LA QUESTIONE DELLA SUBORDINAZIONE NELLA PROFESSIONE FORENSE

UN’IPOCRISIA NORMATIVA CHE MERITA DI ESSERE DISCUSSA E SUPERATA NELLA DISCIPLINA DEL LAVORO DELL’AVVOCATO

Lettera pervenuta il 23 ottobre 2010 – Segue la mia risposta

Egregio Senatore, i liberi professionisti – e soprattutto gli avvocati – sono in aumento vertiginoso. Negli ultimi dieci anni in Italia sono raddoppiati. Nel settore forense, molti di questi collaborano in favore di altri professionisti in posizione di semi-subordinazione, senza alcun contratto scritto. La legge professionale forense del 1933 – tuttora in vigore – vieta agli avvocati di essere dipendenti pubblici o privati; ma di fatto essi lo diventano quando collaborano nei grandi studi legali. Sono subordinati senza regole e contratto.
Il contratto di lavoro professionale autonomo ma al tempo stesso continuativo e coordinato non è disciplinato specificamente dal nostro ordinamento.
Nel dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense, non mi sembra che si affronti il problema della collaborazione continuativa del libero professionista in favore di un unico committente-libero professionista, dal quale dipende economicamente.
Perché nessuno pensa a come disciplinare il lavoro autonomo continuativo dei liberi professionisti? Eppure in Spagna, Francia e U.S.A. ci sono norme e regole ben precise. Perché in Italia no?
L’ avvocato-dipendente non è un libero professionista. Dipende da uno studio, segue la logica dello studio. Questa è una figura che altri Paesi hanno riconosciuto. La Spagna per esempio. Da noi si preferisce una strada più ipocrita: quella delle partite iva, avvocati dipendenti mascherati. E allora: liberi professionisti o lavoratori precari? E soprattutto: è così che si tutela “la dignità e il decoro” della categoria?
M.V.

E’ vero: l’incompatibilità, posta dal nostro ordinamento attuale, fra l’iscrizione all’albo degli avvocati e la posizione di lavoratore subordinato è una forma di ipocrisia: nella realtà, non soltanto i praticanti, ma anche molti avvocati abilitati che lavorano di fatto “a stipendio” nei grandi studi professionali sono sostanzialmente dei lavoratori subordinati, per i quali sarebbe opportuna – oltre che, forse, costituzionalmente necessaria –  una disciplina speciale che ponga almeno, al di sotto di una determinata soglia di reddito, alcune protezioni essenziali (una estensione meccanica della disciplina generale del lavoro subordinato così come essa è oggi mi parrebbe invece per molti versi inopportuna). Ho posto la questione al Senato, nel corso della discussione sulla riforma dell’ordinamento forense (nel mio penultimo intervento della sessione pomeridiana di mercoledì 20 ottobre): vedremo nei giorni prossimi se, nel prosieguo della discussione, ci sarà da parte della maggioranza una qualche apertura su questo punto. (p.i.)

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