UNA CAPORETTO DEL SINDACATO

CHE COSA SIGNIFICA LA ROTTURA CON AIR FRANCE PER IL FUTURO DEL SISTEMA ITALIANO DI RELAZIONI INDUSTRIALI
pubblicato dal quotidiano Europa il 5 aprile 2008

La rottura della trattativa tra sindacati ed Air France non porterà forse al fallimento di Alitalia, ma segna certo il fallimento del nostro sistema di relazioni industriali: una Caporetto, tanto più grave in quanto non si vede una linea del Piave.

Forse Jean-Cyril Spinetta non sapeva, quando ha aperto quella trattativa, che scelte del tipo di quelle previste nel suo piano non avrebbero potuto, di fatto, essere adottate senza il consenso almeno tacito di tutti e nove i sindacati che gli si sarebbero seduti di fronte; perché anche un sindacato rappresentativo del 4% del personale, se dissenziente, avrebbe potuto paralizzare la compagnia. Non sapeva che il nostro sistema di relazioni industriali sembra concepito apposta per premiare il sindacalismo irresponsabile, penalizzando quello pensante.

Probabilmente lo stesso Spinetta non sapeva neppure, quando si è dichiarato deluso per l’esito di quella “lunga trattativa”, che i nostri sindacati invece – tutti – la considerano una trattativa cortissima, anzi una “non-trattativa”. Anche quando negoziano questioni assai meno spinose del difficilissimo piano di salvataggio di Alitalia, essi sono affezionati al rito di negoziati defatiganti, che possono durare mesi; negoziati durante i quali essi sono capaci di stare in surplace per giorni o persino settimane, l’uno in attesa che l’altro faccia la prima mossa, mostri la prima apertura.

Fatto sta che il capo di Air France, pur arrivato con le migliori intenzioni, ha finito presto col gettare la spugna, come aveva già fatto quello di KLM nel 1999. Il danno maggiore che ne deriva per il nostro Paese non sta forse tanto nel possibile collasso della nostra compagnia di bandiera, quanto nel messaggio di chiusura agli operatori stranieri che in questo modo il nostro sistema dà clamorosamente di sé: monito per qualsiasi possibille futuro interlocutore. Certo, la stessa immagine il sistema-Italia la aveva data quando aveva fatto le barricate contro Abn Amro nel tentativo di impedirle di acquisire la Banca Antonveneta, o contro Abertis quando era stato in gioco il controllo di Autostrade, o contro AT&T quando si era trattato di Telecom; ma questa volta la vicenda è più clamorosa. Innanzitutto, una compagnia aerea del peso di Alitalia è più conosciuta nel mondo: le sue vicende destano quindi maggiore attenzione, anche fuori del giro degli addetti ai lavori. Inoltre, in questo caso il fallimento dell’operazione desta maggiore sorpresa perché tutti sanno, ormai, che non c’è alcuna alternativa seria a Air France. È questo che impressiona: Cgil, Cisl e Uil appaiono incapaci di cogliere anche l’ultima occasione che si offre loro, prima del fallimento dell’impresa.

Ciò che le blocca è che – in questo settore e in questa azienda in particolare – ormai da anni ogni loro scelta responsabile di negoziazione delle misure di ristrutturazione necessarie viene vanificata dall’ostruzionismo dei sindacati autonomi e del Sult (oggi Sdl) in prima fila. Perché il nostro sistema consente di proclamare e attuare con successo uno sciopero del trasporto aereo anche al sindacato meno rappresentativo, che non ha firmato alcun contratto applicabile in azienda. E consente a qualsiasi lavoratore di godere i benefici del contratto firmato da un sindacato e nel contempo di aderire allo sciopero proclamato contro quello stesso contratto da un altro sindacato.
Ma Cgil Cisl e Uil non sono soltanto le prime vittime di questo sistema: hanno anche la grave colpa di averlo difeso per anni senza accorgersi che in questo modo, almeno nel settore dei servizi pubblici, si scavavano la fossa con le loro stesse mani.

Ora la speranza è che il dramma di Alitalia apra gli occhi a tutti, sindacati confederali per primi. E li induca a riattivare con urgenza – oltre che la trattativa con Air France – anche il negoziato con le associazioni imprenditoriali per un accordo interconfederale che non soltanto stabilisca criteri adeguati di misurazione della rappresentatività sindacale nei settori e nelle aziende, ma stabilisca anche con chiarezza, sulla base di quei criteri, quale sindacato o coalizione, in caso di dissenso insanabile, può contrattare con efficacia generale, spendendo credibilmente la “moneta” della tregua sindacale. Questo significa, almeno nel settore cruciale dei trasporti, dettare una disciplina dello sciopero coerente con la disciplina della contrattazione collettiva.
Solo in questo modo il sindacato può recuperare il proprio ruolo fondamentale di intelligenza collettiva dei lavoratori, capace di valutare un piano industriale alla luce fredda delle circostanze; e, se la valutazione è positiva, guidare i propri rappresentati nella scommessa su quel piano, negoziandone con realismo i contenuti a 360 gradi. Il sistema oggi operante in Italia rende questo mestiere difficilissimo, quando non impossibile.

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