PERCHE’ HO FIRMATO IL MANIFESTO DI VELTRONI E GENTILONI

NON ADESIONE A UNA CORRENTE, MA PREOCCUPAZIONE GRAVE PER UN PARTITO CHE TROPPO SOVENTE SEMBRA AVER PERSO LA CAPACITA’ DI PARLAR CHIARO SUI TEMI DECISIVI PER LA CRESCITA DEL PAESE – NESSUNA SCISSIONE IN VISTA (ANZI SEMMAI QUESTA INIZIATIVA NE ALLONTANA UN RISCHIO); MA ESSERE UNITI SENZA AVERE IDEE CHIARE NON SERVE A COSTRUIRE UNA VERA ALTERNATIVA AL CENTRODESTRA

 Intervista a cura di Lina Palmerini, pubblicata (solo in parte, per motivi di spazio) sul Sole 24 Ore del 18 settembre 2010, dopo la pubblicazione del Manifesto proposto da Walter Veltroni, Paolo Gentiloni e Giuseppe Fioroni

Lei ha aderito al documento di Veltroni?
Sì, con una dichiarazione, condivisa dalla senatrice Magda Negri, nella quale sottolineiamo il passaggio del manifesto nel quale si afferma che esso non è l’atto di nascita di una nuova corrente (1): esso è il  contributo di persone profondamente legate al Partito Democratico, ma anche preoccupate per questa fase di sua grave debolezza sul piano programmatico e strategico. In quella dichiarazione avvertiamo anche che resta aperto il problema di individuare la leadership capace di realizzare il programma delineato: come dice il manifesto stesso, la scelta del candidato premier potrà anche cadere su di una persona esterna al Pd.

Lei parla di far uscire il Pd da una fase di grave debolezza, ma la maggioranza del partito vi accusa di compiere un atto di divisione, che oggettivamente indebolisce il partito ancora di più.
Rispondo a lei e a chi ci muove questa accusa che l’alternativa al governo Berlusconi non la si costruisce col pallottoliere, ipotizzando un giorno una alleanza con Rifondazione comunista e il giorno dopo un’alleanza con l’Udc, senza un messaggio politico chiaro e incisivo, sul come affrontare i problemi drammatici che il Paese deve urgentemente risolvere. Senza questo, essere uniti può dare un’illusione di forza politica, ma sarà sempre un’illusione effimera. Vorrei poi aggiungere un’altra cosa.

La dica.
Non comprendo tutto lo scandalo per questa iniziativa in seno al Pd: un dibattito di questo genere non è forse un fatto pubblico, che come tale deve potersi svolgere apertamente in pubblico? O forse preferiamo la politica fatta nel chiuso del Palazzo, o peggio nei suoi corridoi, della quale l’opinione pubblica resta all’oscuro?

Nel documento si parla di cambiare un mercato del lavoro diventato apartheid ai danni dei non tutelati: una affermazione ancora generica; in quali misure si deve tradurre?
Senza togliere nulla a chi oggi ha già un lavoro stabile, occorre un nuovo diritto del lavoro semplice e chiaro, traducibile in inglese per essere comprensibile anche dagli investitori stranieri, che possa davvero applicarsi a tutti i rapporti di lavoro che si costituiranno da qui in avanti. E ispirato ai principi della flexsecurity: capace, cioè, di coniugare il massimo possibile di flessibilità per le strutture produttive con il massimo possibile di sicurezza dei lavoratori nel mercato del lavoro e nel tessuto produttivo. Lei conosce bene la cospicua elaborazione su questo tema, anche sul terreno legislativo, di questi primi due anni e mezzo di legislatura.

Le proposte di Bersani, cioe’ contributi piu’ alti per i precari, sono efficaci?
La parificazione della contribuzione previdenziale per tutti i nuovi rapporti di lavoro dipendente su di una aliquota intermedia tra quelle attuali del 33% per il lavoro subordinato e del 27% per il “lavoro a progetto” è una misura giustissima: la nuova aliquota universale potrebbe collocarsi, per esempio, al 30%, determinando una riduzione complessiva del costo di tutti i nuovi rapporti di lavoro. Questa misura deve, però, accompagnarsi anche a una drastica riduzione dell’Irpef sui redditi di lavoro fino a 1000 euro al mese, al nuovo diritto del lavoro chiaro semplice e universale di cui parlavo prima e a una drastica semplificazione di tutte le procedure: oggi assumere un nuovo dipendente presenta costi di transazione e burocratici assolutamente troppo alti.

Quali sono le altre proposte di riforma che il movimento di Veltroni mette all’ordine del giorno nel dibattito del Pd?
Sono quelle indicate nel manifesto: fra le prime per importanza l’investimento selettivo su scuola e università, il trinomio trasparenza-valutazione indipendente-benchmarking nelle amministrazioni pubbliche, la promozione di un sistema di relazioni industriali nel quale il pluralismo sindacale non significhi paralisi, il rilancio delle liberalizzazioni indispensabili nei mercati dei servizi e dell’energia, la riduzione selettiva dell’imposta sui redditi di lavoro, l’allineamento della tassazione delle rendite agli standard europei. Più in generale, tutto quanto è necessario per aprire il nostro Paese agli investimenti stranieri: oggi, su questo terreno, peggio di noi in Europa fa soltanto la Grecia.

Della vicenda Fiat-Pomigliano cosa dirà il nuovo movimento?
Dirà – anzi, dice fin d’ora – che spetta al sindacato rappresentativo della maggioranza dei lavoratori interessati valutare il piano industriale e l’affidabilità dell’imprenditore che lo propone. E che, se la valutazione è positiva, quel sindacato deve poter stipulare con l’imprenditore la scommessa comune, con efficacia per tutti i lavoratori dell’azienda.

(1) Per “corrente” si intende un raggruppamento interno a un partito, con  una sua disciplina di gruppo, dalla quale deriva l’impossibilità logica di appartenere al tempo stesso a un’altra corrente [n.d.r. dedicata a tutti coloro che considerano il manifesto come atto di nascita di una “corrente veltroniana”: io non aderisco ad alcuna corrente e mi considero vincolato a una sola disciplina, quella propria del Gruppo dei senatori Pd].

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