LA TECNICA DEL “CORDONE SANITARIO” INTORNO A UN’IDEA CHE SI CONSIDERA SBAGLIATA, DEL DEMONIZZARE CHI LA SOSTIENE, SERVE PER EVITARE CHE DI QUELL’IDEA SI POSSA DISCUTERE SERENAMENTE – MA CHI PRATICA QUESTA TECNICA POLITICA SI PRECLUDE DI CAPIRE PEZZI INTERI DELLA REALTA’ CIRCOSTANTE; E LA REALTA’ VA AVANTI SENZA ATTENDERE CHI SI COMPORTA IN QUESTO MODO
Intervista a cura di Luisa Ciuni, pubblicata su il Giorno – Quotidiano Nazionale il 15 settembre 2010, dopo l’episodio di due giorni prima, che aveva visto una ventina di persone tentare di impedirmi di prendere la parola nel corso di un dibattito alla Festa Democratica di Milano (a seguito dell’isolamento ed estromissione dei prepotenti, il mio intervento ha comunque potuto svolgersi e il dibattito è proseguito serenamente fino a tarda sera)
Professor Ichino, che cosa pensa di chi ha cercato di impedirle di parlare l’altro ieri sera, alla Festa Democratica di Milano?
Gli episodi come l’aggressione a Raffaele Bonanni a Torino e come il tentativo di ieri sera di non lasciarmi parlare fanno parte di un armamentario politico fallimentare, del quale la vecchia sinistra non si è ancora del tutto liberata.
Quale?
Quello che tende a demonizzare la persona che la pensa diversamente, a creare intorno ad essa un cordone sanitario, per evitare che possa aprirsi con lei una discussione vera, sulle cose. Ma chiudendo in questo modo la discussione ci si preclude di capire le idee altrui, di affrontare per davvero i problemi, di conoscere la realtà circostante. E la realtà va avanti senza attendere chi si comporta in questo modo.
C’è un effettivo problema “precari” nel nostro paese?
C’è un problema di vero e proprio apartheid nel mondo del lavoro tra protetti e non protetti. Sono troppi, ormai, i modi in cui un’impresa può decidere di eludere totalmente il diritto del lavoro: dal ricorso alla partita Iva all’appalto alla “cooperativa di lavoro”, a molte altre forme di simulazione.
C’è una maniera per rendere meno dura la vita dei precari facendo in modo che lavorino il giusto, invece che essere sfruttati?
Occorre un nuovo diritto del lavoro, che sia davvero applicabile a tutti i rapporti di lavoro sostanzialmente dipendente destinati a costituirsi da oggi in avanti, e che sia semplice, leggibile e comprensibile da parte dei molti milioni di persone chiamate ad applicarlo, e anche traducibile in inglese: perché, se vogliamo essere capaci di attirare il meglio dell’imprenditoria straniera nel nostro Paese dobbiamo rendere leggibile il nostro diritto del lavoro anche per loro.
Bellissimo programma. Ma non sembra facile da realizzare.
Ho presentato, con altri 55 senatori dell’opposizione, i due disegni di legge necessari per ridurre l’intero nostro diritto del lavoro a un codice di 70 articoli: sono i d.d.l. 1872 e 1873 dell’11 novembre 2009 (sono disponibili sul sito del Senato e sul mio). Si potrà dissentire su questa o quella soluzione che abbiamo proposto in un articolo o in un altro, e cambiarla. Ma il progetto dimostra che la cosa è non solo tecnicamente, ma anche politicamente possibile.
Una ipotetica strada verso un maggiore equilibrio di giustizia sociale è possibile?
E’ possibile, a patto che l’Italia torni a crescere. E per crescere l’Italia ha la necessità urgente e assoluta di aprirsi agli investimenti stranieri. Altrimenti, continuerà a prendere soltanto la parte cattiva della globalizzazione, cioè le delocalizzazioni e la concorrenza dei lavoratori dei Paesi emergenti nelle fasce professionali più basse, ma non la parte buona, che consiste nella possibilità di attrarre i migliori piani industriali e i relativi investimenti da tutte le parti del mondo.