QUELLO CHE CHIAMIAMO “PRECARIATO” E’ LA CONSEGUENZA DI UN PROFONDO MUTAMENTO DEL TESSUTO PRODUTTIVO, CUI NON HA CORRISPOSTO IL NECESSARIO MUTAMENTO DELL’ORDINAMENTO E DEI SERVIZI NEL MERCATO
Intervista a cura di Jacopo Tomasi pubblicata sul quotidiano Trentino del 13 dicembre 2010
TRENTO. Una fetta di lavoratori è ipertutelata e inamovibile, un’altra – composta soprattutto da giovani – in costante equilibrio precario, senza diritti. E’ questo, secondo Pietro Ichino, docente universitario, giuslavorista, senatore, editorialista, il “male” del mercato del lavoro italiano. Lui, sotto scorta dal 2002 per le minacce delle Br, sta combattendo per cambiare le cose. Così.
Del disegno di legge presentato in Parlamento ne parlerà domani sera, a Trento, all’incontro organizzato dalla Cassa Rurale di Aldeno e Cadine dal titolo “La crisi pagata dai giovani e le vie per uscirne”, che si terrà alle 20.45 in sala Falconetto, a palazzo Geremia.
Professor Ichino, subito una domanda diretta: quando è andato a vivere “da solo”?
A 23 anni, subito dopo la laurea e il servizio militare.
Per molti giovani è difficile andare via di casa prima dei trent’anni. Di qui la famosa etichetta di “bamboccioni”. Le piace questo termine?
L’invettiva di Tommaso Padoa Schioppa è servita a mettere a fuoco il problema. Ma il termine “bamboccioni” non deve essere usato per colpevolizzare la generazione dei nostri figli: le loro difficoltà nel mercato del lavoro nascono per la maggior parte da difetti di regole e servizi nel mercato stesso, dei quali è responsabile la nostra generazione.
Il precariato, di fatto, ha cambiato la società in cui viviamo.
Quello che chiamiamo “precariato” è la conseguenza di un profondo mutamento del tessuto produttivo, cui non ha corrisposto il necessario mutamento delle regole e dei servizi nel mercato.
Sono state tipologie contrattuali flessibili, come i contratti a termine e le collaborazioni continuative autonome o il lavoro a progetto, a originare i difetti del mercato del lavoro attuale?
No: sia il contratto a termine, sia i contratti di lavoro autonomo continuativo sono sempre esistiti.
Il problema si può risolvere, a suo modo di vedere, ponendo una sorta di limite ai contratti a progetto, o a tempo determinato?
Quel limite è stato posto da tempo. Eppure il problema non si è risolto affatto. Quello che lei chiama “precariato” è l’altra faccia dell’inamovibilità della metà protetta dei lavoratori dipendenti.
Quale può essere, allora, la soluzione per dare ai giovani il futuro che, dicono, gli è stato scippato?
La soluzione che propongo è il “progetto flexsecurity”, che ho presentato l’anno scorso, con altri 54 senatori, il disegno di legge 1481 e il 1873. Chi ha un rapporto stabile, continua con la vecchia disciplina; per tutti i nuovi rapporti si disegna un nuovo diritto del lavoro adatto ai tempi, capace di applicarsi davvero a tutti.
Come, in sintesi?
Tutti a tempo indeterminato, tranne i casi classici di lavoro a termine (lavori stagionali, sostituzioni, ecc.); tutti protetti contro le discriminazioni, ma nessuno inamovibile. Libertà per le aziende di licenziare per motivi economici od organizzativi, a condizione che si facciano carico di un trattamento complementare di disoccupazione che porti la garanzia di continuità del reddito per i lavoratori licenziati ai livelli scandinavi, collegato a un buon servizio di outplacement scelto e governato dalle aziende stesse. Per i dettagli devo rinviare al mio sito: www.pietroichino.it.
È un progetto realistico, o pura utopia?
Il 10 novembre scorso il Senato ha votato una mozione che impegna il Governo a una riforma modellata sul mio d.d.l. n. 1873, con 255 voti a favore e 26 soli contrari. Se la legislatura va avanti, si può fare.
Lei è stato dirigente della Fiom Cgil. Cosa dovrebbe fare, secondo lei, un sindacato “moderno”?
Dovrebbe concentrarsi meno sulla contrattazione di standard nazionali, che sono necessariamente troppo bassi per le zone più forti del tessuto produttivo e troppo alti per quelle più deboli. E dedicarsi di più al ruolo di “intelligenza collettiva” dei lavoratori, che consente loro di ingaggiare il meglio dell’imprenditoria mondiale.
Da osservatore esterno, come giudica il “sistema trentino” (a livello economico, occupazionale, sociale, politico)?
Lo considero come uno dei migliori non solo sul piano nazionale, ma anche sul piano europeo.
Una domanda sulla sua vita. Dal 2002, dopo le minacce delle Br poi rinnovate nel 2006, la scorta, la libertà limitata… Cosa le manca di più?
La libertà di girare per la città in bicicletta, come facevo prima.