LA FUNZIONE DI UN SISTEMA ELETTORALE NON PUO’ MAI CONSISTERE NELLA MERA RIPRODUZIONE IN PARLAMENTO DELL’ESATTO RAPPORTO NUMERICO TRA I CONSENSI CONSEGUITI DALLE FORZE POLITICHE: E’ SEMPRE INDISPENSABILE CHE QUEI CONSENSI VENGANO TRADOTTI IN RAPPRESENTANZA FUNZIONALE AL MIGLIOR GOVERNO, QUINDI NON RIGIDAMENTE PROPORZIONALE
Lettera del senatore Stefano Ceccanti ai colleghi del Gruppo del Pd, 16 dicembre 2010
E’ vero che nei sistemi parlamentari i Governi dipendono dalle maggioranze parlamentari.
Ciò però non esclude affatto che a loro volta le maggioranze parlamentari siano non solo lo specchio, ma anche il prodotto deliberatamente voluto di sistemi elettorali che sono pensati per fabbricarle.
La ragione è presto detta: se nelle democrazie parlamentari la questione fosse solo di eleggere una Camera, l’argomento per cui ci dovrebbe essere una mera fotografia dei voti in seggi avrebbe una sua forza. La proporzionale pura, o corretta in modo debolissimo, apparirebbe l’esigenza non superabile di una giustizia nei numeri.
Il problema è che poi c’è un Governo da fare e al quel punto il problema della “giustizia nei numeri” può essere capovolgibile. Un voto dato a una forza che sta in mezzo rischia di pesare di più a una forza sull’ala o sulla mezz’ala perché con pochi voti strategici si può ottenere persino una Presidenza del Consiglio, saltando il rapporto tra consenso, potere e responsabilità.
Ovviamente queste esigenze possono essere prese in considerazione senza estremismi e unilateralità, bilanciandone con altre, ma se si ha presente questa visione “lunga” che dal voto passa per i rappresentanti e arriva al Governo bisogna pensare al sistema elettorale più come a un trasformatore di energia che a un apparecchio fotografico, per rifarci a una nota metafora di Duverger. Non si sfugge al dilemma se attraverso le scelte tecniche, da valutare laicamente, tenendo conto anche del contesto in cui vengono a inserirsi, debbano decidere gli elettori prima del voto o i partiti, soprattutto quelli di centro, perché più posizionati in un luogo strategico, dopo il voto.
Ora non c’è dubbio che la legge elettorale attuale sia pessima per la rozzezza di un premio elettorale mal congegnato, tuttavia anche il Mattarellum fabbricava in modo significativo e voluto le maggioranze in sede elettorale: nel 1994 il 39,4% dei voti del centrodestra alla Camera produsse il 63,6% dei seggi; nel 1996 il 45,4% dei voti dell’Ulivo produsse il 54,9% e nel 2001 il 45,4% dei voti del centrodestra produsse il 59,4% dei seggi.
Uno scarto di 10-15 o anche 20 punti nel passaggio voti-seggi è quello che si produce di norma anche in Gran Bretagna: nel 1992, l’ultima elezione vinta con maggioranza assoluta conservatrice, al 41,9% dei voti corrispose il 51,6% dei seggi; Blair ebbe nel 1997 il 63,6% dei seggi col 43,2% dei voti, nel 2001 il 62,7% dei seggi col 40,7% dei voti e nel 2005 il 55,2% dei seggi col 35,2% dei voti. E’ vero che le ultime elezioni hanno provocato la nascita di un Governo di coalizione, ma statisticamente si tratta di un’eccezione alla regola, l’ultima maggioranza relativa era capitata nel 1974. Certo, se passasse il voto alternativo a livello di collegio, come potrebbe accadere nel referendum del prossimo maggio, la legittimazione sarebbe superiore perché in ogni collegio si passerebbe a maggioranza assoluta, come accade in Francia col doppio turno e come accade ai nostri sindaci e presidenti di provincia che prendono il premio di maggioranza dopo aver ottenuto (al primo turno o al ballottaggio) una maggioranza assoluta. Queste differenze contano moltissimo: c’è modo e modo di congegnare un trasformatore, ma la scelta dovrebbe essere appunto per un trasformatore, non per una macchina fotografica.
Anche nei sistemi che appaiono proporzionali la dose, deliberatamente voluta, di scarto tra voti e seggi non è poi diversissima. L’Ucd ha vinto le prime elezioni libere del 1977 col 34,6% che è diventato il 47,4% dei seggi e le seconde del 1979 col 35% che è diventato il 48%, il Psoe ha realizzato l’alternanza nel 1982 col 48,4% che è diventato il 57,7% e ancora nel 1989 vinceva col 39,9% dei voti che diventava il 50% dei seggi. Attualmente Zapatero governa col 48,3% dei seggi guadagnati col 43,9% dei voti.
Anche in Germania, per l’effetto cumulato dello sbarramento e di quel piccolo premio che è costituito dai seggi in esubero assegnati a livello di Land, le maggioranze “costruite” dal sistema elettorale sono frequenti: nel 1994 il centrodestra ha vinto con un 48,4% che è diventato il 50,8%, nel 1998 il centrosinistra col 47,6% trasformato in 51,5% e nel 2002 col 47,1% trasformato in 50,7%. Oggi la Merkel governa col 53,4% dei seggi ottenuti col 48,4% dei voti.
Infine quanto ai parallelismi storici con l’Italia, è vero che il premio della legge voluta da de Gasperi nel 1953 portava al 65% dei voti solo se la coalizione avesse ottenuto il 50% + 1 dei voti, ma quel tipo di premio era pensato appositamente affinché il partito dominante dell’unica coalizione che poteva vincere, la Dc, con una maggioranza relativa in voti venisse ad avere o la maggioranza assoluta in seggi o quanto meno una maggioranza relativa talmente ampia da non dover dipendere dai seggi dei partiti di destra, come De Gasperi temeva. Nel 1953 la Dc, che prese il 40,1% dei voti, se fosse scattato il premio si sarebbe ritrovata al 53% dei seggi. De Gasperi, nella nota lettera a Sturzo del 24 agosto 1952 (Sturzo era contrario, voleva il doppio turno alla francese) in cui spiega le ragioni politiche di quella scelta e in cui condanna comunque l’idea di “condannare come premio illecito e immorale ogni maggiorazione al di sopra della rappresentanza proporzionale”, dichiara di attendersi una sovrarappresentazione che porti al 47,8% dei seggi della Dc che avrebbe consentito di evitare l’ “accostamento della Dc verso i partiti di destra”.
E’ altamente sensato voler sostituire l’attuale pessimo trasformatore in un trasformatore non dico ottimo, ma almeno buono, ma non in una macchina fotografica. Capisco che quest’ultimo pensiero possa essere coltivato da partiti e schieramenti che deliberatamente nascono e si sviluppano per poter sfruttare spregiudicatamente rendite di posizione dopo il voto, ma non si capirebbe proprio il senso di aver fatto il Pd per diventare satelliti di altri con meno voti. Il Pd ha senso con un trasformatore, non con una macchina fotografica. Come ebbe a dire Palmiro Togliatti il 24 gennaio 1948 all’Assemblea Costituente, in sede di approvazione della legge elettorale per il Senato: “Arriva, però, il punto in cui ogni partito deve giudicare del pro e del contro, e quando si tratta di legge elettorale, è inevitabile che ogni partito giudichi a seconda dei propri interessi, e così noi giudichiamo a seconda degli interessi nostri e non a seconda di quelli, diciamo, del Partito Liberale”.