CHI NON HA LA MAGGIORANZA DEI CONSENSI NON DEVE AVERE IL POTERE DI BLOCCARE QUALSIASI SCELTA SGRADITA; MA DEVE ESSERGLI GARANTITO IL DIRITTO ALLA RAPPRESENTANZA RICONOSCIUTA IN AZIENDA ANCHE QUANDO NON FIRMA: CIÒ CHE LA LEGGE OGGI VIGENTE NON GARANTISCE
Intervista a cura di Raffaele Indolfi, pubblicata su il Mattino, il 31 dicembre 2010
La Fiom? Deve avere voce, ma non diritto di veto. Il professor Pietro Ichino, giuslavorista, senatore del Pd, interviene sulla svolta di Marchionne e parla della proposta sua e di altri parlamentari del Pd di un nuovo sistema di regole sulle relazioni industriali.
Professore Ichino, come giudica la svolta di Marchionne: una svolta che fa bene solo alla Fiat o anche all’Italia?
Marchionne ha messo a nudo alcuni difetti gravissimi del nostro sistema di relazioni industriali, che hanno contribuito fortemente a chiudere il nostro Paese agli investimenti stranieri nell’ultimo quarto di secolo. Occorre rispondere positivamente a questa sollecitazione, correggendo al più presto quei difetti. Anche per evitare alcuni aspetti negativi degli accordi di Mirafiori e di Pomigliano, che però non sono imputabili alla Fiat, ma al nostro sistema attualmente in vigore.
Si può governare una fabbrica mettendosi contro un sindacato come la Fiom?
Alla Fiat la Fiom oggi è minoranza. Non è accettabile, dunque, che essa possa esercitare un potere di veto sul contratto stipulato dalla coalizione maggioritaria. Marchionne ha tutte le ragioni quando chiede che il contratto stipulato sia un contratto vero, cioè vincolante per tutte le parti interessate. Il pluralismo sindacale, però, deve essere garantito meglio di quanto non faccia la legge attuale: la Fiom non deve avere un potere di veto, ma il diritto alla rappresentanza in azienda, quello sì.
E quello della Fiom è paleoesinadacalismo?
Non userei espressioni spregiative come questa. In un sistema ispirato al principio del pluralismo sindacale, come è il nostro, deve esserci spazio anche per un sindacalismo del tipo di quello della Fiom. Ripeto: essa non deve avere un diritto di veto, ma un diritto di voce sì.
Non pensa che a complicare tutto sia una politica sostanzialmente ferma?
E’ proprio così: alla base della crisi che stiamo attraversando c’è un grave difetto di regole, che va colmato.
Immagino che sia quello che propone il documento firmato ieri da lei con altri parlamentari del Pd.
Sì. Il documento si richiama al disegno di legge n. 1872, presentato nel 2009 da me con altri 54 senatori del Pd: una norma che garantisca alla coalizione sindacale maggioritaria il potere di negoziare il piano industriale a 360 gradi, compresa la clausola di tregua che impegna a non scioperare contro il contratto stesso, con effetti vincolanti per tutti i dipendenti dell’azienda. Alla minoranza sindacale, a cui in questo modo viene tolto il potere di veto, viene però garantito il diritto alla rappresentanza riconosciuta in azienda, anche quando non abbia firmato il contratto: ciò che la legge oggi vigente non garantisce.