QUANDO IL POSTO DI LAVORO E’ OGGETTO DI TRASMISSIONE A TITOLO EREDITARIO

UN ACCORDO AZIENDALE STIPULATO PRESSO LA BANCA UNICREDIT, IN FUNZIONE DI UNA RIDUZIONE DI ORGANICO, SOLLECITA ALCUNE RIFLESSIONI SUGLI EFFETTI NEGATIVI DEL REGIME DI SOSTANZIALE JOB PROPERTY OGGI IN VIGORE IN ITALIA

Intervisa a cura di Alessandra Chello, pubblicata sul quotidiano Il Mattino il 19 ottobre 2010

L’accordo Unicredit sugli esuberi appena siglato riserva tra le altre cose una priorità nell’assunzione per i figli dei dipendenti che vanno in pensione: le sembra un criterio giusto?
Gli accordi di questo tipo sono una tipica manifestazione del regime di job property che caratterizza oggi il diritto e la cultura del lavoro nel nostro Paese: poiché il posto di lavoro è oggetto di un diritto di proprietà, è giusto che lo si possa lasciare in eredità a un proprio figlio o nipote.

E’ una consuetudine esclusiva del settore bancario o anche altri comparti vi ricorrono?
Clausole di questo genere si sono viste, anche abbastanza recentemente, in contratti collettivi dei settori dei servizi, del settore dei trasporti, e in particolare di quello aeroportuale. In passato, però, queste clausole erano molto più frequenti, anche nelle grandi aziende del settore industriale. Ora, per fortuna, non più.

La si può considerare come una prassi tutto sommato adatta a un mercato del lavoro vischioso e un po’ asfittico come è quello italiano?
Direi proprio di no: questa prassi accentua la vischiosità di cui lei parla, accentua il familismo e il difetto di mobilità dei lavoratori, quindi peggiora l’allocazione delle risorse umane nel tessuto produttivo, limitando drasticamente la possibilità di selezione reciproca fra chi cerca e chi offre lavoro. Quando ci chiediamo perché il lavoro in Italia è meno produttivo rispetto agli altri grandi Paesi europei, dobbiamo considerare che anche il regime di job property contribuisce a questo difetto di produttività.

Quando in Italia prenderà finalmente quota il criterio della meritocrazia tanto sbandierato?
Quando saremo capaci di costruire la sicurezza dei lavoratori non dentro l’azienda, ma nel mercato; cioè non sull’ingessatura del posto di lavoro, ma sulla garanzia di sostegno del reddito e di investimento nella loro professionalità in occasione del passaggio da un’azienda a un’altra.

Questa sorta di eredità lavorativa può secondo lei creare delle discriminazioni all’interno dell’azienda rispetto ad altri giovani che per essere assunti devono sostenere un regolare concorso?
La discriminazione è peggiore: perché, in questo modo, chi non è parente di un “insider” non ha neanche la possibilità del concorso aperto, dal momento che il posto viene assegnato direttamente al figlio di papà per diritto ereditario.

Potrebbe anche diventare una sorta di condizionamento per il futuro di un figlio?
Un condizionamento profondamente antieducativo per i figli dei lavoratori interessati, certamente. Invece di stimolarli al massimo impegno nello studio e nella formazione professionale, si invia loro il messaggio secondo cui il posto è comunque garantito in famiglia, senza bisogno di conquistarselo. Ma al tempo stesso si fa il loro danno, perché li si distoglie dal cercare il lavoro che preferiscono, quello per il quale sentono una vera vocazione. Più in generale, si tramanda loro una concezione del mercato del lavoro vecchia e falsa: quella di un mercato in cui se non sei raccomandato non hai alcuna possibilità. Perché impegnarsi per un lavoro migliore, in un mercato come questo?

Anche una sorta di giustificazione per bamboccioni vecchi e nuovi, dunque.
Sì: i bamboccioni sono proprio figli di quella vecchia cultura: rovinosa per il lavoro dei giovani, ma anche per l’intera economia nazionale.

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