LA TESI SECONDO CUI L’ACCORDO DI POMIGLIANO VIOLEREBBE LA LEGGE SERVE SOLO A DEMONIZZARLO IMPEDENDO IL DIBATTITO SULLA VERA QUESTIONE SINDACALE: SE CIOE’ UN INVESTIMENTO DI 20 MILIARDI VALGA TRE DEROGHE MARGINALI AL CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE E UNA CLAUSOLA DI TREGUA
“Lettera sul lavoro” pubblicata sul Corriere della Sera il 7 ottobre 2010 – V. in proposito anche la replica del Segretario della Fiom di Napoli, pubblicata su l’Unità del giorno seguente, con la mia contro-replica
Caro Direttore, un’aggressione come quella di ieri contro la Cisl sarebbe un atto incivile e insensato anche se fosse vero che – come sostiene la Fiom-Cgil – l’accordo firmato dalla Cisl con la Fiat per lo stabilimento di Pomigliano violi la legge. Il fatto è che questa violazione di legge non esiste proprio. Per questo aspetto, la vicenda dell’accordo di Pomigliano merita di essere studiata non soltanto come evento rilevantissimo nell’evoluzione del nostro sistema delle relazioni industriali, ma anche come un case study di straordinario interesse sotto il profilo politologico.
La Fiom non ha motivato il rifiuto di sottoscrivere quell’accordo con un dissenso insuperabile su questioni inerenti all’organizzazione o ai tempi di lavoro, e neppure su questioni inerenti alle retribuzioni. Lo ha motivato con la tesi secondo cui l’accordo violerebbe la legge con la clausola tendente a combattere un fenomeno di assenteismo abusivo verificatosi in passato nello stabilimento di Pomigliano in modo particolarmente frequente; e violerebbe addirittura la Costituzione con le clausole di tregua, tendenti a garantire che l’accordo stesso non sia vanificato da scioperi volti a impedirne l’applicazione. Sul piano giuridico, né l’una affermazione né l’altra sono sostenibili. La materia del trattamento di malattia è interamente demandato dalla legge alla contrattazione collettiva. Quanto al diritto di sciopero, la Costituzione ne affida la regolazione alla legge ordinaria, la quale nulla dice sulle clausole di tregua; per altro verso, in quasi tutti i Paesi dell’occidente industrializzato gli accordi collettivi contengono normalmente clausole di tregua che ne garantiscono l’effettività. La verità è che l’accordo di Pomigliano non presenta alcun attrito con la legge: lo presenta soltanto, e per alcuni aspetti molto marginali, con il contratto collettivo nazionale del settore metalmeccanico.
Se le cose stanno così, perché la Fiom denuncia una violazione della legge e non soltanto un contrasto con il contratto nazionale? Il motivo è questo: mentre è facile mobilitare l’opinione pubblica per difendere la legge, e ancor più per difendere la Costituzione, è invece molto più difficile mobilitarla per difendere la rigida inderogabilità di un contratto collettivo nazionale. Convincere l’intera opinione pubblica della necessità di respingere un piano industriale da 20 miliardi, in una situazione di crisi economica gravissima, in omaggio all’intangibilità di un contratto collettivo appare già di per sé assai problematico; ma appare addirittura impossibile quando – come nel caso di Pomigliano – le deroghe richieste mirano a combattere fenomeni evidenti e massicci di assenteismo abusivo, oppure consistono nell’aumento del limite annuo del lavoro straordinario per conseguire una maggiore saturazione della capacità produttiva di impianti d’avanguardia e costosissimi, in una regione come la Campania che soffre cronicamente di mancanza di lavoro, dove l’alternativa occupazionale per le migliaia di lavoratori interessati è solo il lavoro nero sottopagato, senza diritti e senza sindacati, nel tessuto degradato e infetto dell’economia sommersa controllata dalla camorra.
Quando si discute con loro a tu per tu, i dirigenti della Fiom denunciano il rischio del “piano inclinato”: “si incomincia con queste deroghe marginali e non si sa dove si va a finire”. Essi non considerano che l’argomento del “piano inclinato” è sempre stato il cavallo di battaglia di tutti i conservatorismi. E che oggi, per paura dell’innovazione cattiva o pericolosa, l’Italia si sta chiudendo anche all’innovazione buona, quella che consente di aumentare la produttività e quindi anche di migliorare le condizioni di lavoro.
Comunque, nessun rischio di piano inclinato giustifica la falsità della denuncia di una violazione della legge e della Costituzione, finalizzata a evitare il dibattito di merito sulla questione sindacale. E ancor meno è giustificabile l’avallo che a quella falsità è stato dato acriticamente sulla stampa e nelle trasmissioni televisive da opinionisti autorevoli e persino professori di diritto del lavoro, col risultato (voluto) di indurre mezza Italia a pensare che, effettivamente, l’accordo di Pomigliano violi la legge e configuri un primo passo verso lo “smantellamento dei diritti fondamentali dei lavoratori”. E il risultato (non voluto, ma prevedibile) di indurre qualche testa calda a tirare candelotti contro la Cisl.
Certo, i candelotti non sono pistole. Ma in un Paese nel quale i temi della politica del lavoro sono stati sempre fortemente drammatizzati, al punto che su di essi si è ripetutamente versato il sangue, ci si dovrebbe poter attendere da parte di tutte le persone responsabili una maggiore capacità critica di fronte a forzature gravi, evidenti e pericolose come questa.