IL VERO PROBLEMA E’ CHE I GIOVANI STRANIERI MIGLIORI NON VENGONO IN ITALIA

L’ITALIA NON SCORAGGIA SOLO L’IMMIGRAZIONE “CATTIVA”, MA ANCHE QUELLA BUONA – INVECE CHE PREOCCUPARCI DELLA FUGA DEI NOSTRI CERVELLI, DOVREMMO CAPIRE QUALI SONO I MOTIVI PER CUI NON SIAMO ATTRAENTI PER I BUONI CERVELLI STRANIERI

Intervista a cura di Fabiana Cusimano, pubblicata su la Discussione il 3 novembre 2010. V. anche l’indice di Hirsch (h-index), che misura il grado della produttività degli scienziati: ne risulta che, degli scienziati italiani, ben i due terzi operano all’estero.

Scarica l’intervista in formato pdf

Dei dodici italiani insigniti del premio Nobel in chimica, fisica e medicina, solo Giulio Natta (Nobel nel 1963) condusse le sue ricerche interamente in Italia. Segno evidente della difficoltà che hanno gli scienziati a lavorare bene e con gli strumenti adeguati nel Belpaese. Altra curiosa graduatoria che fotografa la situazione è quella che descrive la classifica degli scienziati italiani attraverso l’indice di Hirsch (h-index) che misura il grado di performance della produttività degli scienziati: da essa risulta che solo sette scienziati su dieci lavorano ancora lungo la Penisola, mentre tra quelli registrati nella parte alta della classifica ben i due terzi si trovano all’estero.
Senatore, gli italiani continuano a emigrare. Ma al contrario di quanto avveniva in passato oggi a lasciare il paese sono le persone con un elevato livello di scolarità. Questa tendenza, in aumento secondo il rapporto Migrantes, non rischia di depauperare sempre di più l’Italia?
Il male non è che molti dei nostri giovani migliori allarghino il loro raggio di mobilità oltr’Alpe od oltre Oceano. La cosa molto preoccupante è che nessuno dei giovani migliori degli altri Paesi venga in Italia. Questo è un segno molto eloquente della chiusura dell’Italia, al tempo stesso, alla nuova generazione e agli investimenti stranieri.

Da un’indagine dell’istituto per la competitività si evince che in 20 anni il Belpaese ha perso 4 miliardi a causa della fuga di cervelli (visto che ogni ricercatore top vale 148 milioni di euro in brevetti). Perché non si investe su di loro invece di farseli sfuggire?
Ripeto: il problema non è di tornare a un mercato del lavoro autarchico, chiuso in se stesso. Non ci deve preoccupare che i nostri emigrino: dobbiamo imparare a essere attrattivi per i giovani migliori di ogni parte del mondo, oltre che per il meglio dell’imprenditoria mondiale.

Quale sarebbe, secondo lei, una soluzione ideale e concreta per invogliare ricercatori e scienziati a restare?
Innanzitutto, creare occasioni buone di lavoro per loro. Per questo occorre un mercato del lavoro più fluido, nel quale i posti di lavoro siano più contendibili. Poi occorre un tasso più alto di innovazione nel nostro tessuto produttivo; e la leva più importante per ottenerlo è quella di aprire molto di più il nostro sistema alle imprese straniere.

Come?
Per questo ci sono misure che possono dare risultati rilevanti soltanto a distanza di tempo: miglioramento della performance delle amministrazioni pubbliche, soprattutto di quella della giustizia; miglioramento delle infrastrutture. Poi ci sono misure che possono dare risultati immediati e a costo zero: tra queste l’introduzione di regole di democrazia sindacale che aiutino il nostro sistema delle relazioni sindacali a essere meno inconcludente; inoltre semplificare la disciplina del rapporto di lavoro: ho presentato con altri 54 senatori un disegno di legge, n. 1873/2009, che riproduce l’intera legislazione nazionale su questa materia a un Codice del lavoro semplificato di 70 articoli brevi, semplici e traducibili in inglese. E il 10 novembre scorso il Senato ha espresso un parere favorevole in proposito a larghissima maggioranza.

Nel 2001 fu varato un programma per il rientro dei cervelli che si è rivelato però poco efficace visto che mancano le condizioni per il loro reinserimento. Cosa non ha funzionato all’epoca?
Era sbagliato l’obiettivo: non è il rientro dei nostri cervelli, ciò a cui dobbiamo puntare; ma far venire giovani cervelli stranieri. E per questo occorre una forte apertura all’imprenditoria straniera sia nel tessuto produttivo e nel sistema delle relazioni industriali, sia nella nostra cultura. Dove invece oggi prevale ancora l’idea della “difesa dell’italianità delle nostre aziende”: v. i casi Alitalia, Abn Amro/Antonveneta, ATT/Telecom, Abertis, Poste, Ferrovie, e tanti altri.

In un quadro del genere che ruolo gioca la riforma dell’università della Gelmini?
Quel disegno di legge enuncia dei principi che a me sembrano giusti. Ma temo che avrà un tasso di effettività molto basso, per come è strutturato, sia sul piano normativo, sia su quello finanziario

Cosa hanno gli altri Paesi del mondo che noi non siamo in grado di offrire?
Un mercato del lavoro più fluido e aperto, amministrazioni pubbliche e infrastrutture più efficienti, un più alto livello di civic attitudes, di cultura delle regole.

Non crede che oltre ai problemi legati all’immigrazione si dovrebbe fare più attenzione anche a quelli legati all’emigrazione?
Vale quello che Le ho detto prima, a questo proposito: dobbiamo incentivare la buona immigrazione. La nostra legislazione attuale non ostacola solo quella cattiva, ma anche quella buona.

Stampa questa pagina Stampa questa pagina

 

 
 
 
 

WP Theme restyle by Id-Lab
/* */