindacale può essere compressa dall’organo abilitato a verificare i requisiti per la registrazione e tenta di indicare il Cnel come sede corretta, anche se non è seguito da altri. Il repubblicano Mazzei, scomparso meno di un anno fa, si chiese puntualmente: «Come si può dare a questa rappresentanza unitaria di sindacato che siano separati gli uni dagli altri, che siano giuridicamente ognuno dotato di propria personalità giuridica, l’unità che essa non ha?» per cui “il concetto di rappresentanza unitaria è assolutamente inconsistente”.
Il dibattito fu ripreso dalla commissione Bozzi, operativa tra il novembre 1983 e il gennaio 1985, in particolare con un intervento del socialista Giugni del 18 ottobre 1984 che coglie i due punti chiave: la formula adottata nell’ultimo comma impone, “sulla base di modelli ideologici” senza “un modello di riferimento concreto”, un’unità forzosa (“una formula che, mentre permetteva il pluralismo, finiva per essere applicabile soltanto in condizioni di unità”); occorre porsi il problema “più urgente e più drammatico…quello relativo all’efficacia dei contratti aziendali, con i quali si cerca di governare le operazioni più complesse e più difficile di ristrutturazione delle aziende, di mobilità dei lavoratori”. Ne risulta questa proposta di riformulazione che tiene invariato il primo comma, mantiene in un secondo comma il vincolo della democraticità, ma sganciandola dalla registrazione e decostituzionalizza il resto della disciplina, aprendo a una legge sulla rappresentanza e genericamente ad altri effetti giuridici diversi dai contratti collettivi:
“L’organizzazione sindacale è libera.
L’ordinamento interno e l’attività dell’organizzazione sindacale devono ispirarsi al metodo democratico.
La legge, ai fini del conferimento di efficacia obbligatoria generale ai contratti collettivi di lavoro e ai fini di produzione di altri effetti giuridici, determina i criteri per l’accertamento della rappresentanza dei sindacati”.
Dal canto suo anche la relazione di minoranza del gruppo Pci, pur nel clima di scontro relativo al decreto di S. Valentino conclusosi col referendum di pochi mesi dopo, ammette che “l’esperienza ha dimostrato l’inutilizzabilità degli strumenti contenuti nel testo attuale”, dichiara di condividere i primi due commi e di avere presenti le questioni della “contrattazione decentrata e aziendale”, ma ritiene il rinvio alla legge concretamente operato viziato da “eccessiva e ambigua genericità”.
La presente proposta riproduce pertanto, con qualche variante minima di drafting (un indicativo al posto di un imperativo) i primi due commi condivisi da tutti alla Bicamerale Bozzi e corregge il terzo, prevedendo che la legge intervenga per individuare criteri di rappresentatività nei casi in cui si deroghi al diritto comune dei contratti, con contratti collettivi ai vari livelli, coerentemente col disegno di legge ordinario, il n. 1872 dell11 novembre 2009, a cui questo testo si affianca.
Per i motivi suesposti si auspica un esame in tempi rapidi del presente disegno di legge.
DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE
Art. 1.
1. L’articolo 39 della Costituzione è sostituito dal seguente:
L’organizzazione sindacale è libera.
L’ordinamento interno e l’attività dell’organizzazione sindacale si ispirano al metodo democratico.
I requisiti del contratto collettivo che produca effetti ulteriori rispetto a quelli previsti dal diritto comune dei contratti sono stabiliti con legge, che a tal fine determina i criteri per l’accertamento della rappresentatività delle associazioni sindacali.