CON L’ACCORDO DI POMIGLIANO I LAVORATORI NON FANNO SOLTANTO UNA COSA UTILE A LORO STESSI, MA LANCIANO ANCHE UN MESSAGGIO POSITIVO AI MILLE INVESTITORI STRANIERI POTENZIALMENTE INTERESSATI A INVESTIRE NELLA LORO TERRA; DANNO DI QUESTA REGIONE L’IMMAGINE NECESSARIA PER ATTIRARE SU DI ESSA IL MEGLIO DELL’IMPRENDITORIA M0NDIALE
Intervento scritto al convegno promosso dal Fismic a Napoli il 29 settembre 2010
Cari amici del Fismic, vi ringrazio per l’invito e mi scuso se gli impegni del lavoro in Senato mi impediscono di essere con voi oggi: me ne dispiace molto. Affido a questo breve intervento scritto il mio saluto e il mio augurio di successo per questo vostro incontro. So che oggi discuterete anche del piano industriale per lo stabilimento di Pomigliano d’Arco, dell’accordo che avete stipulato in proposito con la Fiat e del molto che resta da fare perché quell’accordo abbia piena e corretta attuazione. Vi scrivo, in estrema sintesi e con grande franchezza, quello che ne penso.
Il nostro sistema delle relazioni industriali è troppo chiuso all’innovazione. Per paura dell’innovazione cattiva, esso si inibisce anche quella buona. Accade troppo sovente che un piano industriale fortemente innovativo venga bloccato dal dissenso tra i sindacati.
Intendiamoci bene: può anche essere che il piano presentato da un imprenditore non meriti l’approvazione dei lavoratori; e in quel caso i sindacati fanno benissimo a rifiutarlo, a starsene bene abbottonati. Ma può accadere che in proposito un sindacato la pensi in un modo e un altro sindacato in un altro; in un regime di pluralismo sindacale com’è il nostro, questo non è patologico: è fisiologico. Ora, se la condizione perché il piano decolli è che i sindacati siano d’accordo tutti, il dissenso tra di loro porta sempre con sé la paralisi, anche quando invece la maggioranza dei lavoratori considera buona la proposta.
L’accordo di Pomigliano segna una tappa importante, nell’evoluzione del sistema italiano delle relazioni industriali, perché qui una coalizione sindacale maggioritaria, avendo valutato positivamente il piano industriale e l’affidabilità di chi lo propone, si è presa la responsabilità di guidare i lavoratori nella scommessa comune con l’imprenditore su quel piano, nonostante il dissenso di un’altra parte del movimento sindacale. Questo che accade a Pomigliano oggi deve poter accadere d’ora in poi in qualsiasi altra azienda, quando a stipulare il contratto è una coalizione maggioritaria. Per questo occorrono nuove regole, che lo consentano non come evento eccezionale, ma come evento normale. Fisiologico, appunto.
Io sono convinto che questo sia il compito più importante del sindacato nell’era della globalizzazione: essere l’intelligenza collettiva dei lavoratori, capace innanzitutto di raccogliere la maggioranza dei loro consensi, ma anche di distinguere l’innovazione buona da quella cattiva. Capace, poi, quando la valutazione è positiva di negoziare con l’imprenditore la scommessa comune sul nuovo piano industriale, quindi di controllare che esso venga attuato correttamente e che, a scommessa vinta, i suoi frutti vengano ripartiti tra l’imprenditore stesso e i lavoratori secondo quanto concordato.
Certo, anche il sindacato che oggi è maggioritario può sbagliare valutazione. E in questo caso, alla prima occasione esso probabilmente perderà una parte dei consensi ottenuti in precedenza, mentre sarà un altro sindacato a guadagnarli. Questa è la democrazia sindacale, che presuppone peraltro un grande rispetto reciproco anche tra sindacati fra loro gravemente dissenzienti: tutti devono avere diritto di cittadinanza in azienda, così come tutti devono rispettare le scelte compiute da chi rappresenta la maggioranza.
Il punto è che, se per paura di sbagliare ci precludiamo a priori di sperimentare nuovi modelli di organizzazione del lavoro, degli inquadramenti, degli orari, della struttura delle retribuzioni, in questo modo ci condanniamo a chiudere le porte all’innovazione, che costituisce il fattore principale di aumento di produttività, quindi anche di miglioramento delle retribuzioni e delle condizioni di lavoro.
Nel caso di Pomigliano, a me sembra che Fismic con Cisl e Uil abbia compiuto la scelta giusta; e che invece abbia sbagliato la Fiom-Cgil nel rifiutare il piano industriale proposto dalla Fiat. Non lo dico con compiacimento. Ho lavorato per dieci anni come dirigente di questa confederazione (di cui quattro come dirigente proprio della Fiom), ne ho la tessera ormai da 41 anni perché ho con la Cgil un legame profondo, anche affettivo; ma questo non mi impedisce, anzi per me è un motivo in più per dire che sbaglia quando penso che sbagli. Avrei capito che la Fiom-Cgil avesse rifiutato il piano proposto dalla Fiat per motivi attinenti ai carichi di lavoro, al 18mo turno, all’aumento degli straordinari; e in questo caso mi sarei ben guardato dall’interferire nella sua scelta. Ma non è stato questo il motivo del rifiuto: la Fiom-Cgil lo ha motivato esclusivamente con una pretesa violazione della legge italiana, e addirittura della Costituzione; una violazione che in questo accordo non vedo affatto. Ha parlato di un “attacco ai diritti fondamentali dei lavoratori”, di cui – mi assumo la responsabilità di dirvelo nella mia veste di studioso di diritto del lavoro – francamente non vedo traccia. Alcune deroghe rispetto al contratto collettivo nazionale, questo sì; ma sono tutte deroghe volte ad aumentare la produttività e quindi anche le retribuzioni.
Vedo in questo piano un programma di lavoro intenso e turni di lavoro pesanti; ma ci vedo anche la prospettiva di dare vita nella vostra terra a un’esperienza industriale d’avanguardia. Mi sembra dunque ragionevolissima la vostra scelta di accettare questa sfida. Dico di più: mi sembra che con questa scelta voi indichiate la via giusta per tirare fuori il nostro Mezzogiorno dalla situazione di arretratezza e povertà in cui si trova, per offrire a tutti i suoi giovani una alternativa credibile e concreta al lavoro nero nell’economia sommersa controllata dalla Camorra, a 700 euro al mese senza contributi per dieci ore al giorno, senza sindacato e senza diritti di alcun genere (quello, sì, è il vero attacco ai diritti fondamentali dei lavoratori)!
Mi sembra che con questo accordo voi non facciate soltanto una cosa utile a voi stessi, ma anche qualche cosa di più: lanciate un messaggio positivo ai mille investitori stranieri potenzialmente interessati a investire nella vostra terra. Date di questa regione e dei suoi lavoratori un’immagine nuova: quella necessaria per attirare su di essa il meglio dell’imprenditoria mondiale. Non solo il Mezzogiorno, ma l’intero Paese deve esservene grato.