DE NICOLA: SE AVVOCATO NON FA RIMA CON MERCATO

LA RIFORMA FORENSE CHE LA MAGGIORANZA DI CENTRODESTRA STA VARANDO IN SENATO A TAPPE FORZATE E’ VOLUTA SOLTANTO DALLA PARTE PIU’ TRADIZIONALISTA DEGLI AVVOCATI, MA E’ OSTEGGIATA DALLE ASSOCIAZIONI DI IMPRENDITORI, CONSUMATORI, ANTITRUST E BANCA D’ITALIA

Articolo di Alessandro De Nicola (avvocato, professore in business law all’Università Bocconi, presidente della Adam Smith Society), pubblicato sul Sole 24 Ore del 29 ottobre 2010

“Zavorre d’Italia” è il titolo di un agile libro che il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, ha appena pubblicato. E se c’è una categoria che ha deciso di fregiarsi del titolo di “orgogliosa zavorra d’Italia” è quella degli avvocati.
La Commissione giustizia del Senato sta infatti esaminando la proposta di legge sul riordino della professione forense e a breve si deciderà se portare il testo nell’aula del Senato o se lasciare spazio ad ulteriori discussioni.
Quali sono i punti qualificanti del ddl?
In primis si allarga l’ambito delle esclusive. Solo gli avvocati potranno patrocinare davanti ai tribunali ma anche nei procedimenti delle autorità amministrative indipendenti come Consob e Antitrust, benché professori universitari, economisti, giuristi d’impresa potrebbero farlo benissimo senza danno per il cliente. Inoltre, persino la consulenza legale e stragiudiziale “in ogni campo del diritto” (anche le multe stradali? In fondo il codice della strada è diritto) saranno (salvo rare esplicite eccezioni) dominio dei togati professionisti.
Viene sancito il divieto di costituzione di società di capitali e, inspiegabilmente, della possibilità di appartenenza di un avvocato a più associazioni professionali (un normale individuo può essere socio di quante società di persone vuole…). La chiusura ai capitali di rischio è illogica, in quanto gli studi legali per crescere potranno contare solo sul credito bancario e non è chiara la differenza tra il prendere ordini dal direttore di una filiale ed accogliere un socio finanziatore di cui ci si fida. Nel resto del mondo, peraltro, le società tra professionisti a responsabilità limitata e con partecipazione di capitalisti avanzano inesorabilmente (in Australia si quotano in borsa) e quindi gli studi stranieri si troveranno in indubitabile vantaggio rispetto ai nostrani che non potranno più attrarre i talenti migliori o espandersi all’estero.
La parte più controversa riguarda le tariffe professionali. Si cancella difatti il decreto Bersani e si reintroducono gli onorari minimi “inderogabili e vincolanti”; si vieta il patto di quota-lite (il compenso in percentuale di quanto l’avvocato riesce a portare a casa per il cliente), mentre le tariffe massime hanno una limitata derogabilità. Si tratta di una misura anti-concorrenziale ed inefficiente. Gli avvocati non sono riusciti a dimostrare che la riforma Bersani abbia diminuito la qualità delle prestazioni (nonostante gli avvocati aumentino, ad esempio, i procedimenti disciplinari sono rimasti stabili) o impoverito i professionisti (i redditi sono cresciuti 2 anni su tre, eccetto nell’anno di crisi quando sono diminuiti meno del PIL in generale). La quota–lite, poi, aiuta i clienti deboli: se l’avvocato non vince niente parcella, ma se la causa è insensata il legale non accetterà l’incarico.
Altri punti critici riguardano l’accesso alla professione, l’apertura degli Ordini a soggetti esterni, la pubblicità, le incompatibilità. Tutti trattati con l’intento di proibire, restringere, delimitare. Non so perché gli avvocati e i loro supporter in Parlamento abbiano scelto di mettersi tutti contro ma, come il passato insegna, “molti nemici molto onore” non è un motto particolarmente astuto né vincente.

arenicola@adamsmith.it

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