LA FIOM INSISTE A DENUNCIARE UNA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 40 DELLA COSTITUZIONE NEL PUNTO 15 DELL’ACCORDO DI POMIGLIANO, CHE NON RIGUARDA AFFATTO LO SCIOPERO – VIENE INVECE ABBANDONATA LA TESI SECONDO CUI LA DISPOSIZIONE CONTRO LE PUNTE DI ASSENTEISMO ABUSIVO VIOLEREBBE LA LEGGE
Articolo di Andrea Amendola, Segretario della Fiom-Cgil di Napoli, pubblicato su l’Unità dell’8 ottobre 2010, in replica al mio editoriale pubblicato sul Corriere della Sera del giorno precedente – Segue la mia contro-replica
Egregio Professore, sono un dirigente sindacale della Fiom-Cgil dello stabilimento Giovan Battista Vico di Pomigliano e come tale ho partecipato alla trattativa con Fiat. Mi occupo delle questioni sindacali inerenti allo stabilimento dal 2003 e proprio il 24 aprile 2003 fu siglato un accordo definito «storico», tra la Fiat e tutte i sindacati.
Quell’accordo prevedeva 500 milioni di euro di investimenti annuali per quattro anni. Quindi complessivamente 2 miliardi di euro (altro che gli attuali 700 milioni di euro), nuova occupazione per 1500 addetti, la produzione di tutte le nuove vetture Alfa, oltre ad un fuoristrada chiamato Kamal. Dopo due anni la Fiat ci comunicò che quell’accordo non era più valido e delle produzioni previste si persero le tracce, tranne che per l’Alfa 159.
Ho voluto ricordarle quell’accordo perché, a Pomigliano, negli ultimi sette anni, spesso i piani presentati hanno subìto modifiche e ripensamenti. Capisco che siamo in un periodo di cultura critica debole, ma un po’ di dubbi sulle prospettive del piano Fiat Italia e sui risvolti occupazionali non guasterebbe.
Ho letto, professore, con interesse le molte sue interviste ed i suoi interventi su vari quotidiani nazionali e mi hanno molto colpito i termini che lei usa: sabotaggio, guerriglia giudiziaria, tregua, termini che noi sindacalisti della Fiom, massimalisti e conflittuali,non utilizziamo. Se poi lei vuole equiparare il diritto di sciopero al sabotaggio, i ricorsi giudiziari alla guerriglia giudiziaria lo può fare, ma deve ammettere che lei utilizza argomenti propri della destra illiberale di questo Paese.
Ma veniamo al motivo principale di questa lettera. Innanzitutto due considerazioni. La prima: lei sostiene che nell’accordo di Pomigliano c’è una clausola di tregua. Una tregua come quella fatta alla Chrysler, negli Usa, da Marchionne con i sindacati. Infatti i sindacati americani non potranno scioperare fino al 2014 per le questioni salariali. Per Pomigliano penso che lei si riferisca alla clausola cosiddetta di responsabilità. Bene, ma la clausola successiva (… la violazione da parte del lavoratore di una delle clausole del presente accordo costituisce infrazione disciplinare…) cosa c’entra con la tregua? E un lavoratore che sciopera per esempio sul 18° turno del sabato incorre o no in un provvedimento disciplinare? E se incorre in un provvedimento disciplinare, c’è o non c’è una violazione dell’art. 40 della Costituzione?
Seconda considerazione: se non sbaglio, oltre a essere un famoso professore e giuslavorista lei è anche un parlamentare del Pd e di conseguenza non si può nascondere dietro la «cattedra». È legittimo che lei e alcuni parlamentari del centro-sinistra sosteniate le ragioni dell’impresa e le sue esigenze di flessibilità, ne teniamo conto anche noi nel rapporto con le aziende. Ma non le viene mai in mente che anche i lavoratori hanno delle esigenze. Lasciamo stare i diritti, ma si è chiesto cosa penserà nel 2012 un lavoratore del montaggio di Pomigliano a cui sono stati tolti 10 minuti di pausa e la mensa spostata a fine turno, inserita nello straordinario obbligatorio?
Il consenso dei lavoratori per il centro-sinistra e per la sinistra è un problema. Le analisi sul dopo voto non serviranno più perché come diceva mio nonno: «la frittata è già fatta». Per carità niente a che fare con Pavese, Machiavelli e Marx, mio nonno era solo un contadino del sud.
Infine, egregio professore, spero che questa mia lettera non venga intesa come «una tecnica di demonizzazione di chi dissente». A lei va la mia solidarietà per le continue minacce che ha dovuto subire in questi anni ma tra il capitale e il lavoro oggi ad essere demonizzato è quest’ultimo.
LA MIA CONTRO-REPLICA AD ANDREA AMENDOLA
In primo luogo ringrazio il Segretario della Fiom di Napoli della sua lettera aperta e anche del suo tono civile e pacato. Per maggiore chiarezza e brevità, rispondo punto per punto.
“… il 24 aprile 2003 fu siglato un accordo definito «storico», tra la Fiat e tutti i sindacati […] Dopo due anni […] delle produzioni previste si persero le tracce, tranne che per l’Alfa 159. […] …un po’ di dubbi sulle prospettive del piano Fiat Italia e sui risvolti occupazionali non guasterebbe”.
Nel 2003 Sergio Marchionne non era ancora alla guida della Fiat. Se, comunque, la Fiom ritiene che anche il piano industriale proposto da Marchionne non meriti fiducia, a causa dell’inaffidabilità di chi lo propone, questo allora la Fiom deve dire chiaramente: “non firmiamo accordi con te perché non ci fidiamo della tua parola”. Ed è cosa ben diversa dal dire: “non firmiamo questo accordo perché viola la legge”.
“… mi hanno molto colpito i termini che lei usa: sabotaggio, guerriglia giudiziaria, tregua, termini che noi sindacalisti della Fiom, massimalisti e conflittuali, non utilizziamo. Se poi lei vuole equiparare il diritto di sciopero al sabotaggio, i ricorsi giudiziari alla guerriglia giudiziaria lo può fare, ma deve ammettere che lei utilizza argomenti propri della destra illiberale di questo Paese”
Non ho mai usato il termine sabotaggio, né in riferimento alla battaglia della Fiom contro l’accordo di Pomigliano, né in riferimento al comportamento di singoli lavoratori. Ho usato, questo sì, il termine guerriglia giudiziaria; non mi sembra inappropriato, dal momento che la stessa Fiom ha esplicitamente preannunciato una dura battaglia contro l’accordo di Pomigliano proprio sul piano giudiziario, con ricorsi dell’organizzazione sindacale e dei singoli lavoratori. Quanto al termine tregua sindacale, con la sola eccezione della Francia esso appartiene da almeno mezzo secolo al linguaggio di tutti i maggiori sistemi di relazioni industriali europei, dalla Svezia alla Germania, all’Austria, all’Olanda, alla Danimarca, alla Svizzera, alla Gran Bretagna, alla Spagna, per nominare solo i più importanti: non mi pare che essi possano essere qualificati tutti come sistemi ispirati a principi di “destra illiberale”.
“… i sindacati americani non potranno scioperare fino al 2014 per le questioni salariali”.
Anche nel sistema statunitense delle relazioni industriali, come in quelli europei appena citati, è normale che il sindacato, quando si accorda con l’impresa sui livelli retributivi per un determinato periodo, si impegni – a nome proprio e dei lavoratori che rappresenta – a non rimettere in discussione quella materia per la durata del contratto. Di questo si parla quando si parla di clausola di tregua sindacale. E aggiungo che negli U.S.A., come in tutti i Paesi nominati sopra, la clausola di tregua non vincola soltanto il sindacato che la stipula ad astenersi dal proclamare lo sciopero, ma vincola anche i lavoratori cui il contratto si applica a non aderire a scioperi proclamati da sindacati diversi. E’ solo in Italia che – al di fuori del settore dei servizi pubblici essenziali, dove la materia è disciplinata dalla legge – si discute se questo vincolo contrattuale possa essere esteso ai singoli lavoratori oppure no.
“Per Pomigliano penso che lei si riferisca alla clausola cosiddetta di responsabilità. Bene, ma la clausola successiva («… la violazione da parte del lavoratore di una delle clausole del presente accordo costituisce infrazione disciplinare…») cosa c’entra con la tregua?”
Questa clausola, contenuta nel § 15 dell’accordo di Pomigliano, è stata formulata in questo modo proprio per non toccare la materia dello sciopero. In proposito il professor Raffaele De Luca Tamajo, consulente della Fiat nella negoziazione dell’accordo, ha confermato pubblicamente a più riprese che col termine”violazioni” la clausola intende riferirsi ai comportamenti individuali dei lavoratori che possano essere qualificati come inadempimento del contratto e che non si è inteso ricomprendervi lo sciopero (perché, dunque, la Fiom non lo ha preso in parola, firmando proprio con questa motivazione?). Questa scelta si è resa necessaria proprio perché in Italia non è chiaro se la clausola di tregua possa ritenersi vincolante anche per i singoli lavoratori oppure no.
“… E un lavoratore che sciopera per esempio sul 18° turno del sabato incorre o no in un provvedimento disciplinare?”
Come si è appena visto, la clausola contenuta nel § 15 non sanziona la partecipazione del lavoratore a uno sciopero – per esempio uno sciopero sul 18° turno – proclamato da sindacati non firmatari dell’accordo. E proprio questo è uno dei motivi di preoccupazione di Marchionne, il quale denuncia, a questo proposito, un difetto del nostro sistema di relazioni industriali rispetto a quelli di tutto il resto dell’occidente industrializzato: perché – si chiede l’Amministratore delegato della Fiat – in tutti gli altri Paesi si può stipulare coi sindacati un contratto avendo la sicurezza che i rispettivi ordinamenti garantiranno l’efficacia della clausola di tregua, mentre in Italia questo non è possibile? E questa non è una preoccupazione soltanto teorica, se è vero che a Pomigliano è stato già proclamato dai Cobas uno sciopero dello straordinario (quindi anche del 18° turno, che è “costruito” interamente con un’ora e mezza settimanale media di straordinario, rispetto all’orario normale di 38 ore e mezza) da oggi fino al 2014. Stante la non opponibilità della clausola di tregua ai singoli lavoratori, questo significa che ciascun dipendente dello stabilimento da qui al 2014 potrà, aderendo allo sciopero proclamato dai Cobas, sottrarsi in qualsiasi momento all’applicazione della clausola sul 18° turno, che costituisce uno degli elementi essenziali del piano. Non è l’accordo di Pomigliano che viola il nostro ordinamento; è questo nostro ordinamento, ispirato per questo aspetto al modello sindacale della “conflittualità permanente” anni ’70, che richiede di essere corretto per adeguarsi agli standard dei Paesi più civili e avanzati.
“… E se [il lavoratore che sciopera per esempio sul 18° turno del sabato] incorre in un provvedimento disciplinare c’è o non c’è una violazione dell’art. 40 della Costituzione?
Stante la formulazione del § 15 dell’accordo, come si è visto, al lavoratore che aderisce – per esempio – allo sciopero dei Cobas proclamato proprio contro il 18° turno non viene comminata alcuna sanzione disciplinare: in quella clausola, semplicemente, non si parla di sciopero. Quanto alla clausola di tregua (o “di responsabilità”) contenuta nel § 14 dell’accordo, essa vincola soltanto i sindacati firmatari. Questo, a mio modo di vedere, è il risultato sbagliato di un sistema che occorre correggere (su questo punto mi sembra proprio che Marchionne abbia ragione e che i sindacati italiani avrebbero tutto l’interesse a riconoscerlo): non si vede proprio perché in Italia una coalizione sindacale che abbia il sostegno della maggioranza dei lavoratori di un’azienda non possa stipulare una clausola di tregua contrattuale con la stessa efficacia che questa clausola ha in quasi tutti gli altri Paesi. Qualcuno ha sostenuto che la clausola di tregua violerebbe il principio di libertà sindacale, ovvero più precisamente la libertà di sciopero di chi non aderisce al sindacato che ha firmato il contratto; ma questa tesi non regge, perché il principio di libertà sindacale non comprende soltanto il diritto di sciopero, ma anche il diritto di autonomia collettiva, ovvero di stipulare contratti collettivi validi ed efficaci; il contemperamento tra queste due espressioni del principio di libertà sindacale non può che fondarsi sul principio di democrazia sindacale: in caso di contrasto insanabile tra associazioni dei lavoratori, deve essere la coalizione maggioritaria a poter decidere. Oggi, invece, è il sindacato minoritario a poter porre il veto – proclamando appunto lo sciopero contro il contratto appena stipulato – sulle scelte della coalizione maggioritaria.
“… oltre ad essere un famoso professore e giuslavorista lei è anche un parlamentare del Pd e di conseguenza non si può nascondere dietro la «cattedra»”
Non mi nascondo affatto. Anche perché quando, nella primavera 2008, il Pd mi propose di candidarmi al Senato, me lo propose proprio invitandomi a portare in Parlamento e nel Paese le mie idee, il frutto del mio studio e delle mie ricerche svolte fino a quel momento in università. E’ quanto ho fatto negli ultimi due anni e mezzo in Senato, sulle pagine dei giornali, nelle trasmissioni televisive e quotidianamente in questo sito, sempre qualificandomi come parlamentare del Pd, oltre che come professore di diritto del lavoro; e sempre comunque rispettando la disciplina del mio Gruppo nel voto in Parlamento, anche quando non ne ho condiviso le scelte. Le mie idee, del resto, non sono così eccentriche rispetto a quelle del Pd, se la mia interrogazione urgente del luglio scorso sulla vicenda di Pomigliano d’Arco è stata sottoscritta, oltre che da tutti i senatori Pd della Commissione Lavoro, anche dai tre vice-presidenti del Gruppo.
“… non le viene mai in mente che anche i lavoratori hanno delle esigenze?”
Se la Fiom avesse motivato il rifiuto dell’accordo di Pomigliano con l’eccesso di pesantezza della nuova organizzazione del lavoro, non mi sarei mai sognato di interloquire sul punto: si sarebbe trattato di materia di esclusiva competenza sindacale. Ma non è andata così. Anzi, la Fiom ha ripetutamente dichiarato che tutte le questioni inerenti all’organizzazione e ai tempi di lavoro erano e restano superabili. Essa ha invece motivato il rifiuto drastico sostenendo la tesi secondo cui l’accordo violerebbe la legge con la clausola tendente a combattere un fenomeno particolare di assenteismo abusivo (anche se dall’intervento del suo Segretario napoletano parrebbe che questa tesi sia stata abbandonata); e violerebbe addirittura la Costituzione con la clausola di tregua. Come giuslavorista, ma anche come parlamentare preoccupato per lo sviluppo del mio Paese e in particolare del Mezzogiorno, mi sono sentito in dovere di dire – e qui lo ripeto – che: a) nessuna di queste due affermazioni sta in piedi sul piano giuridico; b) pertanto nessuna di queste due affermazioni può giustificare né la frattura gravissima con gli altri sindacati verificatasi a Pomigliano e poi su scala nazionale, né il rifiuto di un piano industriale come quello proposto dalla Fiat.
“… si è chiesto cosa penserà nel 2012 un lavoratore del montaggio di Pomigliano a cui sono stati tolti 10 minuti di pausa e la mensa spostata a fine turno, inserita nello straordinario obbligatorio?”
Mi sono chiesto, soprattutto, che cosa penserà quel lavoratore se, per opporci alla riduzione dei minuti di pausa da 40 a 30, lo condanneremo a lavorare, invece che nello stabilimento di Pomigliano, nell’economia sommersa controllata dalla camorra, per dieci ore al giorno a 700 euro al mese, senza sindacato e senza diritti di alcun genere. Perché questa oggi è la sola alternativa, nella zona. D’altra parte, l’unico modo per avere alternative serie alla Fiat è imparare a negoziare sui piani industriali innovativi a 360 gradi e senza nascondere la propria paura del nuovo dietro la denuncia di violazioni di legge che non ci sono.
“… Il consenso dei lavoratori per il centro-sinistra e per la sinistra è un problema. Le analisi sul dopo voto non serviranno più perché come diceva mio nonno: «la frittata è già fatta»”.
Sì, è già fatta. Qui al nord, nelle aziende industriali, da tempo sei lavoratori dipendenti su dieci votano per il centro-destra. Non conosco con precisione analitica gli orientamenti elettorali dei lavoratori campani. Ma credo che non sia interesse neanche loro respingere un piano di investimenti come quello proposto dalla Fiat a Pomigliano solo perché i minuti di pausa giornaliera sono ridotti da 40 a 30 (in ogni caso, sulle condizioni di lavoro deve essere la coalizione maggioritaria a poter decidere). Di una cosa, però sono certo: che una parte sempre maggiore dei lavoratori italiani, al nord come al sud, si allontanerà da chi rifiuta un grande investitimento sulla base di pretesi motivi giuridici che, visti da vicino, si rivelano inconsistenti. (p.i.)