L’ACCORDO DI MIRAFIORI SEGNA, SI’, UNO STRAPPO IN DIREZIONE DI UN SISTEMA DI RELAZIONI INDUSTRALI PIU’ VICINO AL MODELLO ANGLOSASSONE; MA ACCETTARE QUESTA SFIDA E’ L’UNICO MODO IN CUI IL MOVIMENTO SINDACALE OGGI PUO’ DIFENDERE IL RUOLO DEL LAVORO ITALIANO NELL’INDUSTRIA MONDIALE DELL’AUTO
Articolo di Giuseppe Berta, storico dell’industria, pubblicato sul Sole 24 Ore del 24 dicembre 2010
L e parole giuste per definire l’intesa per Mirafiori siglata nel tardo pomeriggio di ieri a Torino le ha forse trovate il segretario della Cisl locale, Nanni Tosco, che ha parlato di «accordo utile e necessario».
Sicuramente necessario, perché se il negoziato non fosse riuscito ad approdare a un risultato l’investimento nella fabbrica della Fiat più carica di storia sarebbe saltato, come ha lasciato capire ancora martedì sera al Lingotto Sergio Marchionne, accennando a un’agenda per il 2011 che prevede delle tappe fondamentali sulla via dell’integrazione tra Fiat e Chrysler. Sul percorso che dovrà sfociare nella formazione di un nuovo gruppo internazionale dell’auto ci sono passaggi cruciali, tali da non concedere rinvii e dilazioni. Se ieri le organizzazioni sindacali che, con la rilevante eccezione della Fiom-Cgil, hanno sottoscritto l’accordo non l’avessero fatto, sul futuro di Mirafiori sarebbe scesa una cappa d’incertezza pesantissima. E oggi accettare la prospettiva di un ulteriore dimagrimento di Mirafiori fino al limite della sua chiusura avrebbe inferto al sistema dell’auto di Torino nel suo complesso un colpo difficilmente superabile.
Ma l’accordo di ieri appare anche utile dal punto di vista della creazione di una cornice normativa in grado di fungere da involucro alla nuova organizzazione del lavoro prevista dal World Class Manufacturing. A leggere con attenzione il testo si riscontrano delle sensibili variazioni rispetto all’impostazione preliminare, che i sindacati avevano trovato troppo rigida. Si attenuano le sanzioni per i casi di assenteismo, mentre sulla discussa questione della pausa mensa posta alla fine dell’ultimo turno di lavoro si lascia aperta la possibilità di definire più avanti la sua regolazione. Del resto, nell’analisi dell’intesa, non si può dimenticare che si tratta di un documento propedeutico alla creazione di un nuovo sistema produttivo, la cui funzionalità andrà verificata in corso d’opera.
È indubbio che siamo davanti a una discontinuità nelle relazioni industriali. La Fiat ha fatto decisamente prevalere il principio che la rappresentanza sindacale diventa responsabile delle norme contrattuali su cui ha apposto la propria firma. In questo senso, si può dire che la globalizzazione sia entrata di forza nel mondo del lavoro e delle sue regole. Le clausole di responsabilità rimandano a una concezione del ruolo del sindacato che ha una matrice anglosassone.
Anche per quanto riguarda il rapporto fra l’accordo di Mirafiori e il contratto nazionale siamo dinanzi a una situazione fluida. Il contratto del settore auto resta sullo sfondo, come l’obiettivo a cui tendere, secondo quanto la Fiat aveva indicato fin dall’inizio della trattativa. Se verrà attuato, sarà possibile riportare la nuova joint-venture Fiat-Chrysler entro i confini della rappresentanza confindustriale.
La Fiom ha lasciato il tavolo della trattativa già nella mattinata di ieri e in seguito ha denunciato come una “vergogna” inammissibile l’accordo separato concluso più tardi. È un giudizio durissimo, che sancisce una volta di più una spaccatura nel movimento sindacale diventata giorno dopo giorno più aspra.
All’inizio del negoziato, tuttavia, il responsabile del settore auto della Fiom, Giorgio Airaudo e, con lui, i suoi compagni torinesi avevano badato a usare un linguaggio sorvegliato, interpretato come un segno di disponibilità. Poi, anche dinanzi alle reazioni della Fiom centrale, queste aperture sono rientrate. È un peccato che un grande sindacato industriale abbia scelto di mantenersi al di fuori del terreno di gioco di una partita molto importante per il futuro delle relazioni industriali. Si è verificata così una condizione che, a chi conosce la storia sindacale, ricorda un po’ quella dell’estate del 1988, quando la Fiom si chiamò fuori all’ultimo momento dall’accordo per il premio di risultato alla Fiat. Negli anni successivi, quella lacerazione venne sanata e la Fiom tornò in campo.
Un analogo recupero sembra al momento improbabile. La Fiom non potrà nominare le proprie rappresentanze all’interno della joint-venture Fiat-Chrysler, col rischio di una perdita secca della sua efficacia contrattuale. Forse avrebbe potuto agire diversamente e, con un occhio alla storia della Cgil, firmare un’intesa ad essa ostica, ma che le avrebbe permesso di stare ben dentro ai processi di riorganizzazione della fabbrica. Che non sono mai definiti per intero a priori. Il mese prossimo la parola passa ai lavoratori, per il referendum destinato a convalidare l’accordo. C’è da sperare che il tempo conceda lo spazio per un esame di merito dei suoi contenuti e per un confronto sui problemi non dettato a priori dalle questioni di schieramento.