IN UN SISTEMA POLITICO ACCECATO DALL’AGGRESSIVITA’ RECIPROCA TRA MAGGIORANZA E OPPOSIZIONIE, ANCHE UNA LEGGE (IMPERFETTA MA) COMPLESSIVAMENTE POSITIVA PER L’UNIVERSITÀ, COME QUESTA DEL MINISTRO GELMINI, VIENE DEMONIZZATA DA SINISTRA NONOSTANTE CHE ACCOLGA NUMEROSE PROPOSTE DELLO STESSO PARTITO DEMOCRATICO
Articolo di Michele Salvati pubblicato sul Corriere della Sera il 1° dicembre 2010
Come sarebbe facile la vita se si potesse sempre seguire il precetto evangelico: la tua parola sia «sì/no». Se di un comportamento si potesse sempre dire: giusto/sbagliato. Se di una legge si potesse sempre affermare: da approvare/da respingere. Le cose, purtroppo, sono quasi sempre più complicate di così. Prendiamo una legge. Prendiamo la legge Gelmini.
Una legge, specie se ha l`ambizione di riordinare e innovare un settore istituzionale complesso come l`istruzione universitaria, può facilmente diventare un mostro normativo: il disegno di legge si compone di 25 articoli, quasi tutti a loro volta composti da molti commi e ogni comma è una norma, un comando. Molti di questi articoli contengono poi deleghe al governo, deleghe a emanare altre norme. E contengono rinvii agli statuti delle singole università, ancora norme.
Migliaia di norme: chi ha fatto i calcoli ne ha contate 5oo nel ddl, che poi richiederanno 35 decreti del governo e circa mille regolamenti degli atenei. E ogni norma esige interpretazioni e può provocare dissensi e conflitti. Poteva il mostro essere di dimensioni più ridotte? Si, poteva. Ma richiedeva una scelta rischiosa: poche linee d`indirizzo e una griglia di criteri di performance, di rendimento, di cui il ministero sarebbe stato il guardiano, e poi libera scelta dei singoli atenei: gli atenei, e i dipartimenti all`intemo di essi, che non avessero seguito quelle linee e non avessero soddisfatto quei criteri (finanziari, scientifici, didattici) sarebbero stati penalizzati.
Avrebbero ottenuto minori risorse, sarebbero stati commissariati o eliminati. Naturalmente il ministero doveva dotarsi di un apparato valutativo molto ampio, competente e serio: in sostanza sarebbe dovuto diventare una macchina di valutazione, grande, affidabile e inflessibile. E insisto su inflessibile. Che cosa vuol dire l`autonomia degli atenei e dei dipartimenti, di cui tutti si riempiono la bocca? Vuol dire che sei libero di decidere e di sbagliare, ma se sbagli, paghi. In un contesto privato, è il mercato che distribuisce premi e sanzioni. Se si ritiene che l`istruzione universitaria debba restare pubblica nel suo assetto portante – e sono tra coloro che così ritengono – l`unico modo di conciliare una vera autonomia e l`effettivo svolgimento della missione didattica e scientifica affidata alle università è quello che ho appena descritto.
Anche se il ministro e alcuni dei suoi consiglieri intendevano muoversi in questa direzione, essi non hanno avuto il coraggio di farlo fino in fondo. Il sistema valutativo che hanno messo in piedi è ancora lontano dalle dimensioni e dalle capacità che il suo ruolo richiederebbe.
E soprattutto non hanno ritenuto che la promessa di premi e la minaccia di sanzioni sarebbe stata credibile, sufficiente a innescare comportamenti virtuosi nei casi in cui sinora hanno prevalso comportamenti viziosi: di qui le migliaia di norme con le quali si imbriglia ex ante la libertà degli atenei e dei dipartimenti. Dicono il ministro e i burocrati del ministero: conosciamo i nostri polli, gli atenei e i dipartimenti; lasciati liberi di sbagliare, sbaglieranno in massa, se non gli mettiamo dei vincoli ex ante. Ma i polli in basso sbaglieranno in massa perché conoscono bene il pollo in alto, il ministero: questo non sarà in grado di effettuare controlli seri e di applicare i premi e le sanzioni che da essi conseguirebbero.
Diventare virtuosi non vale la pena.
Se così stanno le cose, se ritengo che non si tratti di una buona legge, come mai sono anche convinto che, tutto considerato, sia da approvare anche dal Senato definitivamente? Perché le scelte reali, in politica, si fanno spesso tra il peggio e il meno peggio. E questa legge contiene sufficienti spunti innovativi, e in una giusta direzione di premio al merito, per migliorare la situazione esistente: in parte li ha già segnalati Giavazzi sul Corriere di ieri e se l`argomento suscita interesse posso ritornarci. Il punto essenziale è però questo: se la legge ieri non fosse stata approvata, non credo che sarebbe stata una vittoria per coloro che vogliono una università italiana confrontabile con le migliori università estere. Per come funziona adesso la politica del nostro Paese, si sarebbe trattato di una vittoria per le forze, ben rappresentate sia nella maggioranza sia nell`opposizione, le quali vogliono una continuazione dello status quo. Il riformismo e il dialogo bipartisan sono deboli ovunque in democrazia, e da noi in particolare, perché incontrano due nemici poderosi: gli interessi conservatori e gli schieramenti ideologici. E’ facile capire l`inimicizia dei primi. Meno facile per i secondi, specie in un campo in cui sarebbe lecito presumere la presenza di un gran numero di persone informate, appassionate del proprio lavoro e non accecate dall`ideologia. Mi ha però colpito che gran parte dei miei colleghi con un orientamento politico di centrodestra sia a favore della legge – circola anche un appello da loro firmato, un po` enfatico per i miei gusti – e gran parte di quelli di centrosinistra sia contro: il`buon senso e l`equilibrio mica staranno da una parte sola! In condizioni politiche esasperate – in cui una legge che passa è prevalentemente valutata non nel merito, ma come «vittoria» del governo – non è facile che gli innovatori dei due schieramenti collaborino in una logica bípartisan. Più facile invece che si creino mediocri compromessi tra innovatori e conservatori dello stesso schieramento. E questo potrebbe benissimo accadere anche in un futuro governo di centro o di centrosinistra.
Ragion per cui: teniamoci la Gelmini. Anzi, ripartiamo dalla Gelmini in direzione di una vera autonomia delle università.