LA FIOM NON VUOLE LE AGGRESSIONI ALLA CISL, MA HA CONTRIBUITO A CAUSARLE DEMONIZZANDO INGIUSTAMENTE L’ACCORDO DI POMIGLIANO, CON L’ACCUSA DI VIOLAZIONI DELLA LEGGE E DELLA COSTITUZIONE CHE NON STANNO IN PIEDI
Intervista a cura di Gianmaria Pica pubblicata sul Riformista del 13 ottobre 2010
Per il giuslavorista senatore del Pd questo clima «è il frutto avvelenato, certamente non voluto dal sindacato dei metalmeccanici della Cgil, della demonizzazione di quell’accordo. Era prevedibile fin dall’inizio che sarebbe finita così».
Il senatore giuslavorista del Pd, Pietro Ichino, parla con il Riformista del clima sindacale avvelenato che sta portando la tensione sociale a livelli altissimi. Ieri un nuovo attacco alla Cisl. La sede di Terni è stata imbrattata da uova e scritte. Dice Ichino: «È il frutto avvelenato, e certamente non voluto dalla Fiom, della falsificazione che la Fiom stessa ha compiuto quando ha denunciato le violazioni della legge e addirittura della Costituzione che sarebbero contenute nell’accordo di Pomigliano. Quella forzatura doveva servire ad altro, ma era prevedibile fin dall’inizio che poi le cose sarebbero andate così».
A che cosa doveva servire?
A demonizzare quell’accordo, per impedire che diventasse un modello, l’inizio di una svolta nel sistema delle relazioni industriali. Questo scopo è stato mancato, anche perché le violazioni in quell’accordo non ci sono proprio. Ma intanto questi gruppi, che per lo più non hanno niente a che fare con il sindacato, hanno preso lo spunto da quella denuncia per demonizzare Cisl e Uil.
Giorni fa alcuni contestatori se la sono presa non solo con i leader Cisl e Uil, ma anche con l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne. Scritte ingiuriose – firmate con falce e martello e con una stella a cinque punte – contro gli autori dell’accordo di Pomigliano sono apparse sui muri di alcune palazzine di Milano. C’è il rischio di un ritorno agli anni di piombo?
Non vedo un rischio di ritorno della lotta armata. E, quel che più conta, a quanto mi risulta non lo vedono neanche gli analisti della Digos. Ma questi episodi segnano comunque un deterioramento grave del clima.
Purtroppo nel nostro paese ogni volta che si è tentata la strada della riforma del lavoro si sono registrate delle aggressioni omicide – Ezio Tarantelli, Gino Giugni (che fu gambizzato dalle Br), Massimo D’Antona, Marco Biagi. L’argomento è delicato. Qual è la sua sensazione?
Il meccanismo è sempre quello: la sinistra politica e sindacale lancia l’anatema contro una legge (la Biagi) o un accordo (questo di Pomigliano), i gruppi estremisti si sentono legittimati a passare alle vie di fatto contro gli autori o i sostenitori del provvedimento contestato. La sinistra lamenta che, con lo stabilire questo nesso, si attenta alla sua libertà di critica. In questo ha una parte di ragione. Resta il fatto che, sia nella contestazione della legge Biagi sia in quella dell’accordo di Pomigliano, il tasso di faziosità e falsificazione del dato oggettivo è stato ed è molto alto. E anche la falsità è una forma di violenza.
Ormai in Italia siamo arrivati a un bipolarismo sindacale: da una parte Cisl e Uil, dall’altra la Fiom Cgil. E frutto della naturale trasformazione e modernizzazione delle sigle confederali?
In un regime come il nostro di pluralismo sindacale garantito dalla Costituzione, questo bipolarismo dovrebbe considerarsi fisiologico. Quello che è patologico è che il nostro sistema delle relazioni industriali sia ancora retto da regole scritte quando sembrava che l’unità sindacale organica fosse dietro l’angolo. Il risultato è che il dissenso insanabile tra i sindacati maggiori genera paralisi.
Per il prossimo 16 ottobre è stata indetta la manifestazione della Fiom. Parteciperà anche Guglielmo Epifani. Sarà una manifestazione pacifica?
Lo ritengo molto probabile. Lo è sicuramente nell’intendimento dei suoi promotori.
Il leader della Cgil verrà contestato?
Cercheranno di smussare gli angoli ed evitare gli attriti con la confederazione.
Bonanni in una lettera al Corriere della sera ha detto che «contro i cattivi maestri non occorre utilizzare slogan da anni 70» ma «firmare tanti accordi, a partire da Termini Imerese». Concorda con le parole del segretario della Cisl?
Sì, ma con una precisazione: gli accordi vanno firmati quando la controparte è affidabile e presenta un piano industriale ben fatto e credibile. È giusto criticare chi dice sempre pregiudizialmente di no, ma sarebbe sbagliato anche teorizzare che si debba dire sempre sì.
Secondo lei, quale sarà il futuro del sindacato in Italia?
Ho scritto un libro per rispondere a questa domanda: “A che cosa serve il sindacato” (Mondadori, 2005). Nel terzo capitolo di quel libro è previsto esattamente quello che sta accadendo in questi giorni; ed è disegnato un futuro all’insegna del confronto e competizione tra due modelli diversi di sindacalismo: proprio quelli incarnati oggi da Cgil da una parte, Cisl e Uil dall’altra. Se questo confronto avverrà in una cornice di regole capace di evitare che il contrasto generi paralisi, la dialettica tra i due modelli può anche portare risultati molto positivi.