LEGGI PIU’ AMICHEVOLI: SEI PROPOSTE PER RILANCIARE LA CRESCITA

L’IPERTROFIA E IL DISORDINE DELLA LEGISLAZIONE HANNO RAGGIUNTO LIVELLI INTOLLERABILI NEL NOSTRO ORDINAMENTO – E’ URGENTE IN TUTTI I SETTORI DEL DIRITTO UN’OPERA DI RIORDINO E RICODIFICAZIONE, CHE NON PUO’ CONSISTERE SOLTANTO NEL MACERO DELLE NORME DESUETE

Saggio di Marcello Clarich, ordinario di diritto amministrativo nella Facoltà di giurisprudenza della Luiss “Guido Carli, e Bernardo Giorgio Mattarella, ordinario di diritto amministrativo nella Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Siena e nella Scuola superiore della pubblica amministrazione – Sede di Roma.

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L’inflazione e il disordine normativo hanno raggiunto livelli intollerabili nel nostro Paese. Il sistema regolatorio nel suo complesso, incluse le inefficienze e le lentezze della macchina giudiziaria, incide negativamente sulla competitività del sistema produttivo. Ciò per almeno due vie: l’aumento dei costi diretti e indiretti che gravano sulle imprese derivanti dall’instabilità e incertezza del quadro normativo, dall’eccesso di adempimenti e formalità amministrative imposte, dall’arbitrarietà in sede applicativa; la dissuasione di nuovi investimenti da parte di operatori italiani e stranieri che vengono dirottati verso ordinamenti più “business friendly”.
I difetti del sistema regolatorio sono spesso ridotti a una sola questione: l’eccessivo numero delle leggi. Ma ce ne sono anche altre e non meno importanti. Le leggi e i regolamenti sono sicuramente troppi, ma sono anche emanati e modificati troppo frequentemente, poco coordinati tra loro, mal scritti, poco conoscibili, interpretati in modo incerto e incostante.

Questa situazione patologica dipende da molti fattori. I principali sono: la dominanza di una cultura giuridica attenta alle forme e alle soluzioni astratte e insensibile alla fattibilità concreta delle norme e ai costi della loro applicazione; la credenza diffusa che i problemi si risolvano attraverso la modifica delle norme, piuttosto che con azioni concrete in sede applicativa; la molteplicità di livelli di produzione normativa (Unione europea, Stato, regioni, enti locali ecc.) e di tipi di fonte (leggi, regolamenti, decreti attuativi, circolari ecc.); la pressione di “lobby” particolari e l’assenza di strumenti efficaci di controllo dei procedimenti normativi; l’eccessiva discrezionalità dell’amministrazione in sede di interpretazione e applicazione delle norme; la farraginosità e lentezza delle procedure parlamentari, amministrative e giudiziare; l’incapacità del sistema giudiziario di svolgere in modo efficace la funzione di garanzia dell’uniforme applicazione delle norme.

Molti sono stati i rimedi tentati in questi anni, con scarso successo: il riordino della legislazione attraverso codici e testi unici; l’abrogazione di leggi, specie quelle approvate più anticamente; la delegificazione e la semplificazione dei procedimenti; l’introduzione dell’analisi di impatto della regolazione. Alcune occasioni per il ripensamento complessivo del sistema delle regole, peraltro, sono state sprecate. L’ultima è stata il recepimento della direttiva europea sui servizi (ex Bolkestein), che avrebbe dovuto essere preceduto da un censimento completo delle norme statali e regionali in materia di autorizzazioni per verificare la loro compatibilità con i principi di liberalizzazione e di riduzione al minimo indispensabile dei controlli sulle attività private.
Ecco alcune proposte concrete per rendere più amichevole verso le attività di impresa il sistema normativo italiano… Anzitutto, la conoscibilità delle leggi va favorita attraverso un sito istituzionale contenente tutte le norme vigenti. Inoltre, le principali incertezze e disomogeneità interpretative possono essere eliminate attraverso l’emanazione di circolari vincolanti per gli uffici che applicano le norme. Ancora, ogni amministrazione, e in particolare gli sportelli unici, devono e fornire il servizio, previsto in termini generali dalla direttiva servizi, di informare sul modo in cui le norme vengono generalmente applicate. Infine, per abbassare i costi di adeguamento alle norme che gravano sulle imprese vanno introdotti gli adempimenti semplificati a carico delle piccole e medie imprese, la possibilità di effettuare ogni comunicazione e adempimento in via telematica e il rispetto del divieto imposto alle amministrazioni di richiedere documenti detenuti da altre amministrazioni.

1. In Italia la legge è inflazionata e inutilmente costosa

La cultura giuridica italiana è spesso giustamente criticata da chi osserva che è legata a forme costose e spesso inutili e non tiene in adeguata considerazione gli oneri, per le amministrazioni pubbliche e per gli operatori privati, di procedure dettate a tutela di impalpabili interessi pubblici [3]. La consapevolezza che la legge è una risorsa “scarsa”, una moneta pesante da spendere con parsimonia, è ancora poco diffusa. Così come accade per i livelli troppo elevati di tassazione, pubblica amministrazione, imprese e cittadini non sono in grado di metabolizzare innovazioni legislative che superino un certo limite quantitativo. È questa, tra l’altro, una delle ragioni della diffusa, anche se inaccettabile, disapplicazione delle leggi.

La tendenza a disinteressarsi dei costi della regolazione e a concepire la legge solo come una soluzione, e mai come un problema, è ancora frequente. Lo è, in particolare, nel settore pubblico, in tutte le sue componenti: quella legislativa, quella amministrativa, quella giudiziaria. Parlamenti e governi emanano le leggi senza un’adeguata analisi dei costi e dei benefici; le amministrazioni pubbliche, che contribuiscono all’elaborazione delle leggi stesse, ne sono poi vincolate e le applicano in modo formalistico; i giudici le fanno osservare, dopo essersi esercitati in raffinati esercizi di delimitazione della competenza e di valutazione dell’ammissibilità dei ricorsi. Ciascuno di questi operatori si preoccupa molto di rispettare le regole formali, poco di provvedere in fretta e di ottenere risultati.

In questo contesto, il numero delle leggi non è l’unica causa di un sistema regolatorio che dilata i tempi decisionali e accresce l’incertezza; spesso ne è anzi l’effetto. In ogni caso, è una questione grave che va affrontata alle sue radici e risolta. Le leggi dovrebbero essere un prodotto offerto ai cittadini, per migliorare le condizioni del vivere civile e assecondare il loro operare, ma spesso vengono ancora concepite come l’espressione della supremazia dello Stato, che impone il suo potere e il suo volere ai cittadini. E’ enfatizzata la loro astratta possibilità di ottenere un risultato, sono trascurati i concreti costi di implementazione (per le amministrazioni) e di rispetto delle norme (per i privati), che spesso superano ampiamente i benefici. Si sottopone un’attività economica a un regime di autorizzazione, senza confrontare l’interesse pubblico perseguito con il sacrificio alla libertà di iniziativa imprenditoriale (che ha negative ripercussioni anche sul benessere economico) secondo un criterio di proporzionalità. Si impongono oneri informativi ai contribuenti o alle imprese, senza valutare il tempo necessario per l’elaborazione e per la trattazione delle relative dichiarazioni. Si moltiplicano adempimenti amministrativi, semplicemente perché diverse amministrazioni sono coinvolte nella stessa procedura.

La legislazione dovrebbe, invece, essere user-friendly, amichevole per chi la deve rispettare. Naturalmente, l’interesse pubblico impone spesso sacrifici e vincoli a carico dei privati. Tuttavia, gli uni e gli altri dovrebbero essere limitati allo stretto indispensabile, evitando che costi di adempimento ulteriori derivino dall’eccessivo numero e dalla cattiva qualità delle leggi.
Quali siano le reali condizioni del sistema normativo italiano e qual è stata la sua evoluzione è l’oggetto dell’analisi delle pagine che seguono. Dalla quale discende l’indicazione dei rimedi: riportarlo a una dimensione proporzionata, cioè adeguata alla complessità della società e dell’economia, ma non più di quello; rispettare le regole di tecnica legislativa ed essere oggetto di continua manutenzione, ma non di spasmodiche modifiche (par. 2); dargli un assetto il più possibile ordinato, evitando ambiguità e contraddizioni (par. 3); limitare gli adempimenti e, quindi, i costi imposti ai privati (par. 4); renderlo facilmente accessibile e ben amministrato (par. 5).

2. Troppe, mal scritte e peggio applicate

L’elefantiasi normativa

In Italia ci sono certamente troppe leggi rispetto a quanto avviene in altri paesi occidentali. Troppe norme, che vincolano l’attività dei privati e molte hanno un livello troppo alto nella scala delle fonti, essendo spesso costituite da leggi. Inoltre, le leggi sono sempre più spesso emanate dal Governo (decreti-legge e decreti legislativi) e non dal Parlamento, che nella fase attuale è sostanzialmente esautorato dalla funzione legislativa, ma questo non cambia i termini del problema [4].
Per anni ci si è sforzati di calcolare il numero di leggi vigenti e si è discusso sia sulla sua grandezza sia sul metodo di calcolo: le stime oscillavano tra 15mila leggi e una cifra dieci volte superiore. Era una situazione di per sé anomala avere un ordinamento in cui le istituzioni si preoccupassero almeno di conoscere il diritto da esse prodotto: una situazione che mostra che le leggi sono comunque certamente troppe. Il dubbio è stato risolto nel 2007. Nel quadro dell’attuazione del meccanismo “taglia-leggi” previsto, ovviamente anch’esso, da una norma del 2005, si è accertato che le leggi statali vigenti erano 21.691. È ancora un numero troppo elevato, doppio o triplo rispetto a quello di altri paesi europei di dimensione paragonabile: le leggi vigenti in Francia sono meno di 10mila, quelle federali in Germania meno di 5mila.
Alle leggi statali, naturalmente, vanno aggiunte le circa 25mila leggi regionali, oltre agli atti normativi di livello inferiore. E le oscillazioni sono notevoli da regione a regione: non solo tra quelle a statuto speciale (che esistono da più tempo e hanno più competenze) e le altre, ma anche tra le regioni a statuto ordinario (tabella….).

L’invasione di leggi regionali

Numero di leggi e regolamenti regionali vigenti al 31 dicembre 2008[5]

Regione
Leggi
Regolamenti
Abruzzo
2737
160
Basilicata
640
92
Calabria
761
46
Campania
1212
n.d.
Emilia-Romagna
929
41
Friuli-Venezia Giulia
1043
n.d.
Lazio
2170 (*)
156 (*)
Liguria
815
61
Lombardia
632
102
Marche
799
52
Molise
995
54
Piemonte
942
154
Puglia
886
186
Sardegna
2104 (*)
n.d.
Sicilia
2935 (*)
n.d.
Toscana
968
134
Umbria
992
105
Valle d’Aosta
927
66
Veneto
782
38
Prov. Bolzano
1320 (*)
n.d.
Prov. Trento
701
367

(*) Il dato è riferito a quelli emanati e non a quelli attualmente in vigore, non essendo disponibile il dato relativo a quelli abrogati.

Fonte: elaborazione su dati Camera dei Deputati.

Si aggiungono, inoltre, le norme degli enti locali, come i regolamenti comunali in molte materie che spaziano dall’edilizia all’uso degli spazi pubblici, dal commercio ai rifiuti urbani. Su questi regolamenti non vi sono dati complessivi disponibili, ma l’esperienza comune suggerisce che, anche in questo campo, la situazione è molto eterogenea e vi sono ampi margini di sfoltimento e semplificazione: basta pensare alle previsioni cervellotiche e alle procedure parossistiche di certi regolamenti edilizi e delle norme tecniche di attuazione dei piani regolatori.
Il quadro è completato dai regolamenti emanati da varie altre amministrazioni pubbliche, come le autorità indipendenti di regolazione, che incidono in modo spesso intenso sull’attività delle imprese operanti nei relativi settori. Alcune di queste autorità, come la Banca d’Italia, la Consob e l’Autorità per la garanzia nelle comunicazioni, hanno molti poteri normativi, che si traducono in un gran numero di regolamenti, circolari e istruzioni variamente denominati.

La cattiva qualità peggiora

I numeri, in realtà, sono sempre meno significativi, come è stato dimostrato dal fatto che l’abrogazione di migliaia di leggi (molte delle quali erano in realtà già “morte”, perché avevano esaurito tutti gli effetti), operata negli ultimi mesi, non ha prodotto significativi benefici per i cittadini e le imprese. In sé la quantità di leggi era una questione più grave fino a qualche anno fa, quando il Parlamento emanava molte leggi. Non lo è certo oggi, che la funzione legislativa è esercitata essenzialmente dal Governo attraverso decreti-legge e leggi finanziarie, che passano rapidamente, spesso blindati, dal Parlamento. Il loro numero si è ridotto e non è più molto grande, ma il loro contenuto è diventato ancor più eterogeneo e complesso.

Il problema dell’inflazione legislativa, in effetti, più che dal numero di leggi è dato dal difetto di coordinamento tra le leggi e dal loro contenuto frammentario. Ciò dipende dal cattivo modo di legiferare, con la frequente introduzione di norme più o meno urgenti, più o meno nascoste, in leggi e decreti di prossima approvazione o conversione. Le disposizioni che regolano singoli oggetti o materie sono sparse tra un gran numero di leggi, nelle quali è spesso difficile individuare, come si dice in gergo, il “combinato disposto” e il significato che gli va attribuito. Dal punto di vista del numero delle leggi, una singola legge finanziaria o un decreto “milleproroghe” conta per uno, ma dal punto di vista del disordine del tessuto normativo e della fruizione del diritto, produce più danni di decine di leggi di settore.

L’inesauribile e insostenibile flusso della legislazione

L’ammontare eccessivo di norme non riguarda solo lo stock, ma anche il flusso. Non solo sono troppe, ma aumentano sempre e non diminuiscono mai. È, ovviamente, una dinamica innaturale per qualsiasi strumento che si voglia poter governare. È vero, molte leggi esauriscono rapidamente i loro effetti e poi vengono dimenticate. In questi casi sarebbe preferibile ricorrere alla tecnica delle sunset law, leggi cioè che hanno una scadenza automatica: decorso un certo termine, perdono efficacia e si autocancellano. A meno che non siano esplicitamente rinnovate, previa una valutazione del loro impatto concreto in termini di risultati conseguiti e della loro perdurante attualità. Questo sistema agevola la certezza e la conoscibilità del diritto. In Italia non è diffuso: anche ai problemi di natura temporanea si risponde con leggi che rimangono in vigore a tempo indeterminato.
Inoltre, molte altre leggi intervengono su materie già regolate, non sostituendo quelle precedenti, che regolano le stesse materie, ma aggiungendosi a esse. Le leggi che nascono sono molte più di quelle che muoiono: il sistema normativo è sempre più sovraffollato e la legge, inflazionata, si svaluta. Anche quando i successivi interventi legislativi assumono la forma di modifiche alle leggi precedenti, la frequenza delle modifiche è spesso eccessiva [6].

Anche in questo caso, la questione non è limitata al numero, ma si estende e aggrava con la qualità delle leggi. Attualmente, la quantità di leggi emanate annualmente in Italia non è superiore a quello di vari altri paesi europei di dimensione paragonabile: da questo punto di vista, sono passati i tempi in cui il Parlamento italiano produceva diverse centinaia di leggi all’anno. Ma il numero di disposizioni non è cambiato, perché le leggi sono meno numerose, ma molto più lunghe. Ciò vale, in particolare, per le leggi finanziarie e i decreti-legge del Governo, veicoli che vengono caricati di contenuti molto eterogenei, per passare rapidamente in Parlamento.

Nuove leggi a misura europea

Leggi emanate nel 2007 e nel 2008 [7]

Paese

2007

2008

Francia

107

95

Germania

149

144

Italia

68

64

Regno Unito

31

33

Spagna

72

6

Fonte: elaborazioni su dati Camera dei Deputati.

Simile discorso si può estendere per la legislazione regionale. Il numero di leggi di ciascuna regione non è particolarmente elevato (anche se molte di esse disciplinano materie che non meriterebbero una legge). Ma, come mostra la tabella che segue, il numero di articoli e commi in cui esse si articolano è spesso notevole.

Sempre più articolate

Leggi regionali emanate nel 2008 [8]

Regione
Leggi
Articoli delle leggi
Commi delle leggi
Regolamenti
Abruzzo
17
139
649
0
Basilicata
33
469
1192
6
Calabria
46
365
951
4
Campania
20
285
942
0
Emilia-Romagna
23
416
1026
2
Friuli-Venezia Giulia
18
347
2057
100
Lazio
32
461
1185
27
Liguria
48
832
2207
5
Lombardia
38
587
2143
5
Marche
38
447
1064
2
Molise
35
335
808
5
Piemonte
37
502
1219
19
Puglia
45
489
1293
28
Sardegna
18
233
805
2
Sicilia
25
214
483
0
Toscana
73
1253
1656
21
Umbria
26
382
1021
9
Valle d’Aosta
31
552
1448
4
Veneto
23
408
971
0
Prov. Bolzano
9
188
638
145
Prov. Trento
17
475
1340
46

Fonte: elaborazioni su dati Camera dei Deputati

Il tradimento della tecnica legislativa

Il modo caotico ed estemporaneo in cui le leggi vengono elaborate va anche a scapito della loro fattura: non solo le leggi sono troppe e poco coordinate tra loro, ma spesso sono anche scritte in cattivo italiano e poco comprensibili, anche per gli addetti ai lavori. E’ una questione distinta dall’inflazione legislativa: le leggi possono essere troppe, ma ben scritte, o poche, ma mal scritte. Ma è ad essa connessa: una produzione legislativa impetuosa e disordinata conduce facilmente al sacrificio della qualità delle leggi.

C’è una grammatica per scrivere le leggi [9] e ci sono manuali di tecnica legislativa: basta avere un po’ di pazienza per studiare, consultare e applicare questi manuali e le leggi risultano ben scritte e comprensibili[10]. Ma la fretta è nemica della qualità: le leggi vengono redatte troppo rapidamente, per inviare messaggi politici agli elettori o per risolvere in modo poco meditato problemi di lunga durata. Esse, inoltre, sono confezionate in luoghi in cui mancano gli esperti di tecnica legislativa. Da questo punto di vista, l’esautoramento del Parlamento, a vantaggio dei gabinetti di pochi ministeri, è stato particolarmente dannoso; l’urgenza induce a rinunciare, o a svolgere frettolosamente, non solo l’analisi di impatto della regolamentazione, ma anche l’analisi tecnico-normativa, che verifica il rispetto delle buone regole di tecnica legislativa. Il risultato sono disposizioni illeggibili, piene di rinvii a catena ad altre norme, poco conciliabili con quelle precedenti o perfino contraddittorie, che usano espressioni mai impiegate in precedenza, destinate a generare incertezze e contenzioso, e spesso affermano principi e prescrizioni diversi da quelli che erano nell’intenzione di chi le ha scritte[11].

La soluzione? Una nuova legge. Le radici della mala pianta

Le cause dell’inflazione legislativa sono abbastanza note.

Vi è, innanzitutto, una ragione culturale, legata all’idea che i problemi vadano sempre risolti dettando nuove norme di tipo generale. Alla domanda di regolazione si risponde normalmente con la legge, che spesso non si limita a regolare gli aspetti generali delle singole materie, ma scende nel dettaglio applicativo, nel vano tentativo di legare le mani di chi dovrà applicare la legge. Si tratta del frutto di una concezione positivistica, tipica dell’Europa continentale, ma che in Italia produce più danni che altrove, anche per via della debolezza della politica e del sistema amministrativo.
L’abitudine di affrontare i problemi con leggi, infatti, soddisfa a esigenze di marketing politico: proprio a causa del diffuso condizionamento culturale di cui si è appena detto, una legge può facilmente venire presentata come una panacea e sfruttata per ottenere consenso elettorale o ingraziarsi determinate categorie professionali, nonostante sia destinata a rimanere inapplicata. Nascono così molte “leggi manifesto”, che vivono solo sui giornali e nei discorsi elettorali[12].
Membri del Governo e del Parlamento, poi, interpretano spesso la funzione legislativa più come strumento di tutela di interessi particolari che come cura dell’interesse generale, più come modo per ottenere visibilità e mantenere più stretti rapporti con gli elettori che come reale incidenza sul sistema normativo. Basta pensare alle migliaia di proposte di legge di iniziativa parlamentare presentate annualmente e relative per la maggior parte a benefici e riconoscimenti per singole categorie e aree geografiche o per singoli soggetti: sono tentativi di usare la legge come strumento di gestione del quotidiano piuttosto che come mezzo di governo delle trasformazioni della società. Anche questo è un fenomeno diffuso in tutti i paesi occidentali, ma che in Italia è specialmente acuto per via della forza degli interessi professionali e della permeabilità a essi del sistema istituzionale, che rende difficile la difesa dell’interesse generale da quelli corporativi.
La tendenza a legiferare per categorie di soggetti o di rapporti piuttosto che con norme di portata generale, infatti, dipende dalle pressioni dei gruppi di interessi, che hanno facile accesso alle commissioni parlamentari, spesso tramite le amministrazioni statali competenti. Legiferare per deroghe e adattamenti è, in sé, un’altra tendenza che alimenta l’inflazione legislativa ed è spesso all’origine di inefficienza e malcostume.

Corollario di queste tendenze è la mancata valutazione dell’impatto delle singole leggi sulla normativa esistente e della loro applicabilità: prima di approvare una legge, ci si preoccupa della sua copertura finanziaria, ma non sempre vengono valutate adeguatamente la sua idoneità a produrre i risultati sperati, anche alla luce dell’esperienza precedente, e la capacità delle amministrazioni competenti di implementarla. Analogamente, sono spesso trascurati gli effetti collaterali, né poi si verifica lo stato di attuazione delle leggi approvate. L’analisi dell’impatto della regolamentazione, praticata da decenni in altri paesi, è stata introdotta in Italia con molto ritardo e parzialmente. Applicata soprattutto all’attività di regolazione di alcune autorità indipendenti, non lo è alle leggi del Parlamento e, per gli atti del Governo, è uscita solo alla fine del 2008 da una lunga e pigra sperimentazione. Non è applicata alle leggi più importanti, come le leggi finanziarie, che sono quelle che accentuano maggiormente l’inflazione normativa.

Altri fattori che stimolano la produzione legislativa sono legati non a comportamenti scorretti degli attori del sistema, ma alla rigidità di quest’ultimo. Le riserve di legge, poste dalla Costituzione o dalle stesse leggi, impediscono di disciplinare determinate materie con fonti inferiori. Il criterio di riparto della potestà legislativa e di quella regolamentare tra Stato e regioni può indurre l’uno o le altre a puntare su leggi piuttosto che su regolamenti: lo Stato, in particolare, può intervenire in determinate materie con legge, ma non con regolamento, e questo induce a sovraccaricare le leggi di contenuti che, al livello regolamentare, apparterrebbero alle regioni. Il recepimento delle direttive comunitarie avviene spesso per via legislativa, anche quando si tratta di prescrizioni tecniche estremamente dettagliate, prive di qualsiasi rilievo politico e con l’aggiunta di ulteriori contenuti, non necessari: non è così in altri stati membri dell’Unione europea, che recepiscono le direttive con strumenti più flessibili[13].

Ci sono, poi, ragioni derivanti dalle amministrazioni pubbliche. In primo luogo, emanare un decreto-legge è molto più facile e veloce che emanare un regolamento: il primo entra subito in vigore, dopo aver subito controlli molto blandi, e travolge ogni ostacolo; il secondo è soggetto a controlli più attenti (giacché può essere anche impugnato davanti al giudice amministrativo) e procedure più lunghe e con più facilità intralciabili, può incontrare resistenze da altre amministrazioni e deve rispettare le leggi vigenti. La legge, espressione di una sola amministrazione, finisce quindi per essere lo strumento per imporre la soddisfazione di un interesse a scapito degli altri, piuttosto che per contemperare interessi diversi.

Inoltre, ministri e dirigenti amministrativi ricorrono alla legge anche per evitare di assumere la responsabilità delle proprie decisioni, che vengono scaricate sull’intero Governo e sul Parlamento e quindi sostanzialmente eliminate. La legge, da atto di indirizzo, diventa copertura di atti di gestione o addirittura il sostituto di un atto amministrativo. Il fenomeno delle cosiddette “leggi-provvedimento” contribuisce anche a vanificare il principio della separazione dei poteri[14] .

Infine, come è facile intuire, l’inflazione legislativa determina un circolo vizioso, perché per modificare una legge occorre un’altra legge: una volta che una materia è coperta dalla legge, lo rimane.
Molte delle cause appena menzionate si traducono in difetti del procedimento legislativo, che emergono solo in parte nelle statistiche che si basano solo sulle previsioni legislative e non sulla loro attuazione effettiva (come quelli contenute nella tabella…

Le norme migliori parlano inglese

Caratteri del procedimento legislativo [15]

Francia

Germania

Italia

R. Unito

Spagna

Pubblicità e partecipazione procedurale (da 0 a 12)

9

9

6

12

6

Valutazione di impatto della regolamentazione (da 0 a 27)

11

20

18

27

7

Concertazione all’interno del governo (da 0 a 20)

16

20

11

18

20

Consultazione pubblica

(da 0 a 12)

3,5

4,5

5

11,5

7,5

Nota: punteggi più alti segnalano un legislazione migliore

Fonte: elaborazione su dati OCSE.

Quando la maggiore autonomia locale diventa dannoso

L’inflazione legislativa deriva anche dalle norme delle regioni e degli altri enti locali, i quali esercitano l’autonomia, producendo dislivelli di regolazione, spesso abusandone, con complicazioni e costi inutili.

Dal primo punto di vista, occorre essere consapevoli che l’autonomia delle amministrazioni locali è spesso nemica della semplicità: la scelta a favore dell’autonomia comporta inevitabilmente che ciascun ente regoli in modo diverso le materie di sua competenza, imponendo requisiti difformi per lo svolgimento delle stesse attività, stabilendo propri tempi e formalità per le procedure e così via. Ciò può ovviamente determinare costi per le imprese che, operando in diverse aree territoriali, sono costrette ad adeguarsi a diverse discipline. È un costo dell’autonomia, che peraltro può ben essere attenuato attraverso forme di coordinamento tra i vari enti e l’applicazione dei principi di semplificazione che, come si dirà in seguito, derivano dall’ordinamento nazionale e da quello comunitario. Le associazioni degli enti (come l’ANCI, l’UPI e la Conferenza dei Presidenti delle Regioni) e i livelli superiori di governo (in particolare, le regioni e le province nei confronti dei comuni) possono favorire il potenziamento di questa forma di coordinamento, anche con schemi-tipo di regolamenti, che gli enti sarebbero liberi di emanare, adattandoli alle proprie peculiarità solo se necessario.

La modifica della Costituzione nel 2001 ha molto aumentato le materie attribuite alla competenza legislativa delle Regioni. Per arginare il rischio di una vera e propria “balcanizzazione” del sistema legislativo italiano e garantire un minimo di omogeneità in settori cruciali come le procedure di gara per l’aggiudicazione dei contratti pubblici e il regime dei servizi pubblici locali, la Corte costituzionale ha fatto leva su alcune clausole costituzionali (come la tutela della concorrenza e l’ordinamento civile) che fondano la competenza legislativa dello Stato.
Riguardo agli abusi normativi e all’aumento degli oneri, i difetti della legislazione statale spesso si riproducono al livello locale, moltiplicati dalla maggiore debolezza e inesperienza delle amministrazioni locali. Le ridondanze e le complicazioni delle discipline regionali e locali derivano dalla medesima cultura formalistica, dalle medesime dinamiche di interessi e dai medesimi difetti organizzativi e procedurali rilevati a livello di amministrazione centrale nazionale. Per giunta senza che i pur timidi orientamenti di riforma, operati al centro, arrivino in periferia. Certo è sbagliato generalizzare: esistono esperienze virtuose, soprattutto di legislatori regionali impegnati in opere di riordino e semplificazione. Ma sono più numerosi i casi di aumento incontrollato della legislazione.

Falsi e veri rimedi

Tutto ciò consente di porre nella giusta prospettiva il meccanismo “taglia-leggi”, che ha appunto lo scopo di ridurre il numero delle leggi e sul quale il Governo in carica ha puntato come strumento principale per migliorare il sistema normativo. Esso ha prodotto risultati utili, sia in termini di conoscenza del sistema normativo sia in termini di “profilassi legislativa”, cioè di eliminazione esplicita di leggi ormai dimenticate, ma mai formalmente abrogate. Però, non affronta l’esigenza principale di sfoltire e riordinare la normazione realmente vigente. Questa esigenza può essere soddisfatta solo attraverso una paziente opera di riforma dei singoli settori della legislazione, volta a eliminare le norme in eccesso e a renderle meno costose per le istituzioni pubbliche e per gli operatori privati.

Non ci sono terapie prodigiose. Occorre utilizzare in modo costante gli strumenti noti. Il primo è il più semplice: legiferare solo quando serve. A volte, la soluzione meno dannosa è l’«opzione zero», cioè non fare niente. Altre volte, ci sono strumenti possono essere più efficaci della legge: per esempio, l’autolegiferazione e sistemi di soft law, come le linee guida e i codici di condotta. Ne derivano alcuni rimedi: usare la legge per le scelte importanti e i regolamenti per le discipline di dettaglio; delegificare, soprattutto la disciplina dell’organizzazione amministrativa e delle procedure; utilizzare l’analisi di impatto della legislazione e della regolamentazione; evitare leggi e decreti di contenuto eterogeneo; esercitare in modo coordinato l’autonomia.
L’analisi di impatto della regolamentazione, in particolare, da prassi eccezionale deve diventare un modo normale di legiferare. E va utilizzata soprattutto per le leggi più importanti, come quelle che pongono in essere le manovre finanziarie, per verificare i reali effetti che ci si può aspettare dalle varie misure introdotte e i loro costi. I risultati dell’analisi dovrebbero sempre essere resi pubblici, perché le decisioni politiche possano essere valutare dai cittadini.

3. Norme ingarbugliate, grave danno. Il riordino obbligato

Gli effetti del disordine normativo

Le norme che regolano la stessa materia sono sparse spesso tra diversi atti, redatti frettolosamente, senza adeguato coordinamento con la legislazione preesistente[16].

Ne derivano molte conseguenze negative. In primo luogo, l’incertezza del diritto e l’arbitrarietà nella sua applicazione. Se è difficile individuare la norma da applicare al caso concreto, c’è sempre il rischio di commettere errori e compiere atti illegali. Amministrazioni pubbliche e giudici possono scegliere le norme da applicare, in relazione all’eventuale intento di favorire o sfavorire gli interessati. L’arbitrarietà è alimentata dalla difficoltà di comprendere le norme, che spesso consistono in rinvii e collegamenti ad altre norme, che sono pure zeppe di rinvii. Una sorta di gioco infinito di specchi nel quale –proprio a causa dell’impossibilità di individuare l’interpretazione esatta di tante norme oscure – l’amministrazione può di fatto legiferare, magari con una circolare: dalla legificazione, alla quale essa stessa contribuisce, quindi, la burocrazia si difende riappropriandosi del potere normativo, Esercitato non in sede regolamentare, ma interpretativa, quindi con minori responsabilità.

Incertezza del diritto e arbitrarietà contengono il seme della corruzione. Portano con sé, comunque, un’elevata conflittualità: è evidente, ad esempio, che un’impresa che venga esclusa da una gara di appalto in base a una delle possibili interpretazioni della legge, non si rassegnerà alla decisione, ma impugnerà gli atti di gara.

Il disordine legislativo, dunque, alimenta il contenzioso: tutte le decisioni amministrative più importanti sono in ultima analisi rimesse ai giudici. Oltretutto, dati i tempi comparativamente molto lunghi della giustizia italiana, il chiarimento definitivo sulla portata di una disposizione avviene dopo molti anni, elevando i costi economici dell’indeterminatezza e dell’opacità giuridiche. Anche perché molto spesso gli stessi giudici (dei Tar territoriali o delle diverse sezioni del Consiglio di Stato) optano inizialmente per interpretazioni difformi.
Più in generale, il disordine normativo determina costi per le imprese e le famiglie, che sono costrette a chiedere continuamente assistenza legale e conforto per le loro decisioni. L’economia ne esce gravemente indebolita; sono scoraggiati l’iniziativa imprenditoriale e gli investimenti, a cominciare da quelli delle imprese straniere.

Fare ordine con i codici “a diritto costante”

Il rimedio al disordine normativo è il riordino. Banale a dirsi, meno a farsi. Perché richiede un paziente lavoro di codificazione sulla legislazione di settore, come quello che in tempi recenti è stato operato in altri paesi, quali gli Usa e la Francia. Si tratta di riversare le norme, attualmente sparse tra tante leggi, in codici e testi unici di settore, sostituendo decine o centinaia di leggi con una sola chiaramente individuabile e interpretabile. Non si tratta di cambiare le leggi vigenti, ma solo di metterle in ordine. È comunque un’opera lunga e faticosa: in Francia, partendo da una situazione meno grave, la codificazione sistematica delle leggi e dei regolamenti è iniziata nel 1989 e non è ancora conclusa.

Il modello del testo unico è stato ampiamente utilizzato nel corso delle ultime legislature, con buoni risultati. Per esempio, riguardo ai beni culturali e ambientali (e, poi, dei beni culturali e del paesaggio), alla documentazione amministrativa, alla tutela e al sostegno della maternità e della paternità, all’edilizia, all’espropriazione, alla circolazione e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, alle spese di giustizia, alla protezione dei dati personali, alle comunicazioni elettroniche, al debito pubblico, alla tutela del consumatore, all’ordinamento militare. Molti di questi codici hanno semplificato la vita a cittadini e operatori e spesso hanno riordinato non solo la disciplina legislativa, ma anche quella regolamentare.
Le iniziative di riordino, peraltro, sono sempre episodiche dell’attività di codificazione. La scelta delle materie è ispirata a criteri occasionali: la buona volontà delle singole amministrazioni; la disponibilità di funzionari ed esperti che conoscano l’una o l’altra materia; la possibilità di ricondurre un codice a deleghe legislative, spesso formulate in modo ambiguo. L’esperienza italiana è stata ben lontana da quella francese, nella quale si procede sulla base di un piano pluriennale, perseguito con efficacia variabile ma con sostanziale continuità e il cui obiettivo finale è la codificazione di tutto il diritto positivo statale.

La codificazione può avere successo solo se si rinuncia, almeno in una prima fase, alla riforma sostanziale del diritto esistente: quanto più si spinge nell’apportare modifiche alle disposizioni raccolte, tanto maggiori sono gli ostacoli ai quali va incontro. Essa, inoltre, richiede un forte supporto politico, per superare le inevitabili resistenze e i pericolosi fattori di inerzia. Un supporto che non sempre c’è nella misura necessaria perché è un’opera poco attraente per i governi. Il riordino del diritto esistente, infatti, fa guadagnare meno voti di una riforma innovativa e i suoi effetti positivi si vedono in un termine che va al di là delle singole tornate elettorali e non sono facilmente imputabili. Solo una guida politica forte e illuminata consente di perseguire coerentemente il riordino normativo. Perciò in Italia l’instabilità del quadro politico l’ha ostacolato e rende indispensabile la condivisione dei suoi obiettivi tra maggioranza e opposizione.

L’arte della manutenzione delle leggi

Naturalmente, una volta riordinata una materia, occorre provvedere alla manutenzione dei codici, cioè evitare di introdurvi nuovamente confusione con nuove leggi: i successivi interventi normativi devono consistere in modifiche degli stessi codici. La codificazione non è un’operazione circoscritta nel tempo, ma un modo di legiferare. Non basta, quindi, mettere ordine in singoli settori una tantum, ma occorre organizzare il processo normativo in modo da mantenere quel che si è fatto ed evitare che, mentre si ordina un settore, se ne metta in disordine un altro.
È proprio ciò che è spesso avvenuto nella legislazione italiana, in cui l’opera di riordino è stata bilanciata, o addirittura soverchiata, dalla contemporanea decodificazione operata dalle nuove norme. Queste tendono ad aggiungersi a quelle precedenti piuttosto che a modificarle, mentre quasi mai i nuovi atti normativi contengono una disciplina esaustiva della relativa materia.
Nella prospettiva delle riforme, questo rimedio anti-confusione potrebbe trovare una copertura costituzionale, che prevedesse l’obbligo per il legislatore di non alimentare il disordine normativo. Un’indicazione in tale direzione è stata data dalla previsione sulla codificazione contenuta nel progetto della terza Commissione bicamerale per le riforme costituzionali. Secondo il quale, una volta riordinata una materia, su di essa si sarebbe potuti intervenire solo modificando il relativo codice. Mentre un progetto di legge su una materia codificata che si fosse aggiunto al codice, invece di modificarlo, non sarebbe potuto essere preso in considerazione dal Parlamento. È un modo appropriato per limitare gli effetti negativi del flusso di leggi.

4. L’impresa ostacolata dall’abuso di controllo pubblico

I costi spropositati della regolazione

L’eccesso di norme è fonte di complicazioni e adempimenti per i cittadini e per le imprese. La regolazione delle attività d’impresa, in particolare, si traduce inevitabilmente in costi, che devono essere il più possibile limitati.

Non vi sono dati certi sui costi della regolazione, né tanto meno sui costi della cattiva regolazione. Ma ci sono alcuni dati parziali e comparativi, che possono dare un’idea della dimensione complessiva del fenomeno.

Per rendersi conto dei costi derivanti dalla regolazione pubblica delle attività d’impresa, è sufficiente considerare le stime operate dal Dipartimento della funzione pubblica relative ad alcuni settori In materia di tutela dei dati personali, il costo aggregato annuo degli obblighi informativi è di un miliardo e 750 milioni. In materia di ambiente il costo è di oltre due miliardi. In materia di lavoro e previdenza di quasi sette miliardi di euro. È evidente che, in settori come questi, ogni nuovo obbligo di dichiarazione comporta enormi costi e ogni misura di semplificazione porta enormi risparmi.

Eppure, da un lato, queste discipline sono piene di norme che impongono adempimenti non necessari e di scarsa utilità. Un esempio, in materia di tutela dei dati personali, gli obblighi di notifica a soggetti che abbiano volontariamente fornito i propri dati. Un altro esempio, in materia di lavoro, le dichiarazioni relative ai familiari a carico, che ogni anno i dipendenti devono compilare e i datori di lavoro ricevere, anche quando – come nella maggior parte dei casi – la situazione è la stessa dell’anno precedente. Di rado le leggi prevedono adempimenti semplificati per le piccole e medie imprese, come invece raccomandano l’Unione europea e l’OCSE.
Dall’altro lato, le misure di complicazione amministrativa sono continue, mentre quelle di semplificazione sono episodiche. Leggi finanziarie statali, leggi regionali e regolamenti locali impongono continuamente nuovi obblighi di comunicazione, magari per riscuotere piccole somme o evitare piccole evasioni, senza tener conto dei relativi costi nettamente superiori al ricavato per lo Stato. Per una quindicina d’anni, un gruppo di studiosi ha redatto un bilancio delle semplificazioni e delle complicazioni operate dalle leggi [17]: le rilevazioni compiute mostrano che, quando va bene, esso è in pareggio.

La competitività minata dalla cattiva regolazione

I dati del Doing business redatto dalla Banca mondiale forniscono un quadro dei limiti che la normazione italiana pone all’attività d’impresa e degli enormi margini di miglioramento. Anche solo nel confronto con altri stati europei di dimensioni analoghe. Soprattutto nel campo degli adempimenti tributari e della tutela giurisdizionale, sulla quale grava in modo pesantissimo la durata dei processi civili (tabelle).

I ritardi dell’Italia nelle imposte…

Adempimenti tributari[18]

Paese

Pagamenti

Ore per anno

Graduatoria

Francia

7

132

59

Germania

16

196

71

Italia

15

334

135

Regno Unito

8

110

16

Spagna

8

213

78

… e nel rispetto dei contratti

Azione giudiziaria per adempimento contrattuale[19]

Paese

Procedure

Giorni

Graduatoria

Francia

29

331

6

Germania

30

394

7

Italia

40

1210

156

Regno Unito

30

399

23

Spagna

39

515

52

Fonte: elaborazioni su dati Banca Mondiale

Il ritardo dell’Italia è meno grave negli adempimenti necessari per l’avvio di un’impresa, ma i dati riferiti alla Francia e al Regno Unito mostrano anche qui il potenziale di miglioramento.

L’impresa di avviare un’impresa

Avvio di un’impresa [20]

Paese

Procedure

Giorni

Graduatoria

Francia

5

7

22

Germania

9

18

84

Italia

6

10

75

Regno Unito

6

13

16

Spagna

10

47

146

Fonte: elaborazione su dati Banca Mondiale

In Italia la regolazione amministrativa dell’attività d’impresa costituisce un appesantimento della gestione e dei costi fin dall’avvio dell’attività stessa e dai limiti dell’accesso al relativo mercato. L’assoggettamento di un’attività ad autorizzazione amministrativa, in particolare, implica costi che vanno commisurati all’interesse pubblico che induce a prevedere questa forma di controllo preventivo. Alcune autorizzazioni sono necessarie, ma probabilmente molte altre non lo sono perché spesso sono il residuo di discipline non più attuali o di cedimenti del legislatore a gruppi di interessi.
Le autorizzazioni amministrative, inoltre, possono costituire un limite alla concorrenza. È per questo che l‘Unione europea si è preoccupata di porre alcune regole, che riducono il potere degli Stati membri di assoggettare le attività economiche ad autorizzazione amministrativa. Lo ha fatto, in particolare, la direttiva del 2006 sui servizi nel mercato interno (direttiva 2006/123/CE).
Questa direttiva definisce i casi in cui possono essere introdotti regimi autorizzatori e i caratteri che le autorizzazioni devono avere. Vanno, infatti, introdotte solo nei casi di effettiva necessità (in base al principio di proporzionalità), dove cioè l’interesse pubblico non può essere tutelato attraverso controlli a posteriori. Il rilascio delle autorizzazioni deve essere subordinato, di regola, al possesso di requisiti vincolati che non lasciano all’amministrazione spazi di valutazioni discrezionale. La durata delle autorizzazioni deve essere illimitata. Ogni procedimento deve chiudersi entro un termine ragionevole e la mancata risposta equivale a silenzio-assenso.
La direttiva richiede agli Stati membri una revisione di tutta la legislazione, nazionale e locale, al fine di verificare se questi requisiti sono rispettati e adeguare le varie discipline di settore ai suoi principi. Anche in questo caso, quindi, per riformare il diritto serve una paziente opera di revisione della legislazione di settore. Nonostante la direttiva sia stata formalmente recepita in Italia da un recente decreto legislativo, questa revisione è appena all’inizio: il decreto, infatti, non è stato preceduto dalla necessaria ampia analisi della legislazione. Si è limitato a riaffermare – spesso riducendone la portata – i principi della direttiva e a semplificare poche procedure proprie di alcune amministrazioni statali. Rimane da adeguare tutto il resto della legislazione statale e, soprattutto, la direttiva deve essere applicata anche a livello regionale e locale.

Le scelte del decreto di recepimento [21], in effetti, sono per molti aspetti riduttive rispetto a quelle della direttiva: non viene ripetuta la previsione che il regime autorizzatorio può essere introdotto solo in assenza di una soluzione meno restrittiva per la libertà d’impresa; la disciplina degli ordini e degli albi professionali è sottratta alla previsione per cui i regimi autorizzatori devono essere giustificati da un motivo imperativo di interesse generale; gli interventi sui regimi esistenti sono di semplificazione, non di completa liberalizzazione.

Eppure, non sarebbe stato troppo difficile individuare almeno alcuni regimi autorizzatori la cui stessa esistenza è ormai di dubbia legittimità comunitaria. Sarebbe stato sufficiente fare riferimento, per esempio, alle segnalazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di concessioni di beni demaniali, di guide alpine e turistiche, di centri di assistenza fiscale, di agrotecnici, di depositi fiscali, di distribuzione del tabacco e di varie altre attività soggette a controllo amministrativo. Sarebbe stato e sarà necessario, soprattutto, sottoporre a revisione tante leggi e tanti regolamenti dello Stato, delle regioni e dei comuni che impongono limiti e controlli spesso inutili, a tutela di interessi pubblici deboli o inattuali.
La cattiva regolazione, tra l’altro, conduce in molti casi all’approvazione di regole troppo rigide, accompagnate da sanzioni spropositate in caso di violazione. Ciò alimenta la tendenza alla disapplicazione delle norme, tenuto anche conto della scarsa funzionalità dei controlli effettuati dalle amministrazioni.

Alla disapplicazione il legislatore reagisce non sforzandosi di rendere i controlli più efficaci, ma acuendo ulteriormente le sanzioni e rendendone ancora più improbabile l’applicazione, in una sorta di circolo vizioso o di rincorsa tra legge e comportamenti reali.

5. Come rendere amichevoli le leggi

La legislazione può essere resa amichevole per gli operatori, agevolandoli e limitando i costi a loro carico. Ma i problemi dipendono spesso anche dalla sua attuazione da parte delle pubbliche amministrazioni.
Un primo ostacolo è dato dalla conoscenza della legge. È un aspetto sul quale c’è molto da migliorare in Italia, ben più di quanto suggerito dalla sola conoscibilità delle norme, e non anche dalla loro attuazione.

Norme oscure

Conoscibilità del diritto (da 0 a 7) [22]

Francia

Germania

Italia

Regno Unito

Spagna

6

7

5

4

4

Fonte: elaborazioni su dati OCSE

L’ordinamento giuridico presume che tutti i soggetti siano in grado di conoscere e perfino capire le leggi. Ma in Italia anche gli addetti ai lavori hanno difficoltà ad accedere ai testi aggiornati, a reperire le norme da applicare al caso concreto e a interpretarle. Fino a ora, l’accesso alle norme aggiornate è stato possibile solo rivolgendosi a editori privati, a pagamento.
Gli ordinamenti che tengono in buon ordine il diritto offrono anche ottimi esempi di siti internet nei quali si può liberamente consultare la normativa vigente. Legifrance, per esempio, consente di consultare in un formato comodo tutti i codici, in tre lingue diverse, nonché tutte le leggi e i regolamenti nel testo aggiornato. Lo stesso fanno l’amministrazione federale americana e quelle di molti stati.

I tentativi compiuti dalle istituzioni italiane hanno invece avuto un successo limitato. Il Governo ha annunciato con grande enfasi l’avvio del sito “Normattiva”, che consente già di consultare molte leggi e dovrebbe permettere, quando sarà ultimato, la consultazione di quasi tutte le leggi in vigore nella versione storica e in quella vigente. È un passo avanti, anche se la qualità del servizio è molto lontana da quella dei corrispondenti siti tenuti da governi come quelli statunitense e francese [23]. Chi può, continua a usare i servizi a pagamento offerti da editori privati.
Un secondo aspetto problematico riguarda la prevedibilità e la coerenza nell’interpretazione della legge. Soprattutto in mancanza di chiarezza e coordinamento, conoscere il modo in cui le amministrazioni le interpreteranno e le applicheranno è di grande importanza per gli operatori. Spesso le amministrazioni emanano circolari interpretative, che servono ai loro uffici e anche ai privati. Ma questi ultimi non hanno la possibilità di porre quesiti e sollecitare indicazioni.
La direttiva in materia di servizi prevede in termini piuttosto ampi che sipossa chiedere l’«assistenza delle autorità competenti, che consiste nel fornire informazioni sul modo in cui i requisiti [per svolgere le attività in questione] vengono generalmente interpretati ed applicati». Si tratta di una precetto importante e particolarmente innovativo per l’ordinamento italiano, che il decreto legislativo si limita a riproporre, demandandone l’attuazione a un regolamento governativo. Se recepita in modo non riduttivo, questo precetto consentirebbe di introdurre una sorta di “interpello amministrativo”, che potrebbe dare maggior certezza alle imprese in ordine a progetti di investimento la cui realizzazione dipende in buona parte dal rilascio di una pluralità di autorizzazioni.
Infine, attuazione amichevole della legge significa anche che le amministrazioni si adoperino per concentrare e limitare gli adempimenti dei cittadini e delle imprese. Queste ultime sono spesso costrette, per esempio, a produrre più volte gli stessi documenti a diverse amministrazioni; per esempio per partecipare a diverse gare per appalti pubblici, nonostante la legge sul procedimento amministrativo preveda fin dal 1990 che le amministrazioni si procurino da sé i documenti di cui altre amministrazioni sono già in possesso. Naturalmente, l’applicazione di questa norma presuppone la capacità delle amministrazioni di comunicare efficacemente, ma si può pensare anche a forme di gestione centralizzata dei documenti relativi alle imprese, con archivi unici ai quali le varie amministrazioni potrebbero attingere. In ogni caso, le leggi dovrebbero prevedere regimi di adempimenti semplificati per le piccole e medie imprese.

L’attuazione amichevole della legge presuppone dunque un’amministrazione ben organizzata e essa stessa user friendly , in grado di prospettare soluzioni piuttosto che propensa a frapporre ostacoli e che sia capace di assumere la piena responsabilità delle proprie decisioni. Ciò apre l’annosa questione delle riforme amministrative che stenta a trovare soluzioni efficaci. Ma questa è un’altra storia.

6. Sintesi delle proposte

Legiferare solo quando serve:
– valutare sempre l’«opzione zero»
– operare l’analisi di impatto della regolamentazione per tutte le norme che impongono adempimenti e prestazioni ai privati
– operare, nelle stesse ipotesi, la valutazione dell’impatto della regolamentazione
– prevedere termini di scadenza per le leggi

Delegificare quando si può:
– delegificare la disciplina dell’organizzazione amministrativa e delle procedure
– individuare periodicamente settori di normazione da sottoporre a revisione, a fini di deregolamentazione
– promuovere l’autonormazione e la soft law

Legiferare in modo ordinato:
– applicare rigorosamente le regole della tecnica legislativa
– promuovere l’esercizio coordinato dei poteri normativi di regioni ed enti locali
– limitare la frequenza delle modifiche alle leggi vigenti
– istituire in sede governativa e parlamentare sedi nelle quali il processo legislativo venga monitorato

Tenere le leggi in ordine:
– riordinare gradualmente i diversi settori di normazione, raccogliendo le relative leggi in un unico codice
– una volta riordinata la legislazione di un certo settore, intervenire su di esso solo modificando il codice

Rendere la legislazione “amichevole” con gli operatori:
– rendere tutte le leggi e i regolamenti vigenti facilmente e gratuitamente accessibili via internet
– fornire agli operatori, anche su richiesta, l’interpretazione e le prassi applicative
– non imporre agli operatori adempimenti non richiesti dalla legge.
– prevedere adempimenti semplificati per le piccole e medie imprese

***

Note:

3 Di recente, S. Rossi, Controtempo. L’Italia nella crisi mondiale, Laterza, 2009.

4 Per un quadro generale e aggiornato dello stato del sistema normativo italiano, si v. La tela di Penelope. Primo rapporto Astrid sulla semplificazione legislativa e burocratica, a cura di A. Natalini e G. Tiberi, Bologna, Il Mulino, 2010.

5 Fonte: Camera dei deputati – Osservatorio sulla legislazione, Rapporto 2009 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea, Roma, 2009.

6 Il Codice dei contratti pubblici offre un buon esempio: emanato nel 2006, esso è già stato modificato, oltre che dai decreti correttivi previsti dalla legge di delega, ben sei volte (decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, conv. con legge 27 febbraio 2009, n. 14; decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, conv. con legge 3 agosto 2009, n. 102; decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, conv. con legge 20 novembre 2009, n. 166; legge 18 giugno 2009, n. 69; legge 15 luglio 2009, n. 94; legge 23 luglio 2009, n. 99.

7 Fonte: Camera dei deputati – Osservatorio sulla legislazione, Rapporto 2009 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea, Roma, 2009.

8 Fonte: Camera dei deputati – Osservatorio sulla legislazione, Rapporto 2009 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea, Roma, 2009.

9 Sul tema, Sabino Cassese, Introduzione allo studio della normazione, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1992, p. 314.

10 Per esempio, è fonte di incertezza interpretativa la prassi di inserire nella parte finale delle leggi una formula generica che abroga tutte le disposizioni incompatibili, senza darsi la pena di individuarle in modo espresso.

11 Il recente decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, al pari di tutte le ultime leggi finanziarie, offre una ricca casistica di norme mal scritte e di espressioni ambigue e di difficile interpretazione: si v., per es., il vocabolo “enti” usato dall’art. 6, co. 2 (in tema di divieto di pagare compensi agli amministratori nel caso in cui esistano contributi pubblici), al quale non segue alcun chiarimento se esso includa solo gli enti pubblici e gli enti non profit o anche le società, generando dubbi interpretativi e precisazioni informali del ministero dell’Economia (si veda Il Sole 24 Ore del 3, 4 e 5 giugno 2010).

12 Un buon esempio di norma manifesto è offerto dalla previsione dell’art. 43 del già citato decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, relativa alle “zone a burocrazia zero”: previsione che presenta tante incognite e tanti margini di ambiguità, che è facile prevedere che rimarrà inapplicata.

13 Anche in questo caso, un buon esempio è la materia degli appalti pubblici: a fronte di una direttiva comunitaria unificata, composta da 84 articoli, il legislatore italiano ha emanato un Codice dei contratti pubblici di oltre 250 articoli, a cui si aggiungeranno gli oltre 350 articoli del regolamento di esecuzione. Diversa è stata la scelta del legislatore britannico, che si è limitato a recepire il contenuto della direttiva e ha poi previsto codici e direttive per promuovere le buone prassi.

14 Come caso paradigmatico di legge-provvedimento può essere ricordata la revoca delle concessioni rilasciate per la realizzazione delle tratte ferroviarie ad alta velocità ad opera del decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7.

15 Fonte: Oecd, Regulatory Policy Committee, 2009 Report, Indicators of Regulatory Management Systems.

16 Un buon esempio di disordine e frammentazione normativa è offerto dalle società partecipate dallo Stato e dagli enti locali, che negli ultimi anni sono state oggetto di decine di interventi normativi, sparsi tra molte leggi, che disciplinano aspetti diversi del loro regime giuridico: la possibilità di costituirle, l’ambito di attività, la scelta del socio privato, i poteri dell’azionista pubblico, la composizione degli organi sociali, la nomina degli amministratori, il loro compenso, la possibilità di assumere personale, la selezione di esso, l’attività contrattuale, gli acquisti, l’accesso ai documenti, la risoluzione delle controversie, la responsabilità degli amministratori. Ciascuno di questi aspetti è disciplinato da una o più leggi, tra le quali il codice civile, il testo unico degli enti locali, la legge sul procedimento amministrativo, il codice degli appalti pubblici, le leggi finanziarie per il 2002, per il 2007, per il 2008 e per il 2010, la legge n. 97 del 2001, il decreto-legge n. 223 del 2006, il decreto-legge n. 98 del2008, il decreto-legge n. 112 del 2008, il decreto-legge n. 78 del 2010 e altri ancora.

17 I risultati sono stati pubblicati prima sul Giornale di diritto amministrativo, poi sulla Rivista trimestrale di diritto pubblico.

18 Fonte: IFC – The World Bank, Doing Business 2010.

19 Fonte: IFC – The World Bank, Doing Business 2010.

20 Fonte: IFC – The World Bank, Doing Business 2010.

21 Decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59.

22 Fonte: Oecd, Regulatory Policy Committee, 2009 Report, Indicators of Regulatory Management Systems.

23 Per un esempio di come le cattive abitudini del legislatore pesano sull’accessibilità del diritto, si consideri che il più volte menzionato decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale – e, di conseguenza, sui siti internet, in formato pdf: non un testo normativo, ma la fotografia di un testo normativo.

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