I CASSINTEGRATI NON POSSONO ESSERE CONSIDERATI TUTTI DISOCCUPATI, MA IN LARGA PARTE SI’: E’ PURTROPPO DIFFUSISSIMO L’ABUSO DELLA CIG PER MASCHERARE SITUAZIONI NELLE QUALI NON CI SONO POSSIBILITA’ REALI DI RIPRESA DEL LAVORO NELLA STESSA AZIENDA – INVECE DI PRENDERSELA CON LA BANCA D’ITALIA CHE DENUNCIA QUESTA REALTA’, PERCHE’ IL GOVERNO NON SI ATTIVA PER RIQUALIFICARE PROFONDAMENTE IL SISTEMA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI?
Editoriale per la Newsletter n. 123, del 18 ottobre 2010
L’ultimo bollettino trimestrale della Banca d’Italia avverte che i disoccupati in Italia sono molto più numerosi di quanto dicano i dati forniti dall’Istat: 11 per cento della forza-lavoro complessiva (con un tasso tre volte maggiore nella fascia di età tra i 16 e i 24 anni), rispetto all’8,5 per cento complessivo delle statistiche ufficiali. I ministri Tremonti e Sacconi protestano, qualificando i dati forniti dalla Banca centrale rispettivamente come “inutilmente ansiogeni” e come “esoterici”, ovvero non più affidabili di quelli che avrebbero potuto essere forniti dal mago Otelma.
La questione sta tutta nel fatto che l’Istat non computa tra i disoccupati né i lavoratori in Cassa integrazione (poiché formalmente il rapporto di lavoro di cui essi sono titolari non è cessato, ma soltanto temporaneamente sospeso), né coloro che non manifestano la propria disponibilità al lavoro cercando una occupazione. La Banca d’Italia, invece, bada più alla sostanza che alla forma, computando tra i disoccupati anche: a) coloro che hanno perso il posto e non ne cercano un altro perché “scoraggiati”, dopo aver trovato troppe porte chiuse; b) i cassintegrati a zero ore.
E’ corretto il dato fornito da via Nazionale?
Gli “scoraggiati”, certo, sono sostanzialmente dei disoccupati: computarli come tali è necessario, se si vuole avere una visione realistica della quantità di posti di lavoro che sono andati perduti nel biennio di recessione che abbiamo alle spalle.
Quanto ai cassintegrati, il discorso è più complesso: se la legge venisse generalmente rispettata da imprese e sindacati, essi non dovrebbero essere computati come disoccupati: per legge la Cassa potrebbe erogare l’integrazione salariale soltanto nei casi in cui sia ragionevolmente prevedibile la ripresa del lavoro al termine dell’intervento. Nella realtà, però, è molto diffusa la prassi di chiedere (e di concedere) l’intervento della Cassa anche in situazioni nelle quali è certo che la ripresa del lavoro nella stessa azienda non ci sarà. Questo è il motivo per cui gli analisti della Banca d’Italia considerano come disoccupati anche i cassintegrati a zero ore. In questo modo, certo, il dato sulla disoccupazione si avvicina di più alla realtà; è vero che esso così finisce coll’inglobare anche lavoratori il cui rapporto di lavoro è soltanto temporaneamente sospeso, ma è anche vero che il tasso di disoccupazione viene calcolato così anche in molti altri Paesi, come gli U.S.A., dove ai fini statistici non si fa differenza tra i lavoratori “laid off” temporaneamente e quelli “laid off” definitivamente.
La realtà è che l’uso della Cassa integrazione nel nostro Paese è in larga parte gravemente sbagliato. Ce ne serviamo per “congelare” situazioni di disoccupazione effettiva nascondendola sotto l’apparenza di una sospensione temporanea. Per paura di usare l’odiata parola “licenziamento”, fingiamo che il rapporto di lavoro sopravviva per un anno, o magari due o tre, in regime di “sospensione”. Così facendo sprechiamo quell’anno, biennio o triennio, che potrebbe e dovrebbe essere utilizzato da subito per il riorientamento, la riqualificazione del lavoratore e ricollocazione del lavoratore nell’economia regolare. Una parte dei cassintegrati se ne sta con le mani in mano, perché il trattamento non è condizionato alla partecipazione a iniziative di riqualificazione, né tanto meno all’accettazione delle opportunità di lavoro alternative offerte dal mercato locale; un’altra parte dei cassintegrati, invece, si dedica al lavoro nero.
Questo uso distorto – e persino dannoso – della Cassa integrazione è una delle manifestazioni più evidenti dell’incapacità del nostro sistema di servizi al mercato del lavoro di assistere correttamente i lavoratori nel passaggio dalle aziende che necessitano di ridurre gli organici a quelle che necessitano di nuova manodopera qualificata. Ed è davvero sorprendente che il ministro del Lavoro non percepisca la necessità di una svolta drastica su questo terreno. Invece di prendersela con i dati opportunamente forniti dalla Banca d’Italia, perché non si occupa di mettere in cantiere misure capaci di stroncare l’abuso della Cassa integrazione? E che cosa aspetta a destinare le risorse così risparmiate a un sistema moderno di sostegno del reddito dei lavoratori che perdono il posto di lavoro e di investimento sulla loro professionalità, mirato agli sbocchi occupazionali effettivamente offerti dal mercato del lavoro?
Un progetto di riforma organica della Cassa integrazione e dell’assicurazione contro la disoccupazione orientato nel senso ora indicato (quindi anche volto a istituire gli incentivi giusti per riorientare il comportamento di imprese, lavoratori e sindacati nella direzione del “gioco a somma positiva” di cui si è detto) è quello delineato negli articoli 2116 e 2118-2121 del nuovo Codice del Lavoro semplificato, oggetto del disegno di legge n. 1873/2009. Se al ministro del Lavoro questo progetto non piace, perché non ci dice quali ne sono a suo giudizio i difetti e quale altro progetto propone per riportare la Cassa integrazione alla funzione che le è propria e per far funzionare meglio il sostegno del reddito e i servizi offerti ai lavoratori che perdono il posto?